La morte di Hugo Chávez, dopo un calvario lungo tre mesi, ha avuto un grande rilievo internazionale, a prescindere dalla vulgata che lo voleva “caudillo”, dittatore, ingannatore del suo popolo, amico dei peggiori capi di stato del mondo. Le immagini che giungono da Caracas e dall’America Latina, parlano di un grande lutto continentale e del dolore del popolo venezuelano e di tanti cittadini dell’America Latina e del Caribe, ma non solo, e questo dolore non puň essere taciuto. Sono fra quelli che hanno ammirato in Chávez il convincimento che un altro mondo fosse possibile avendo vissuto la sua infanzia e la sua giovinezza in un Venezuela dove le ricchezze immense del territorio restavano nelle mani di pochi, mentre troppi vivevano nella miseria e addirittura nella inesistenza degli indocumentati (cinque milioni di cittadini, secondo l’ONU).
La
sua
infanzia
povera
nei
llanos
venezuelani,
i
suoi
sogni
di
riscatto
che
gli
avevano
dato
accesso
alla
carriera
militare
grazie
alle
sue
doti
di
giocatore
di
base-ball,
la
riflessione
condotta
insieme
ad
altri
commilitoni
sulla
lezione
di
Simón
Bolívar
e
sul
suo
progetto
incompiuto
di
una
America
Latina
federata
e
unita,
lo
avevano
indotto
a
fondare
il
Movimento
Bolivariano
Revolucionario
200.
Da
allora,
non
ha
piů
smesso
di
preoccuparsi
del
destino
del
suo
paese
dove
un
Presidente
pseudo
socialista,
Carlos
Andrés
Pérez
faceva
sparare
sui
dimostranti
e
dove
una
rivolta
popolare
contro
le
misure
di
austeritŕ,
nel
1989,
fu
soffocata
nel
sangue.
Quella
rivolta,
el
caracazo,
č
stata
forse
la
prima
ribellione
popolare
contro
le
soffocanti
misure
di
austeritŕ
imposte
dal
neoliberismo.
Tre
anni
dopo,
quel
tenente
energico
ed
esplosivo,
capitanava
una
sollevazione
militare
contro
il
governo,
fallita
miseramente.
Condannato
alla
prigione,
Chávez
seppe
trarre
frutto
da
quegli
anni
di
carcere
in
cui
potč
leggere,
riflettere,
meditare.
Come
per
Fidel
Castro,
come
per
Nelson
Mandela,
anche
per
lui
si
puň
parlare
di
una
“prigione
feconda”.
Nel
1998
č
pronto
per
presentarsi
alle
elezioni
che
vince
con
il
56%
dei
voti.
Da
allora,
e
per
15
consultazioni
elettorali,
tranne
una,
ha
sempre
battuto
gli
avversari
fino
alla
recente
vittoria
su
Capriles,
che
si č
dovuto
accontentare
di
tre
Distretti
contro
i
venti
assegnati
al
Presidente
giŕ
minato
dal
cancro
eppure
battagliero
nella
sua
ultima
campagna.
Neanche
il
fulmineo
colpo
di
stato
del
2002,
ordito
dalla
destra
reazionaria
e
appoggiato
dagli
Stati
Uniti,
č
riuscito
a
ostacolarne
il
cammino,
eppure
Chávez
fu
arrestato,
trasportato
su
un’isola,
comminato
a
firmare
la
sua
rinuncia
mentre,
nell’ordine,
la
Santa
Sede
e
gli
Stati
Uniti
d’America
si
affrettavano
a
riconosce
il
golpista
Cardona
come
nuovo
Presidente.
Una
grossolana
falsificazione
degli
avvenimenti
drammatici
che
costarono
dei
morti
in
piazza,
non
riuscě
a
nascondere
la
veritŕ:
il
popolo
venezuelano
aveva
stretto
d’assedio
la
residenza
presidenziale
e
aveva
preteso
e
ottenuto
la
liberazione
del
legittimo
presidente.
Una
biografia
limpida,
quella
di
Chávez,
ma
una
presenza
politica
nel
paese,
nelle
Americhe
e
nel
mondo
molto
ingombrante
e
disobbediente.
Ha
avuto
forza
ed
energia
per
affrontare
grandi
battaglie
di
trasformazione
interna
del
paese,
a
cominciare
dalla
battaglia
contro
la
miseria,
l’analfabetismo,
le
malattie;
battaglie
che
ha
potuto
affrontare
grazie
alla
tenacia
con
cui
ha
impedito,
in
extremis,
che
il
petrolio
venezuelano
venisse
nuovamente
privatizzato,
alla
sua
spregiudicatezza
nell’osare
scambiare
petrolio
per
medici,
alfabetizzatori
e
tecnici
della
Cuba
di
Castro
(ancora
e
sempre
fra
i
paesi
canaglia
per
gli
Stati
Uniti),
al
suo
protagonismo
fra
i
paesi
produttori
di
petrolio.
Oggi,
in
questo
frastuono
di
opinioni
fortemente
discordanti,
chi
volesse
sapere
quali
progressi
ha
fatto
il
Venezuela
sotto
la
presidenza
di
Chávez,
potrŕ
andare
a
cercare
i
dati
delle
Nazioni
Unite,
fino
a
prova
contraria,
i
piů
obbiettivi.
La
dura
battaglia
interna
non
ha
tolto
energie
al
Presidente
che
ha
tessuto,
nei
quattordici
anni
di
governo,
una
salda
rete
di
alleanze
e
collaborazioni
con
molti
paesi
dell’America
Latina
attraverso
la
creazione
di
organismi
e
istituzioni
indispensabili
per
assicurare
l’autonomia
del
sub
continente
dal
prepotente
vicino
del
nord.
La
sua
azione
č
stata
decisiva
per
far
fallire
l’ALCA,
il
progetto
statunitense
che
avrebbe
legato
mani
e
piedi
le
economie
latinoamericane
al
carro
yankee,
a
Mar
del
Plata
nel
2005
insieme
a
Fidel
Castro,
Néstor
Kirchner,
Lula
e
gli
altri
nuovi,
disobbedienti
leaders
del
subcontinente.
Ha
dato
impulso
a
una
rete
televisiva
regionale,
Telesur,
a
una
banca,
Bancosur,
a
Petrocaribe,
a
UNASUR
(Unión
de
Naciones
Suramericana),
al
Consejo
Suramericano
de
Defensa,
fino
all’ultimo
CELAC
(Comunidad
de
Estados
Latinoamericanos
y
Caribeńos),
dando
avvio
concreto
a
un’ipotesi
di
Unione
Latinoamericana
che
era
stato
il
grande
sogno
di
Bolívar.
E
mandando
a
quel
paese
l’obsoleta
Organizzazione
degli
Stati
Americani,
dopo
aver
regalato,
durante
l’ultimo
vertice,
Le
vene
aperte
dell’America
Latina
di
Eduardo
Galeano,
al
nuovo
presidente
degli
Stati
Uniti,
il
mulatto
Barak
Obama,
un
metodo
decisamente
insolito,
ma
giusto,
per
trasmettere
un
messaggio
semplice:
cerca
di
conoscerci,
di
conoscere
la
nostra
storia.
Morto
Chávez,
Obama
ha
dichiarato
che
“mentre
in
Venezuela
comincia
un
nuovo
capitolo
della
sua
storia,
gli
Stati
Uniti
mantengono
la
loro
politica
per
promuovere
principi
democratici,
lo
Stato
di
diritto
e il
rispetto
per
i
Diritti
Umani”,
peccato
lo
avessero
dimenticato
quando
hanno
dato
appoggio
al
golpe
di
Carmona
e
rifugio
ai
golpisti
e
all’ex
Presidente
corrotto
Carlos
Andrés
Pérez,
l’unico
presidente
ad
essere
stato
scacciato
da
una
sentenza
dei
giudici
in
quanto
colpevole
di
“frode
alla
nazione”.