30 giugno del 1957
 

 

Josué País, ‘Floro’ Vistel
Salvador Pascual

 

 

30 giugno 2012 -  www.granma.cu

 

 

Dal parco Céspedes, nel cuore della capitale orientale, circondato dagli sbirri e da spioni, da ogni parte e con una vile partecipazione di traditori e mascalzoni, l’assassino Rolando Masferrer e i “candidati elettorali” del regime batistiano si sentivano al sicuro dalle azioni rivoluzionarie e, vigliacchi, approfittavano dell’opportunità per trasmettere dai microfono della radio ogni genere d’insulto.

 

Il “miting” elettorale montato dalla tirannia a Santiago di Cuba costituiva una brutale sfida e un’offesa alla sensibilità rivoluzionaria nell’eroico capoluogo dell’oriente.

 

Già da vari giorni, con notevoli apparati di forza, le criminali “tigri di Masferrer”, avevano installato il loro quartiere generale nell’Hotel Casa Granda.

 

I candidati si muovevano circondati da guardie del corpo armate di mitragliatrici.

 

La tensione si sentiva in ogni angolo di Santiago.

 

Quel pomeriggio, nel suo nascondiglio in un punto della città, un giovane di 19 anni ascoltava impaziente e desideroso d’entrare in azione, lo stridente rosario d’insulti che la radio trasmetteva dal parco Céspedes.

 

Quel giovane era Josué, il minore dei fratelli País, tanto odiati quanto temuti dai corpi della repressione del regime a Santiago.

 

Josué aveva studiato nell’Istituto d’Insegnamento Superiore dove aveva ottenuto una borsa di studio come migliore alunno. Poco dopo si era iscritto alla Facoltà d’Ingegneria nell’Università d’Oriente. Quando l’università era stata chiusa, in piena tirannia, frequentava il primo anno.

 

Con suo fratello Frank, aveva condiviso i preparativi del sollevamento del 30 novembre del 1956, in appoggio allo sbarco del Granma.

 

Disgraziatamente, era stato detenuto all’alba di quello storico giorno, vicino al muro dell’Istituto Superiore, mentre si disponeva a penetrarvi per sparare contro la Moncada con un mortaio lì installato.

 

Recluso per vari mesi nel carcere di Boniato, appena messo in liberta ritornò come Frank alle attività del la clandestinità. Il suo coraggio a tutta prova si fece notare in numerose azioni rivoluzionarie, che accesero Santiago nei mesi che precedettero il suo assassinio.

 

“Vado là, non posso stare nemmeno un altro minuti chiuso qui dentro!”

 

Era la voce di Josué, che parlava dal suo nascondiglio, dove stava con alcune compagne di lotta. Era eccitato e le ragazze cercarono di dissuaderlo con toni energici, ricordandogli che mettere il piede in strada significava la morte sicura.

 

Ma Josué aveva già preso la sua decisione di agire contro gli sbirri.

 

Poi si seppe che aveva ricevuto una telefonata e che aveva un appuntamento con un altro compagno del Movimento, Salvador Pascual Salcedo, per lanciarsi per strada.

 

Con lui, nella stessa casa dove si nascondeva, c’era l’altro combattente che li avrebbe accompagnati: Floromilo Vistel.

 

Verso le sedici, nel pomeriggio, li venne a prendere con un automobile Salvador Pascual, e partirono. Poi si seppe che in quel momento i particolari della macchina e il numero di targa erano già stati denunciati ad una microonda della polizia dal miserabile a cui Pascual aveva chiesto l’automobile, promettendogli che l’avrebbe restituita alcune ore dopo, vicino al macello.

 

Quando giunsero a Martí y Corona furono intercettati. Non si fermarono all’alt e iniziò immediatamente la sparatoria e la feroce persecuzione.

 

I testimoni raccontano che l’auto dei rivoluzionari con una gomma a pezzi per gli spari, ‘volava’ per le strette strade della città.

 

Poco dopo, in Martí y Crombet, avvenne l’epilogo.

 

Circondati e colpiti dalle raffiche delle mitragliatrici sparate da ogni parte, caddero in potere degli sbirri.

 

“Floro” Vistel e Salvador Pascual furono uccisi all’interno del veicolo, mentre Josué fu gettato, ferito, in una jeep della marina. Nel tragitto sino all’ospedale gli diedero un colpo di grazia in una tempia.

 

I testimoni affermano che prima che lo uccidessero, si senti la sua voce che gridava “Viva la Rivoluzione! Viva Fide!”

 

Il suo funerale riunì un’immensa folla e apriva la marcia Donna Rosario, la madre, che ordinò che la bara non doveva essere chiusa, perchè Josué “contemplasse il popolo che lo seguiva”.

 

Nel suo nascondiglio clandestino, vivendo gli ultimi giorni della sua luminosa esistenza, Frank País inghiottiva nel silenzio il suo dolore .

 

Poi, con uno di quegli impulsi meravigliosi e quasi inesplicabili presenti nella sua personalità profonda e sensibile, scrisse:

 

“A mio fratello”.

 

E sotto il titolo cominciò a sgranare i versi:

 

“Nervi d’uomo in un corpo giovane,
coraggio e valore in una tempra rapida,
occhi profondi e sognatori.
amore pronto e appassionato...”