Messico e Cuba |
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22.03.12
- A. Riccio
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Se è vera la notizia che trovo su TeleSUR di qualche giorno fa, sorprende che altri mezzi di informazione non l’abbiano ripresa: nello stato messicano di Chihuahua una cinquantina di indigeni di etnia rarámuri o tarahumaras si sarebbero suicidati gettandosi in un precipizio o impiccandosi, nel dicembre scorso per sfuggire alla povertà e alla fame a cui erano condannati insieme ai propri figli.
Alla fame si aggiunge la presenza di gruppi criminali, la siccità, il freddo e l’abbandono da parte dello stato. Questa popolazione vive fra i 1.500 e i 2.400 metri sulla Sierra Madre Occidental, in condizioni difficili aggravate dalla siccità. Ormai le madri partoriscono figli denutriti e malati e questa antica razza di cui si era occupato Antonin Artaud e la cui conoscenza di erbe e funghi allucinogeni aveva destato molti interessi e curiosità, rischia di scomparire.
Il grande e disperato Messico ha abbastanza problemi urgenti da risolvere, in questo momento aggravati da un terremoto di quasi 8°, ed è quindi comprensibile che la questione tarahumara non sia una priorità. Ma pensare alla disperazione di questa piccola comunità che ricorre adesso al suicidio di massa, ci fa andare indietro di cinquecento anni, quando i nativi americani non trovavano altro modo per sfuggire all’avanzata distruttrice dei conquistatori che affermavano di portare il progresso in quelle terre.
I nostri giornali, in queste settimane, si stanno interessando al viaggio del Papa in Messico e a Cuba. Per quello che riguarda il Messico, non risultano pretese di gruppi maltrattati o repressi di essere ricevuti da Sua Santità ma per quella giornata e mezzo che Benedetto XVI trascorrerà fra Santiago e L’Avana già da tempo lavorano gli anticastristi della Florida e della Spagna fornendo indicazioni, materiale e denaro, ai piccoli gruppi di opposizione che sperano ed esigono l’attenzione del Papa sulla loro vicenda.
Bisogna dire che dopo anni di rapporti freddi e di grande diffidenza verso una Chiesa Cattolica ancora nelle mani di un clero spagnolo retrogrado e spesso francamente franchista, l’intelligenza e la buona volontà da entrambe le parti ha ottenuto un utile cambiamento di atteggiamento. Parlo dell’aspetto politico dei rapporti fra Stato e Chiesa, visto che nel campo spirituale, ognuno coltiva nel suo spirito la devozione religiosa che ha scelto o ereditato. La Chiesa ha ottenuto la riapertura di chiese, un nuovo seminario, l’ufficialità della festa del Natale e l’autorizzazione alla peregrinazione della Patrona di Cuba, la Virgen de la Caridad del Cobre, lungo tutta l’isola. Lo Stato ne ha ricavato un nemico in meno, la condanna convinta dell’embargo statunitense e un riconoscimento franco della politica sociale della rivoluzione. La visita del Papa a fin e mese porrà di nuovo Cuba sotto i riflettori e in qualche modo compenserà la sua assenza alla Cumbre de las Américas di Cartagena in Colombia a causa del veto di Washington. Il coraggiosa presidente dell’Ecuador, Correa, aveva minacciato di disertare il Vertice se Cuba non veniva invitata e così avrebbero potuto fare i Presidenti de gruppo ALBA. Il Presidente della Colombia, Santos, ha dovuto viaggiare all’Avana per spiegarsi e scusarsi con Raúl Castro, chiedendogli anche di rabbonire i suoi alleati latinoamericani. Prima di quell’incontro in Colombia, le telecamere di mezzo mondo saranno puntate sull’isola reietta, sui suoi dirigenti, sugli ospiti importanti e sul suo popolo manifestante.
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