Parla chiaro il Presidente dell’Ecuador Rafael Correa, accusato spesso dai nostri mezzi di comunicazione di voler censurare la stampa libera per aver querelato un giornale di Quito che lo aveva diffamato. Il Presidente ha vinto la causa e ottenuto un risarcimento di grande entità al quale ha poi rinunciato dichiarandosi soddisfatto di aver visto trionfare la sua ragione nei tribunali e lasciando con un palmo di naso il suo avversario già frettolosamente emigrato a Miami da dove dichiarava di essere un perseguitato politico.
Correa è così; meno appariscente del Presidente aymara Evo Morales, meno populista di Hugo Chávez, meno affascinante di Cristina Fernández, meno tosto di Delma Roussef, meno tormentato e ambiguo di Mújica, ma francamente molto chiaro nei suoi comportamenti e nel suo agire.
La questione è la seguente: fin dal 1994 e quindi dopo la fine della guerra fredda, gli Stati Uniti hanno cominciato a convocare una Cumbre, un Vertice delle Americhe invitando tutti i paesi dell’intero continente americano tranne Cuba, adducendo la ragione che l’isola ribelle non fa parte dell’Organizzazione degli Stati Americani, da cui è stata sospesa nel 1962 non si sa per quali colpe terribili, dato che per altri Stati governati da dittatori sanguinari (Trujillo, Pinochet, Duvalier) non fu mai richiesta l’espulsione.
Nel 2009, in un incontro a Trinidad Tobago con il Presidente Obama, la riammissione di Cuba fu sollecitata dai paesi dell’Alba e non solo. Obama era stato eletto da poco e si nutrivano ancora molte speranze circa la sua linea politica e poiché non reggevano più i pretesti addotti per l’espulsione, Cuba avrebbe potuto essere riammessa su sua richiesta ma ciò avrebbe comportato il dovere di sottoscrivere la Carta Democratica della OEA che Cuba ritiene falsa e non accettabile. Dunque niente di fatto quanto all’Organizzazione degli Stati Americani, ma la Cumbre de las Américas è un’altra cosa e dunque a Correa è parso naturale armare una campagna per l’inclusione dell’isola in un incontro dove sul tappeto ci sarebbero state importantissime questioni geopolitiche regionali. Ha dichiarato da subito che o andava anche Cuba o lui non sarebbe andato all’appuntamento di Cartagena in Colombia. Il Presidente Santos è entrato in panico: era quella la vetrina dove avrebbe voluto mostrare il volto “buono” di una Colombia dinamica, democratica e ospitale facendo dimenticare l’ambiguità politica di Uribe e la sua guerra sporca. Dunque Santos si è precipitato all’Avana per chiedere a Raúl Castro di persuadere gli amici dell’ALBA a non tirare tanto la corda, per scusarsi con il suo omologo cubano e per cercare di risolvere il caso con il minor danno possibile. Effettivamente i Presidenti hanno confermato la loro adesione, tranne Correa che, dopo averci riflettuto a lungo, ha pensato semplicemente, che non poteva, con la sua presenza al Vertice, avallare l’ipocrisia che Cuba non possa essere invitata per mancanza di consenso quando, invece, tutti sanno che si tratta del veto imposto da un paese egemonico, sopruso davvero inaccettabile nel secolo XXI e in una America fortemente cambiata.
Le ragioni di Correa sono scritte in una lettera al Presidente Santos che sarebbe bello immaginare permeabile alle nobili ragioni di Correa che gli ricorda che è inaccettabile che in un incontro di quel livello non si parli del blocco contro Cuba e del persistere di fenomeni di colonizzazione come nel caso delle Malvinas. Per il presidente dell’Ecuador c’è un interesse superiore, quello della Patria Grande, sognata da Bolívar e che finalmente sembra essersi messa in marcia. E lo dice a chiare lettere.
La carta de Correa: “No volveré a asistir a ninguna Cumbre de las “Américas”,
hasta que se tomen las decisiones que la Patria Grande nos exige”
Juan Manuel Santos
Presidente Constitucional de la República de Colombia
Estimado Presidente y amigo:
Valoro y agradezco profundamente su gentil y reiterada invitación a la VI “Cumbre de las Américas”, a celebrarse en la hermosa Cartagena de Indias los días 14 y 15 de abril. Lamentablemente, pese a que en la V Cumbre de las Américas, celebrada en Trinidad y Tobago del 17 al 19 de abril de 2009, se rechazó la incomprensible exclusión de la República de Cuba de las cumbres americanas, una vez más, este país hermano no ha sido invitado.
Por definición, no puede denominarse “Cumbre de las Américas” a una reunión de la cual un país americano es intencional e injustificadamente relegado. Se ha hablado de “falta de consenso”, pero todos sabemos que se trata del veto de países hegemónicos, situación intolerable en nuestra América del Siglo XXI.
De igual manera, es inaceptable que en estas cumbres se soslayen temas tan fundamentales como el inhumano bloqueo a Cuba, así como la aberrante colonización de las Islas Malvinas, los cuales han merecido el rechazo casi unánime de las naciones del mundo.
Jamás buscaríamos ocasionar el más mínimo problema ni a su gobierno ni a nuestra querida Colombia. Se trata, como decía Bolívar, de sentir verdaderamente que la Patria es América, y en algún momento comenzar a denunciar y enfrentar con fuerza estas, repito, intolerables y hasta aberrantes situaciones. Por ello, después de haber reflexionado detenidamente, he decidido que, mientras sea Presidente de la República del Ecuador, no volveré a asistir a ninguna Cumbre de las “Américas”, hasta que se tomen las decisiones que la Patria Grande nos exige.
Nuestros pueblos bien pueden cansarse de que sus mandatarios estén en tantas cumbres, mientras todavía existen demasiados abismos por superar, como la pobreza e inequidad que todavía mantienen a América Latina como la región más desigual del mundo; la ineficaz estrategia de lucha contra el problema mundial de las drogas; la profunda transformación del Sistema Interamericano de Derechos Humanos, hoy celador de intereses ajenos a sus principios fundacionales; la vigencia de una verdadera libertad de expresión que no se encuentre reducida a los intereses de los negocios dedicados a la comunicación social; o, la completa supremacía del capital sobre los seres humanos, como lo demuestra la crisis hipotecaria en España, que afecta a centenares de miles de ciudadanos, entre ellos muchos migrantes latinoamericanos.
Esperamos que nuestra ausencia sea una cordial invitación a debatir lo esencial y a actuar en consecuencia, ratificando el aprecio y respeto que sentimos por todos nuestros colegas, Jefas y Jefes de Estado del Continente, queridos amigos con quienes compartimos sueños de mejores días para nuestros pueblos.
Deseamos, por el bien de la región y del mundo, que la Cumbre de Cartagena sea exitosa. El deseo de acompañarles es enorme, sólo superado por la firmeza de nuestras convicciones.
¡Hasta la victoria siempre!
Rafael Correa
Delgado
Presidente Constitucional de la República del
Ecuador
Quito, abril 2 de 2012. (Tomado de Alainet)