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Cultura |
Como negarci al canto dell’Africa!
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31 maggio 2012 - Pedro de la Hoz www.granma.cu
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Salvo contate e sporadiche eccezioni, a Cuba poco si sa del formidabile movimento artistico africano contemporaneo, inquietante paradosso se si considerando i fluidi vasi comunicanti tra le culture dei nostri popoli.
Assistendo alle manifestazioni musicali che hanno accompagnato la realizzazione, a Johannesbourgh, del Primo Vertice Globale della Diaspora Africana, ho ricordato alcuni episodi che dimostrano la vicinanza della sensibilità cubana di fronte a visibili dimostrazioni delle gerarchie artistiche di questo continente.
Miriam Makeba, la grande diva della canzone sudafricana, ci ha sedotto con il suo Pata pata; nel tempo della nostra solidarietà combattiva con il popolo angolano, alcune canzoni di quel paese divennero popolari nell’Isola e più recentemente la congiunzione di Eliades Ochoa con musicisti del Mali e del Congo ha fatto il giro del mondo, come alcuni decenni fa accadde con L’Orchestra Argon, che collaborava con Papá Wemba e altri cantanti.
Negli ultimi anni il Premio Internazionale Cubadisco ha distinto dischi di importanti esponenti della canzone africana; e non manca una grande passione per la figura straordinaria che fu la caboverdiana Cesaria Évora.
Con Don Chisciottesco impegno, Guille Vilar sostiene la presenza dei musicisti africani nelle trasmissioni del suo programma televisivo “Musica del mondo”.
Qualcosa mi è sfuggito, nel ricordo, ma non molto.
Tutto questo ritorna nel momento in cui ci siamo fatti la domanda nel teatro del Centro delle Convenzioni di Sandton, totalmente stesi dal suono d’altissimo valore della musica del Sudafrica e del Mali: “Quanto guadagnerebbero gli appassionati cubani della musica, se ascoltassero per radio e vedessero alla TV con debita frequenza, le magnifiche interpretazioni di Yvonne Chaka Chaka, Hugh Masekela, Sibongile Khumalo y Salif Keita?
Di Chaka Chaka ricordiamo la sua fugace apparizione nel programma culturale dei mondiali di calcio.
La Makeba ha detto di lei: “Questa è la mia bambina!” Nata a Soweto, aveva 11 anni quando avvenne il sollevamento popolare criminalmente represso dalle forze della polizia dell’apartheid. La combinazione di una forza ritmica strepitosa e una melodia che supera parametri abituali del pop, sostentano la sua proiezione musicale. La chiamano ‘La Principessa dell’Africa’ e temi come il suo Umbongothi, I cry for freedom e Motherlande formano parte dell’immaginario culturale di vari paesi della regione.
Possibilmente Hugh Ramapolo Masekela è, a 73 anni, il simbolo per eccellenza del jazz dell’Africa subsahariana. Trombettista, compositore e cantante, maturò artisticamente dal 1961, quando s’installò negli Stati Uniti. Lì la sua canzone ‘Grazing in the grass’ divenne una delle più importante della scena nordamericana. Nel 1968 la sua fama crebbe con la partecipazione alla turnée mondiale di Paul Simon, Graceland e il mondo fece suo l’appello lanciato nel 1987, quando con “Bring him back home” reclamò la libertà di Nelson Mandela.
Quando il pubblico cubano avrà l’opportunità di sentire Sibongile Khumalo, avvertirà la splendida maturità di una cantante ‘tuttoterreno’, che va dal blues e dallo scat, alle tradizioni popolari sudafricane, passando per l’opera e la musica classica. Ha interpretato la Carmen, di Bizet e il grande Yehudi Menuhin la segnalò nel 1995 per l’elenco dei solisti del Messía, di Handel.
Ogni concerto e album di Salif Keita è un avvenimento in Africa e in Europa. Nata in Mali in una famiglia della nobiltà locale, ha dovuto lottare contro i pregiudizi che segnano gli albini, portatori, dicono, di malaugurio. Il suo talento lo ha salvato. Ha fuso le tradizioni dei giullari con il pop/ rock occidentale con somma originalità ed è un mito da quando Joe Zawinul lo ha portato nel Weather Report, nel 1989.
Queste e molta altre gioie del firmamento musicale africano non devono restare sconosciute al gusto musicale cubano È già ora!
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