Sergio Saíz Montes de Oca era minore di un anno di suo fratello Luis. Poeta di raffinata sensibilità fu profeta nei suoi versi, della morte di loro due : “Corpi sul cemento di una strada, e una stella…” Luis Saíz Montes de Oca era un intellettuale di notevole formazione, nonostante la sua gioventù. Fu capo d’azione del Movimento 26 di Luglio a San Juan y Martínez e morì da valoroso con suo fratello Sergio, uscendo in difesa di questi; con la loro morte si consumò uno dei più abominevoli crimini della dittatura di Fulgencio Batista.
È martedì 13 agosto del 1957. La superstiziosa coincidenza non dice niente al coraggioso spirito dei due fratelli Luis e Sergio Saíz Montes de Oca.
All’angolo del teatro, Sergio va avanti mentre Luis resta nel portale del negozio vicino, salutando alcuni amici. Dietro le colonne del portale a lato del cinema si nascondono Margarito Díaz e Pablo Zayas, i due boia miserabili.
Margarito è il più deciso. Con la frusta in mano, anche se è vestito da civile, intercetta Sergio. “Dove vai, ragazzo?”, gli domanda. Sereno, il più giovane dei Saíz risponde: “Al cinema. Le interessa?” La domanda, ironica, viene presa come una sfida dal sicario. “Mi prendi in giro? Tu vedrai!” dice, in tono minaccioso. Si mette la frusta sotto il braccio e con le due mani tenta di perquisire Sergio. Il giovane si ribella e si toglie dalla stretta con un violento spintone. Rapidamente Margarito prende la frusta e colpisce il viso del ragazzo lasciando sulla guancia un rosso solco. “Vigliacco!”
L’imprecazione sembra sufficiente al provocatore per affrettare la conclusione. Estrae dalla cintura la pistola 45 e la punta su Sergio. Dal portale del negozio esce Luis che si è accorto di quel che sta succedendo.
“Assassino, ammazza me e non mio fratello!” grida Luis, mentre si getta addosso a Margarito. Il boia si volta e dimostra la sua perizia nel tiro, e la pallottola perfora il cuore del maggiore dei Saíz.
Tra allibito e desolato, Sergio cerca di andare verso suo fratello.
Un altro preciso proiettile lo ferma nel movimento e la pallottola gli attraversa la mano alzata in un inutile gesto di difesa e poi gli rompe l’aorta.
Una coraggiosa lettera di Raúl Roa
Pochi giorni dopo il brutale assassinio dei fratelli Saiz, il dottor Raúl Roa scriveva al loro padre, suo compagno d’università, questa coraggiosa lettera:
“Dottor Luis Saíz y Delgado.
Mio caro amico e compagno: ti scrivo questa lettera con l’animo stravolto dall’ira e dal dolore. Ira, sì, per l’impotenza di fronte alle forze che comandano, camuffate da autorità, spezzando implacabilmente vite in fiore; dolore - dolore profondo, viscerale- per questo brutale taglio delle radici, di cui sono stati vittime un padre y una madre che tanto apprezzo. La tragica morte di Luis e Sergio mette in evidenza, con terribili contorni, sino a che punto siamo tornati alla barbarie. Non posso, nè potrei consigliarti la rassegnazione. Non posso, nè potrei, offrirti alcuna consolazione. La rassegnazione e la consolazione sono vane retoriche in fatti come questi. Basta dirti che, come padre, io sento, sento come mia la tua desolazione; e come padre, si può solo desiderare che sia vicino il giorno in cui il sangue innocente dei tuoi figli – semente generosa- smetta di reclamare giustizia ed espanda luce serena nel ricordo. Le circostanze li hanno trasformati in simbolo e come martiri passeranno alla storia. Non è per caso che la coscienza di tutto il paese si è risvegliata contro tanto abominevole crimine, rompendo il silenzio spaventoso in cui viviamo sottomessi. Mia moglie m’incarica di comunicarti la sua identificazione piena in quest’ora carica di tribolazione e tu ricevi, con tua moglie, un forte abbraccio di condoglianze e amicizia, di Raúl Roa”.
L’Avana, 17 agosto del 1957.