HOME AMERICA LATINA

 

Nuestra America - Honduras

 

 

Honduras, i panni sporchi

 

delle forze di polizia

 

Nel paese più violento dell'America latina (20 omicidi al giorno) la morte di un giovane porta in luce connivenze, corruzione e repressione. Dopo il golpe del 2009 uccisi 55 contadini, 17 giornalisti, decine di oppositori.

 

 

13.01.12 - di Maurice Lemoine Le Monde diplomatique (Traduzione di Ge. Co.) www.ilmanifesto.it 27/12/2011

 

 

TEGUCIGALPA. Come molti giovani, per lo più poveri, due studenti vengono assassinati dalla polizia a Tegucigalpa, la notte del 22 ottobre scorso. Ma, questa volta, una delle vittime è il figlio della rispettabilissima rettora dell'Università nazionale autonoma dell'Honduras (Unah), Julieta Castellanos. E alla scena hanno assistito dei testimoni. Di fronte all'impossibilità di affossare l'abuso sotto la valanga dei 20 omicidi quotidiani che fanno dell'Honduras il paese più violento dell'America latina, gli alti gradi della polizia rendono pubblici i nomi dei quattro presunti assassini prima che siano indagati, mettendoli così sull'avviso e consentendogli di far perdere le tracce.

 

Fino ad allora, a rimetterci la vita erano stati solo degli sconosciuti. Piccoli delinquenti o marginali, vittime della «pulizia sociale». Contadini dell'Aguán, nel nord del paese, bersaglio delle pallottole sparate dalle guardie private dei grandi proprietari terrieri - fra cui il big dell'oligarchia, Miguel Facussé -, ma anche dagli agenti dello stato. «Difficile distinguere chi sia la polizia, chi sia l'esercito e chi siano i sicari - ci aveva detto a febbraio un abitante della comunità La Aurora; agiscono di concerto, si scambiano le uniformi, circolano sugli stessi mezzi» - e hanno giustiziato 55 contadini in due anni.

 

Bilancio a cui si aggiungono, nell'insieme del paese, decine di membri del Fronte nazionale di resistenza popolare (Fnrp) - movimento nato per reazione al colpo di stato contro il presidente Manuel Zelaya, destituito il 28 giugno 2009 -, intimidazioni, inseguimenti o omicidi commessi dalle armi da fuoco della «criminalità comune» (secondo le autorità) o da quelle degli «squadroni della morte» (secondo la più credibile versione dei dirigenti e dei militanti di opposizione).

 

La morte del figlio di una personalità funziona come un elettroshock. Riporta in superficie altri avvenimenti, anche molto recenti. Il 1 settembre, il segretario per la sicurezza (ministro dell'interno) Óscar Álvarez aveva denunciato pubblicamente: «Una decina di ufficiali di polizia, mascherata da controllori di volo, ha consentito l'atterraggio di narco-aerei che trasportavano droga dal sud del continente verso il Nordamerica». Álvarez ha però avuto appena il tempo di annunciare una «epurazione profonda» che è stato sollevato dall'incarico dal presidente Lobo. Il mese precedente, si era scoperto che 300 fucili mitragliatori Fal e 300000 munizioni 5,56 mm erano scomparsi dall'armeria del Commando per le operazioni speciali (Cobra) - la più feroce delle unità di repressione. Secondo «fonti affidabili» del Segretariato alla sicurezza, quelle armi sarebbero state vendute ai gruppi criminali che operano in Guatemala.

 

Nel popolare quartiere Kennedy di Tegucigalpa, le lingue di qualche ristoratore, venditore di frutta o commerciante di elettrodomestici si sciolgono: sono ricattati dai banditi con la complicità della polizia locale in cui agisce una mafia comandata da un ufficiale ribattezzato «El Diablo». «La famosa 'imposta di guerra' viene riscossa dai mareros (delinquenti), ma una parte è destinata alla polizia», afferma l'ex direttrice degli affari interni dell'istituzione Maria Luisa Borjas, evocando questa pratica generalizzata. Racconta come, quando era in carica, avesse denunciato quattro ufficiali per omicidio, prove alla mano. E però, dopo accordi tra il potere giudiziario e la gerarchia poliziesca, «sono rimasti in libertà, hanno continuato la loro carriera e sono oggi ufficiali superiori».

 

Benché appartengano ai gruppi di potere, abbiano appoggiato il colpo di stato e siano proni alle forze dell'ordine quando bastonano i militanti del Fnrp, anche i media moltiplicano le rivelazioni.

 

Il 21 novembre, è il quotidiano di destra El Heraldo a pubblicare un estratto del rapporto della Direzione della lotta contro il narcotraffico (Dlcn) che chiama in causa «un membro della direzione della polizia». L'inchiesta che lo riguarda è stata aperta nel 2003 (8 anni fa!), l'uomo - si legge - «presenta dei conti bancari atipici e ha mantenuto legami con un capo catturato in Colombia»; a febbraio 2004, in carica nel Dipartimento di Copán, «era il capo del cartello d'Occidente, che trasporta grandi quantità di droga a Colón e Olancho».

 

Forse sprovvista di telefono per chiamare la Dlcn, la viceministra della sicurezza Coralia Rivera annuncia che, per ritrovare il corrotto, ha ordinato ai servizi per le risorse umane della polizia di effettuare un inventario di tutte le denunce contro gli ufficiali presentate in passato. Manifestando uno spiccato senso delle priorità, il pubblico ministero, dal canto suo, apre un'inchiesta per sapere chi ha comunicato il dossier della Dlcn a El Heraldo.

 

Il 30 ottobre, il nuovo segretario alla sicurezza Pompeyo Bonilla annuncia la destituzione di tutta la direzione della polizia. Dopo, si scoprono come per miracolo delle pecore nere fino ad allora sconosciute. Il 27 novembre, 9 ufficiali e 29 graduati vengono sospesi per «colpa amministrativa» e «arricchimento sospetto» in attesa di giudizio. Per sbiancare in extremis la propria immagine, 50 capi e direttori dell'istituzione poliziesca si sottomettono «spontaneamente» a un esame delle urine e del sangue per escludere tracce di marijuana, di cocaina o di eroina, e alla macchina della verità (che, però, quel giorno, non funziona). L'intera professione dovrà essere sottoposta allo stesso trattamento, però su base... volontaria.

 

Fino ad allora, i corrotti della polizia si sentivano i padroni del mondo. L'improvvisa esposizione della biancheria sporca li disturba profondamente. E così anche i media conservatori pagano i costi della loro arrabbiatura: le minacce e le intimidazioni si moltiplicano. Il 6 dicembre, la giornalista Luz Marina Paz Villalobos cade sotto le pallottole di sicari in moto - portando a 17 il numero dei membri della professione assassinati in venti mesi. L'indomani, Alfredo Landaverde, ex-consigliere del Segretariato alla sicurezza, muore nelle stesse condizioni. Negli ultimi mesi, aveva denunciato la presenza di ufficiali di polizia nelle fila del crimine organizzato.

 

«Una parte dell'oligarchia honduregna è direttamente legata al narcotraffico - afferma Gilberto Ríos, coordinatore della Commissione internazionale del Fnrp, cercando di dare un senso a questo caos - C'è uno scontro tra la fazione emergente e il settore tradizionale, i partiti politici e le istituzioni dello stato. A questa rottura in seno alla classe dominante corrisponde la corruzione dei corpi repressivi e la loro divisione».

 

Complice, incapace o impotente, il presidente Lobo ha comunque scelto la soluzione peggiore. Il 29 novembre, il Congresso ha concesso all'esercito le prerogative della polizia nazionale - pattugliamento, arresti, incursioni, perquisizioni - per tutto il tempo necessario al suo risanamento.

 

Negli anni '80, mentre sanguinosi conflitti scuotevano il Salvador, il Nicaragua e il Guatemala, «le forze armate hanno partecipato, qui, ai crimini politici, ai sequestri, alle sparizioni e agli assassinii di oppositori», dice, indignato, Juan Barahona, vicecoordinatore del Fnrp. Ci sono volute, nel corso del decennio 1990, lunghe lotte per creare una polizia civile e demilitarizzare la società. E oggi.. la peste sostituirà il colera? Lo si può dire anche così. Nel 2009, a partire dal 29 giugno, è la polizia che ha brutalmente represso la popolazione che si opponeva al colpo di stato. Ma, alla vigilia, era stato l'esercito a destituire e a mandare in esilio il presidente Zelaya.

 

 

Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari

 

ed Indigene dell’Honduras COPINH

 

da www.copinh.org/leer.php/3208345 Traduzione a cura di Adelina Bottero

 

 

02/01/2012

 

PRONUNCIAMENTO

 

Il Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari ed Indigene dell’Honduras, COPINH, dinanzi all'opinione pubblica e al popolo in generale, si pronuncia sull’atto brutale, criminale e premeditato, compiuto da otto agenti della polizia di San Juan e San Miguelito, Intibucá, contro l'umanità del parroco Marco Aurelio Lorenzo e dei suoi accompagnatori, che sono stati picchiati, torturati e sul punto di essere assassinati. Quest’azione ebbe luogo il 26 dicembre sulla strada che unisce le due località ed è l’ennesima della serie, così frequente nei nostri territori, senza che venga denunciata e portata a conoscenza del resto del paese.

 

Si è messo in evidenza negli ultimi tempi, con abbondanza d’informazioni e denunce, che la polizia è stata protagonista di molteplici atti criminali contro la popolazione. Nonostante stia attraversando una grave crisi di legittimità e fiducia nel paese, continua ad agire con impunità, la stessa che le consente di continuare a perpetrare atti come quello compiuto contro il padre Marco Aurelio Lorenzo, un compagno riconosciuto per le sue lotte a favore dei beni naturali e degli interessi dei fedeli più poveri della chiesa nell’occidente del paese.

 

Il COPINH solidarizza con padre Lorenzo e i suoi accompagnatori, con la parrocchia di Macuelizo e la chiesa progressista, che non rinuncia alla sua opzione preferenziale per i poveri ed assume con forza e fede quest’impegno.

 

Si unisce energicamente alle denunce già espresse da altre persone, altri settori ed in altri luoghi del paese contro la banda poliziesca istituzionalizzata che terrorizza ed aggredisce la popolazione in ogni provincia dell’Honduras, con le risorse di quella stessa popolazione.

 

Condanna le istituzioni di polizia e l'esercito, gendarmi degli interessi oligarchici, multinazionali e del narcotraffico, cui prestano servizio e protezione, diventando nemici del popolo honduregno. Condanna allo stesso modo le agenzie di sicurezza, affari d’imprenditori, militari e multinazionali che hanno privatizzato il diritto alla sicurezza, che deve essere compito dello stato nonché diritto pubblico della cittadinanza, senza significare indebitamento e ulteriore consegna del nostro paese all’intervento esterno.

 

Condanniamo il vergognoso silenzio dell'ufficialità ecclesiastica della zona occidentale, impersonata dal nuovo vescovo Darwin Andino, a fronte dell'aggressione contro un membro della sua comunità.

 

Condanniamo il regime della presunta riconciliazione nazionale, che non ha né volontà né capacità di fare giustizia, come abbiamo già segnalato e come risulta pubblicamente evidente dal manifestarsi della corruzione e criminalità poliziesca.

 

Facciamo appello alle comunità ed al popolo honduregno in generale, a far fronte alla mancanza di protezione e tutela in cui viviamo rafforzando l'organizzazione autonoma e la creatività propria di questo popolo honduregno a difendere la vita, i beni collettivi, il diritto ad un paese e ad un futuro senza paura né violenza.

 

I meccanismi e commissioni stabilite riguardo all'intervento e depurazione nella polizia sono un oneroso esborso di denaro pubblico ed una farsa politica; l'unica soluzione possibile è la sparizione dell'istituto di polizia attuale, la rifondazione di un corpo etico di protezione pubblica degli interessi del popolo honduregno ed il consolidamento di una cultura di convivenza etica civile.

 

Con la forza ancestrale di Iselaca, Lempira, Mota, Etempica, si alzano le nostre voci piene di vita, giustizia, libertà, dignità e pace!

 

Intibucá 2 gennaio 2012