Il popolo venezuelano ancora segnato per la prematura scomparsa del Comandante Hugo Chavez, che aveva vinto in ottobre le elezioni presidenziali, con una forza straordinaria nonostante la sua salute fosse già compromessa dalla malattia, si è recato nuovamente alle urne come previsto dalla costituzione bolivariana. Nicolas Maduro, successore indicato dal Comandante, ha sfidato l’esponente della destra Capriles, che è stato ancora una volta battuto. Indice incontrovertibile della volontà popolare di continuare nel percorso di costruzione del socialismo del XXI secolo, nel solco tracciato da Hugo Chavez. La vittoria, però, è avvenuta con un margine inferiore rispetto alle attese. Una differenza percentuale di un punto e mezzo circa, rispetto ai dieci che indicavano i principali sondaggi diffusi.
Tanto è bastato alla destra – sempre in contatto con gli elementi più reazionari dell’establishment nordamericano che cercano disperatamente di recuperare l’egemonia perduta – spalleggiata da gran parte dei mezzi di comunicazione privati interni e internazionali, per gridare alla frode e chiamare i propri sostenitori in piazza. Il tutto senza produrre uno straccio di prova seria a suffragio di un’accusa tanto grave. Il classico copione da «rivoluzione arancione», come sottolineato da Maduro, volto a creare disordini miranti a sovvertire la volontà popolare. Insomma, la cronaca di un golpe ampiamente annunciato. Così, mentre in Italia venivano mostrate immagini di proteste pacifiche come il classico «caracolazo», con la scusante della richiesta del riconteggio integrale dei voti, per le strade del Venezuela si scatenava la violenza. Criminale e fascista. Da denunciare senza tema di smentita.
Sono state assaltate e date alle fiamme sedi del Psuv, assediate abitazioni di militanti e dirigenti del processo rivoluzionario, la sede dell’emittente satellitare Telesur e della Venezolana de Television. Addirittura devastati venticinque Centri Medici Integrali dove i medici cubani assicurano prestazioni sanitarie gratuite per la popolazione, i supermercati statali Mision Mercal e le case popolari della Gran Mision Vivienda. In un inquietante crescendo di odio classista. Senza contare minacce e aggressioni fisiche subite da esponenti politici, giornalisti e artisti di sinistra. Il bilancio è pesante: sono ben nove i morti (sette colpiti a morte con armi da fuoco, due investiti da camion) e oltre cento i feriti, che dai media nostrani sono indicati come il frutto di generici e non meglio precisati «scontri» tra le fazioni in lotta e la polizia.
Il tutto condito dalla solita retorica ammiccante e assolutoria verso le forze di destra. Mai è stato rammentato che il sistema elettorale venezuelano viene considerato da un osservatore imparziale come l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, quale il migliore del mondo. «É un dato di fatto – ebbe a dichiarare l’ex presidente durante un convegno ad Atlanta della sua fondazione Carter Center – delle 92 elezioni che abbiamo monitorato, direi che il sistema elettorale venezuelano è il migliore del mondo». Un sistema completamente automatizzato (gli apparecchi elettronici sono gli stessi utilizzati negli Usa), dotato di molteplici livelli di sicurezza, con sistema di riconoscimento tramite impronta digitale. Il voto viene espresso tramite touch screen, con ricevuta cartacea che viene apposta in un’urna sigillata. Tutti gli osservatori e gli organismi internazionali presenti, compreso il membro dell’opposizione all’interno del Cne (Consejo Nacional Electoral), non hanno avanzato dubbio alcuno circa la trasparenza e correttezza delle operazioni di voto e scrutinio.
Altro tema su cui battono in maniera incessante i media mainstream, apertamente schierati con la controrivoluzione, è la condizione economica del Paese. Secondo quanto affermano, il Venezuela sarebbe nel pieno di una «devastante» – per citare l’aggettivo utilizzato in un servizio dal Tg1 Rai – crisi economica, figlia della scellerata gestione di Chavez. Incapace di sfruttare le ingenti entrate derivanti dell’esportazione di petrolio. Curioso che queste critiche provengano, dagli stessi mezzi d’informazione che difendono a spada tratta le suicide e, queste sì devastanti, politiche di austerità applicate in Europa come un dogma indiscutibile.
Le critiche si concentrano soprattutto sull’alto tasso d’inflazione, scarsa produttività del settore privato, corruzione, taglio della produzione agricola, aumento della criminalità. Insomma, si delinea il profilo di un Venezuela destinato a un irrimediabile declino. Con la pretesa di volerci spiegare che per risollevarlo ci sarebbe bisogno di quelle stesse politiche liberiste, già applicate in maniera selvaggia, che avevano distrutto il tessuto sociale dell’intera America Latina. Riprendendo in toto i temi cavalcati dall’opposizione guidata da Capriles, che poi curiosamente sono anche le medesime critiche mosse da Repubblica in Italia, che tramite il giornalista (?) Omero Ciai si allinea perfettamente alle posizioni ultracritiche dell’inviato del britannico Guardian a Caracas Rory Caroll.
Basta però andare alla lettura dei dati, per constatare come queste critiche strumentali e ideologiche, non reggano alla prova dei fatti. L’inflazione che a oggi viaggia al 27.8%, nel 1996, prima dell’avvento di Chavez al potere superava il 100%, secondo i dati del Banco Central de Venezuela. La stessa istituzione che informa come negli anni della gestione Chavez, il settore privato sia cresciuto in media del 3.03% annuo, mentre quello pubblico del 2,82% per anno. Per quanto riguarda il settore agricolo, invece, abbiamo un aumento annuo della produzione del 3%, unito all’esponenziale aumento della produzione di grano, che grazie agli sforzi del governo ha compiuto un balzo in avanti del 140%. Permangono problemi alla corrente elettrica e ai rifornimenti alimentari, ma questi sono imputabili all’esplosione dei consumi tra le fasce più povere della popolazione, e non alla diminuzione della produttività, visto che come si evince dai dati, non ha avuto luogo.
Un discorso a parte va poi fatto per i settori commerciali e industriali privati del Venezuela, da sempre dominati dai cosiddetti groupos economicos, che controllando settori chiave dell’economia al riparo dalla competizione, non sono mai stati «costretti» dal mercato a investire in produttività e innovazione tecnologica. Volendo ragionare con la stessa logica dei critici di Chavez. Tirando le somme, dunque, anche l’accusa che le politiche socialiste del governo bolivariano abbiano danneggiato l’economia privata, non trova fondamento alcuno nella realtà.
La verità è palese: le classi dominanti non riescono ad accettare che le ingenti risorse derivanti dal petrolio, non siano più andate a rimpinguare i conti bancari dell’oligarchia come è sempre avvenuto. Ma bensì siano state utilizzate massicciamente per l’edificazione materiale del socialismo. Che significa, nella pratica, avere il minor tasso di disuguaglianza sociale della regione sudamericana – coefficiente di Gini 0,39 – supermercati statali con prezzi calmierati per le fasce sociali più deboli, case popolari – Gran Mision Vivienda – per chi prima era costretto in baracche di paglia e fango. Ingenti investimenti per la spesa sociale. Sanità universalistica e gratuita. L’accesso agli studi superiori garantito per tutti. Una pensione che permetta di affrontare con serenità la vecchiaia. Un sistema dove le ricchezze vengono distribuite equamente. Questo è il motivo reale per cui i servi dell’imperialismo riversano tanto odio e calunnie nei confronti di Hugo Chavez e del movimento bolivariano.