Le
due locomotive entrarono nel cortile dei Talleres de Ciénaga,
tirando 18 vagoni con 300 soldati, 28 ufficiali e un
armamento molto pesante: una mitragliatrice calibro 50, un
cannone da 20 mm; 6 bazooka; 5 lanciamissili; 5 mortai da 60
mm.; 14 mitragliatrici calibro 30; centinaia di fucili,
pistole e revolver.
Poche
settimane prima il corpo d’ingegneria dell’esercito di
Batista aveva iniziato nei Talleres de Ciénaga, all’Avana,
la costruzione di quella fortezza militare, con l’obiettivo
di rinforzare la potenza bellica delle truppe che a malapena
riuscivano a contenere l’offensiva sferrata dalle colonne
Ciro Ridondo, comandata da Che Guevara e Antonio Maceo,
comandata da Camilo Cienfuegos.
Gli operai
di Ciénaga e le loro organizzazioni sindacali boicottarono
la realizzazione del progetto, ritardando l’opera,
frustrando le truppe del presidio e facendo aspettar per una
saldatura, la sistemazione d’un bullone o di altri elementi.
Il 23
dicembre infine il treno militare era pronto con le sue
pareti blindate e tutta l’artiglieria, con le armi migliori.
I suoi 300 soldati e 28 ufficiali, preoccupati ed esaltati
iniziarono l’avventura e videro sfilare, guardando dalle
strette fessure, il paesaggio di una Patria ostile. Molti
non conoscevano i preparativi strategici dei ribelli che in
poche ore li avrebbero posti tutti in condizioni di vita o
di morte.
Un
testimonio di quei giorni, Joaquin Betancourt, disse che il
treno arrivò un pomeriggio ed era imponente con tutte quelle
armi; la notte accesero potenti riflettori che si vedevano
sin da Placetas.
La
conferma dell’arrivo del convoglio militare per le
riparazioni sulle vie di comunicazione, a carico del Corpo
Ingegneri, che era il nome eufemistico che il regime aveva
adottato per il bunker mobile, rese felice il generale Río
Chaviano, capo militare del Terzo Distretto militare.
Il 28
dicembre il sole si stava intrattenendo per i preparativi
del giorno vittorioso e sorse tardi, quando le truppe dei
ribelli stavano abbandonando la città e mentre mettevano in
pratica una nuova forma di guerriglia urbana, rompendo le
sclerotiche strategie da caserma.
Il
Comandante Guevara aveva fatto togliere le rotaie proprio là
dove doveva passare il treno di Batista.
Betancourt
ricorda che questo proposito: “Il treno chiamò con la
campana la sua gente che stava sparando dalle alture della
colline di Capiro sulla colonna del Che che stava avanzando
sulla strada di Camajuaní. Poi il treno retrocesse a mezza
macchina proprio verso il punto dove la guerriglia lo stava
aspettando e deve aveva tagliato i binari(...)
La truppa
che viaggiava all’interno dei vagoni ebbe appena il tempo di
togliersi il fango dagli stivali militari. Il rumore che
produsse il deragliamento fu assordante. Il treno blindato,
speranza del comando generale di Batista, saltò con violenza
fuori dai binari, strisciando sull’asfalto della strada e
sull’erba di Guinea della ripida cunetta. Così iniziò quel
combattimento che il Che avrebbe definito “molto
interessante”.
Con la
collaborazione della popolazione civile, gli uomini di Guile
Pardo lanciarono decine di bottiglie Molotov contro il
rivestimento metallico dei vagoni deragliati. Il fuoco
accarezzò i fianchi dell’animale ferito e i soldati, agitati
per l’ incidente, riuscivano appena a rispondere alla
grandinata di piombo che gli arrivava addosso.
La
giornalista Teresa Valdés scrisse nella rivista Moncada –
edizione speciale del 6 ottobre del 1987 : “Con l’obiettivo
di distruggere il morale dei soldati già sconfitti e per
informarli che il capo della nostra truppa era il Che, Guile
Pardo propose una tregua e organizzò un incontro tra i due
capi rivali” (...)
Il
Comandante Guevara mandò a cercare una macchina con
l’altoparlante e due compagni dell’organizzazione urbana 26
di Luglio si presero il compito di trovarla. Lo stesso
Guevara, parando con un microfono ai soldati della tirannia,
li esortò a deporre le armi e ad evitare maggiori
spargimenti di sangue.
Alla fine
si decisero a conversare. Il Che si tolse l’arma, ma il
comandante del treno tenne la sua. Quando lo avvisarono la
consegnò. “Io voglio parlare dove i soldati non ci sentono”,
chiese il batistiano e il Che accettò d’andare in un vagone.
“Comandante, disse l’ufficiale di Batista, le dò la mia
parola d’onore che se lei ci lascia tornare all’Avana non
spareremo più nemmeno un colpo”.
Il Che
sorrise. “Io credo alla sua parola d’onore, ma non voglio
che queste pallottole uccidano altri cubani, nè qui nè là”.
Il Che fissò un ultimatum, ma quelli si arresero prima.
Il 19
dicembre alle 19 i combattenti ribelli e i loro
collaboratori iniziarono a togliere le armi e le munizioni
dal treno nemico, per evitare che l’aviazione le potesse
distruggere. Un bottino così straordinario. Santa Clara
aspettava.
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