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Nuovo documentario di Gianni Minà: Cuba nell’epoca di Obama

 

21.09.11 - di M.Manfrin  giornalista http://pl-it.prensa-latina.cu

 

Il recentissimo documentario di Gianni Minà “Cuba nell'epoca di Obama”, della durata complessiva di quattro ore e mezza, è stato proiettato nei primi giorni di settembre 2011 alla “68.a Mostra Internazionale del Cinema” della Biennale di Venezia, diviso in due parti (di due ore e un quarto ciascuna) nella Sala Volpi del Palazzo del Cinema del Lido (e in replica nella Sala Tropicana dell’Hotel Excelsior, dove abbiamo incontrato e intervistato Minà). Le due parti di questo documentario mostrano nel loro insieme la complessità odierna di Cuba: dalle difficoltà nei trasporti alle conquiste nel campo della cultura, dagli anziani comandanti della rivoluzione alle giovani generazioni che presto prenderanno la guida del paese, ecc.

La prima parte del filmato comprende un lungo viaggio di mille chilometri che, partendo da L'Avana, attraversa Santa Clara (la città del Che) per poi passare per Camagüey fino alla patriottica Bayamo, con la sua Scuola Superiore di Arte e Spettacolo che raccoglie bambini e adolescenti desiderosi di seguire una carriera basata sulla cultura. La troupe di Minà giunge in seguito alla frontiera di Guantanamo, terra divisa fra la tristemente nota base militare statunitense nella baia e l'omonima cittadina nel territorio cubano. L'orgoglio e l'amor di patria del popolo cubano trovano il suo fiore più rigoglioso in tutti quei giovani che hanno deciso di prestare servizio militare nella brigata di frontiera tra il territorio libero e quello occupato. Infine, il viaggio si conclude a Santiago de Cuba, la città in cui si udirono i primi vagiti della Rivoluzione Cubana nel giorno dell'assalto alla Caserma Moncada. … (La prima puntata si apre e si chiude con i giovani presenti al grande “Concierto por la Paz” che si tenne nella Plaza de la Revolucion de L’Avana alcuni anni fa).

La seconda parte della pellicola di Minà è ancor più focalizzata sul tema dei giovani. Attraverso le testimonianze degli studenti della Scuola Latinoamericana di Medicina, di quella del Cinema dedicata a Cesare Zavattini e dei ballerini del Ballet Nacional, scopriamo come la nuova élite del paese vive la propria esperienza professionale e rivoluzionaria: l'amore, l'impegno ed il sacrificio quotidiano sono la dimostrazione della voglia di dare qualcosa di sé al mondo, un modo per essere coerenti e morire come si è vissuto. “Yo me muero como viví”, ci ricorda appunto il ritornello de “El necio” di Silvio Rodriguez che emerge talvolta dal sottofondo musicale. Anche la battaglia delle idee vede i giovani in prima linea: seduti sulle scalinate dell'Alma Mater, una giovane studentessa di giornalismo dialoga con Minà sul problema dei cosiddetti dissidenti le cui “menzogne ben pagate” hanno più credibilità all'estero che in patria. Le interviste al poeta Roberto Fernandez Retamar, alla prima ballerina Alicia Alonso, al guerrigliero Harry Villegas (Pombo), ed ad altri maestri ed educatori sottolineano come tale risultato sia l'effetto di uno dei principi etici su cui si basa la Revoluciòn: insegnare agli altri ciò che si è appreso, per gratitudine verso chi, a suo tempo, ha fatto qualcosa per noi. La solidarietà è pertanto il motore del socialismo ed il suo principale veicolo di trasmissione. Il documentario di Minà si conclude simbolicamente con la cerimonia di chiusura del VI Congresso del PCC. Questo lungo filmato è senza dubbio un'opportunità per riflettere su tale tema, così delicato e di grande attualità per il popolo cubano. … Nel 2007, Fidel scrisse: “Si los jóvenes fallan, todo fallará”. … Oggi, passati quattro anni, Gianni Minà ci offre una risposta decisa: No fallarán. …


 

Questo bellissimo documentario verrà distribuito verso il periodo del Natale 2011. Per informazioni rivolgersi a:Loredana Macchietti; email: l.macchietti@giannimina.it - cell. 3356893639 - fax. 063055769 - tel. 063055836

 

 Minà: "Il mio viaggio tra i giovani nell'isola di Fidel che resiste"

Alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia il docufilm itinerante "Cuba in the age of Obama". Ritratto di un Paese che "con la sua vita spartana sta sopportando meglio la crisi". E sullo sfondo il rapporto irrisolto con gli Usa. E in Italia? "Informazione carente, io epurato dalla Rai da anni"

 

 

27.08.11 - di C.Morgoglione  www.repubblica.it

 

I sentieri della rivoluzione di Fidel Castro lui, Gianni Minà, li ha già percorsi altre volte, come inviato e come regista. Ma Cuba in the age of Obama - docufilm di scena il 7 e l'8 settembre alla prossima Mostra del cinema di Venezia, all'interno delle Giornate degli autori - è e vuole essere il coronamento delle precedenti esperienze e riflessioni del giornalista. Il tutto raccontato nella forma del viaggio, un tour inedito dall'Avana a Guantanamo ascoltando soprattutto i giovani: studenti di medicina, d'arte, di danza. "Per mostrare - spiega lui - una realtà su cui l'informazione è carente: visto che nessuno racconta queste cose, le faccio vedere io".

LE IMMAGINI / IL VIDEO

Minà, com'è nato questo progetto?
"Sono trent'anni che frequento Cuba, anche dopo la fine delle ideologie: comunismo, capitalismo... Mi piaceva tentare di capire dopo 50 anni come mai sia sopravvissuta, smentendo sempre tutti. E' ancora lì, e soffre meno i fallimento dell'economia globale e neoliberale: questo perché è un paese che ha una vita spartana, c'è molta solidarietà tra le gente. Da piccolo esperto di Cuba e di America Latina, vedo come si sia sviluppata lì una coscienza collettiva e solidale: questo è il suo segreto. Anche il dissidente, che è più ricco, non nega il suo aiuto".

Quale episodio che vediamo nel film l'ha colpita particolarmente?
"Noi giornalisti andiamo in un Paese, prendiamo un taxi, parliamo col tassista e riteniamo di aver capito tutto. Ma anch'io, una traversata così nelle viscere dell'isola non l'avevo mai fatta. Mi ha colpito che è l'unico paese che, anche nelle zone interne, non solo nelle città, ha tutte le cose fondamentali per la sopravvivenza e per la vita: una casa col bagno, un'organizzazione educativa, una sanità che funziona benissimo. Cose che in America Latina non hanno tutti. Cuba ha organizzato ponti arei per operare agli occhi 500 mila persone che la fame aveva fatto ammalare: anche questo è un modo di fare diplomazia. Così come aver formato 10 mila medici di altri Paesi dell'area".

Lei cita solo luci. E le ombre?
"Il partito, che è presente ovunque. A me che ho avuto la fortuna di non aver frequentato partiti in Italia, e infatti da anni sono epurato in Rai, la cosa mi sorprende negativamente".

C'è poi la questione dei diritti umani violati.
"In Colombia hanno scoperto una fossa comune con duemila cadaveri. Ma lì il presidente non è stato citato al Tribunale dell'Aja. E in Messico, con i tanti omicidi e il narcotraffico? Ma di cosa stiamo parlando? Gli ultimi dissidenti a Cuba li hanno liberati quest'anno mandandoli con tutte le famiglie in Spagna. Ma loro vogliono tornare. Certo, a volte anche la risposta cubana, con la sindrome dell'assedio, è troppo dura: comincino gli Usa a non rompere tanto le scatole, e andrà meglio".

La parola Obama nel titolo non è casuale...
"Come tutte le persone sinceramente democratiche, so che se non si otterrà da lui, un cambio delle relazioni non lo avremo per chissà quanto tempo. Per ora c'è poca roba: giusto aprire un pochino ai viaggi a Cuba. E poi qualche giorno fa c'è stato un passo indietro: Cuba è stata inserita nell'elenco degli Stati canaglia, promotori del terrorismo. Oltre al danno una beffa: basta pensare che le vittime cubane di attentati organizzati in Florida, e messi in atto sull'isola, sono state tremila...". Il giudizio, a breve, spetterà ai cinefili veneziani.