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IL TRADUTTORE SI SCUSA PER GLI ERRORI 

 
 
Un Piano Marshall
per Cuba

 

 

1.12.2010 - A.Boron www.radiocittaperta.it (traduzione di Flavia Castelli)

 

 

In questi giorni Cuba sta affrontando un grave dilemma: o attualizza, rivede e ricostruisce il suo modello economico o la rivoluzione corre il serio rischio di soccombere di fronte alla pressione combinata dei propri errori e delle aggressioni del blocco nordamericano. I Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, così come la quasi totalità dell’Africa e dell’Asia, non possono rimanere indifferenti di fronte a questa situazione, o limitarsi a osservare come la rivoluzione sostiene, senza aiuti e solo con le proprie forze, questa battaglia decisiva.


Però l’aiuto non può essere una semplice dichiarazione. Questa va bene, ma è insufficiente. Cuba ha bisogno di qualcosa di più: concretamente, che i suoi creditori, soprattutto quando sono Paesi dell’America latina e dei Caraibi, annullino il debito cubano.

 

L’Argentina è il maggiore di questi creditori, per un prestito concesso dal governo di Hector Campora e dal suo Ministro dell’Economia José B. Gelbard nel 1973 e che l’ex Cancelliere del Presidente Nestor Kirchner, Rafael Bielsa, ha rinegoziato proponendo un taglio del 50% dell’ammontare cosicché, se si sommano il capitale e gli interessi accumulati ad oggi, salirebbe approssimativamente a 1800 milioni di dollari. In quello stesso periodo il suo collega di gabinetto, il Ministro dell’Economia Roberto Lavagna, proponeva ai creditori dell’Argentina un taglio del 75% del valore nominale del debito andato in default con il crollo della convertibilità nel dicembre 2001. Come si sa bene, questo Paese ha ottenuto finalmente un taglio che, secondo i calcoli, si aggira attorno al 70% del valore nominale dei titoli del debito. Il meno che dovrebbe fare la Casa Rosada sarebbe garantire per Cuba lo stesso trattamento che ha ottenuto da parte dei suoi creditori. Sarebbe il minimo. Il giusto, ciò che sarebbe eticamente impeccabile, sarebbe cancellare quel debito ed in questo modo alleggerire il carico che pesa sulla sorella cubana. I 1147 abitanti dell’Argentina che, grazie alla “Operación Milagro”, nell’ultimo anno hanno recuperato gratuitamente la propria vista nel Centro Oftalmico Dr. Ernesto Guevara di Cordoba, e i più di ventimila che hanno imparato a leggere e scrivere con il programma cubano “Yo Si Puedo” sono altrettante ragioni per cancellare quel debito. Una cosa simile sarebbe un atto di rigorosa (estricta) giustizia. E lo stesso dovrebbero fare i governi di Messico, che ha crediti dell’ordine di 500 milioni di dollari, Panama, 200 milioni; Brasile, 40 milioni; Trinidad&Tobago, 30 milioni e Uruguay, 30 milioni.


Perché di rigorosa giustizia? per varie ragioni. Ne esporremo soltanto due. In primo luogo, come equa retribuzione per il generoso e non uguagliato internazionalismo cubano che ha portato quella rivoluzione a superare le sue frontiere spargendo medici, infermieri, dentisti, educatori e istruttori sportivi in tutto il mondo, mentre l’impero e i suoi alleati lo riempivano di militari, comandi speciali, spie, agenti segreti, poliziotti e terroristi. Negli ultimi decenni Cuba ha inviato circa 135mila professionisti della salute in oltre 100 Paesi di tutto il mondo, soprattutto America Latina, Caraibi e Africa, ma anche Asia. I medici cubani stavano ad Haiti da molto tempo prima del terremoto, e dopo di esso la loro presenza è aumentata, mentre gli Stati Uniti inviavano…  marines. L’aiuto cubano per combattere la malattia e prevenire la morte in tanti paesi è stato, ed è, concreto ed efficace. Ora le genti e le nazioni del Terzo Mondo devono correre ad assistere questo faro della liberazione nazionale e sociale che da più di mezzo secolo ispira e illumina le più nobili lotte dei nostri popoli. E devono farlo con una solidarietà militante, traducibile in aiuto economico effettivo. Le dichiarazioni saranno benvenute ma insufficienti.

 
In secondo luogo, c’è l’obbligo morale di aiutare Cuba perché, pensiamo: che sarebbe stato dei nostri paesi se la sua rivoluzione non avesse resistito fermamente, senza ammainare le sue bandiere, alle pressioni dell’imperialismo e della destra mondiale una volta implosa l’Unione Sovietica? Con una Cuba in ginocchio, vinta e inerme di fronte alla restaurazione del saccheggio neocoloniale al quale era stata sottomessa dal 1898; con i suoi sogni e le sue utopie umaniste colpite dal ritorno trionfale delle mafie capitaliste come quelle che, allora, stavano devastando la defunta Unione Sovietica; con la rivoluzione e la creazione di una società solidale additate come irresponsabili sogni di falsi messia che inesorabilmente culminano in un incubo infernale, sarebbe stato possibile il trascendentale cambiamento politico-ideologico materializzato nella salita nel consolidamento al potere di Hugo Chavez, Evo Morales e Rafael Correa, per menzionare solo i casi più significativi?


Inoltre, senza lo stimolo emanato dall’eroica resistenza di Cuba, dal suo “cattivo esempio” evidenziato da tassi di mortalità infantile minori di quelli statunitensi nonostante l’embargo e le aggressioni, sarebbe stato possibile il successo del molto moderato centrosinistra in paesi come Argentina, Brasile e Cile all’inizio del nuovo secolo? Assolutamente no!


Se questi progressi sono stati possibili è stato, oltre alle cause proprie di ogni caso, perché Cuba ha resistito. Se avesse capitolato e fosse stata trasformata in un protettorato nordamericano lo tsunami di destra avrebbe raso al suolo questa parte del mondo. Grazie a Cuba i nostri popoli hanno evitato una così grande catastrofe.


Per questo, oltre ad annullare i debiti esistenti con i paesi della regione, i creditori, ma anche quelli che non lo sono, dovrebbero creare senza indugio un fondo speciale di solidarietà per la rivoluzione cubana. Gli Stati Uniti lo hanno fatto per salvare gli europei dalla debacle dopo la Seconda Guerra Mondiale, e il suo successo fu straordinario. Il Piano Marshall ha soddisfatto pienamente le aspettative che aveva stimolato e le economie europee si sono rapidamente riprese. Cuba, castigata da due Piani Marshall contro – questo è, fino ad ora, il costo del blocco nordamericano per la fragile economia cubana – merita largamente un gesto simile da parte dei suoi fratelli latinoamericani. Questi possono contare su enormi riserve nelle loro banche centrali. Nel 2007 il presidente ecuadoriano Rafael Correa calcolò le riserve esistenti nella regione in circa 200 mila milioni di dollari, e quella cifra non ha smesso di crescere negli anni successivi. Una statistica del FMI indica che alla fine del 2009 le riserve internazionali dell’Argentina erano salite a 49599 milioni di dollari, 238520 milioni in Brasile, 90837 in Messico, 26115 in Cile, 24991 in Colombia, 32803 in Perù e 35830 in Venezuela. Senza alcun dubbio, con gli aumenti registrati nel 2010, le riserve combinate di questi paesi, più altri come Bolivia, Ecuador e Uruguay non compresi nella statistica, supereranno largamente i 500000 milioni di dollari. Di qui l’enorme importanza di mettere in moto quanto prima il Banco del Sur, ancora ostacolato da pretesti burocratici e dalla miopia politica di cui fanno sfoggio alcuni governi. Stanziando solo il 2% di tanto favolose riserve si potrebbe creare, senza ulteriore sforzo, un fondo speciale di 10mila milioni di dollari destinato a finanziare il complesso processo di riforme economiche socialiste che Cuba deve portare a termine improrogabilmente nei prossimi mesi.

 
Sarebbe un gesto di meritata reciprocità di fronte alla comprovata solidarietà cubana con i nostri paesi lungo cinque decenni; e anche un atto di calcolato altruismo per il quale manca solo la volontà politica, perché il denaro già c’è. O qualche governante della regione può essere tanto ingenuo da non rendersi conto che, se la Rivoluzione Cubana fosse sconfitta, l’impero si scaglierebbe con tutte le sue forze sui nostri paesi, senza distinzioni ideologiche, per ricolonizzare a sangue e fuoco il continente e restaurare l’ordine che Fidel ed il Movimento 26 luglio vennero ad impugnare il 1 gennaio 1959?