Fidel e il progetto della spedizione a Cayo Confites

 

 

28 settembre 2012 - Alexis Rojas Aguilera www.granma.cu

 

 

Una questione d’onore per Fidel Castro Ruz fu non lasciarsi catturare nella baia di Nipe il 29 settembre del 1947, dopo il fallimento del progetto di una spedizione, noto come ‘Cayo Confites’, che voleva liberare la Repubblica Dominicana dalla tirannia de Rafael Leónidas Trujillo Molina (Chapitas).

 

Quel giorno di 65 anni fa, alle tre del pomeriggio, il leader della rivoluzione cubana era a bordo di una delle imbarcazioni che trasportavano i membri della spedizione, nella maggioranza giovani. Alla stessa ora le fregate Máximo Gómez e José Martí, della Marina da Guerra di Cuba, che da alcune miglia seguivano i rivoluzionari, iniziarono l’ operazione della loro cattura nelle acque del canale d’accesso a Nipe.

 

Fidel però non lo catturarono. Il suo onore non lo permise, come accadde alla maggioranza degli uomini che dai primi giorni di luglio si addestrarono militarmente in condizioni molto difficili a Cayo Confites, al nord di Camagüey.

 

Virgilio Mainardi Reina, rivoluzionario della patria di Máximo Gómez e partecipante a quelle gesta, ricordò come, quando una delle fregate intimò di arrendersi, Fidel, che aveva solo 21 anni, affermò che non lo avrebbero catturato.

 

Le imbarcazioni della spedizione, intercettate, si dirigevano verso il compimento dell’ obiettivo tracciato.

 

Fidel era sulla nave Aurora, accompagnato da Miguel Luján Vázquez, fratello di Andrés, di Manzanillo, che dopo diversi anni fu membro della spedizione del Granma, e venne ucciso in Alegría de Pío.

 

In un canotto gonfiabile, il giovane rivoluzionario Fidel Castro ed altri tre membri della spedizione abbandonarono la nave con diverse armi avvolte in nylon.

 

Con il peso dei quattro uomini e delle armi, la piccola imbarcazione di salvataggio minacciava di affondare mentre vogavano con una tavola che sostituiva il remo in direzione del cayo Saetía, una porzione di terra che divide le baie di Nipe e Levisa.

 

Approssimandosi alla costa di Saetía, si avvicinò a loro un motoscafo del “Práctico del Porto” di Antilla.

 

Fidel prese la mitragliatrice e minacciò l’equipaggio dicendo che o tendevano loro un cavo per rimorchiare il canotto o si avvicinavano per farli salire sulla loro imbarcazione.

 

Il molo di cayo Saetía era occupato dall’esercito e, di fronte al nervosismo e alla paura del “Práctico” che li potessero scoprire e ammazzare, Fidel assicurò che, per evitarlo, si sarebbero gettati in mare, e così fu.

 

Da lì nuotarono per non compromettere le vite dell’equipaggio dell’imbarcazione che li aveva raccolti.

 

Fide, atleta genuino, si lanciò nelle acque con due mitragliatrici e senza salvagente, come fecero invece i suoi compagni. I quattro giunsero poi a Cayo Saetía, dove ricevettero aiuti per proseguire sino a Birán.

 

Il giorno dopo, il 30 settembre del 1947, si parlò molto del fatto, fondamentalmente nel villaggio della ex fabbrica di zucchero Preston, che molti membri della spedizione erano stati divorati dai pescecani.

 

Questo aneddoto singolare si trova nel libro inedito dell’investigatore del pensiero rivoluzionario cubano, Diego Guiu Ruíz, tenente colonnello (r) , del Ministero degli Interni.