Il Premio Nobel Vargas Llosa e il suo strano

 

modo di concepire la libertà di stampa

14.06.2013 - A.Riccio http://www.giannimina-latinoamerica.it

Il Premio Nobel per la Letteratura, lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa trova sempre il tempo per diffondere i suoi editoriali in catene di quotidiani importanti, immagino a caro prezzo, vista la fama e il prestigio di cui gode specialmente in Spagna, paese di cui ha preso la cittadinanza. Essendo un militante liberale e cioè, a suo intendere, un difensore della democrazia e della libertà contro tutte le dittature, dopo un passato di sinistra, Vargas Llosa, come spesso i pentiti, pecca per eccesso.

 

Incaricato nel 1983 di presiedere la Commissione di Indagine sul Caso Uchuraccay, dall’allora presidente del Perù, Fernando Belaúnde, lo scrittore, già allora di chiara fama e di molto prestigio, si mise a studiare il caso eclatante dell’assassinio di otto giornalisti che si erano recati a Huaychao per un report sul massacro di indigeni in quei luoghi andini, massacro di cui erano indiziati elementi delle Forze Armate. Messo alla prova da questa delicata missione, Vargas Llosa sostenne l’estraneità dei militari che, viceversa, anni dopo furono condannati a vari anni di carcere proprio per la strage dei giornalisti. Non ricordo di aver letto una qualche considerazione dell’autorevole Premio Nobel su questo errore che, non solo discolpava i militari, ma incolpava le popolazioni indigene indicando nei loro usi barbari e selvaggi, la crudeltà del massacro.


Erano tempi molto violenti, di violenza fisica. Oggi si combattono le stesse battaglie con metodi più sofisticati e, per quanto nessuno lo abbia incaricato di farlo (almeno ufficialmente), Vargas Llosa si è sentito in dovere di farci sapere come la pensa in materia di spie, libertà e democrazia e sul El País del 14 luglio, quando gli amanti della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità celebrano la ricorrenza della Presa della Bastiglia, ha giocato di fioretto lanciandosi in un affondo contro Assange e Snowden “non paladini, ma depredatori della libertà che dicono di difendere”.


Già, perché per il grande scrittore: “Non ha molto senso convertire in un eroe della libertà Edward Snowden per il fatto che ha rivelato che non solo le casalinghe, i benigni di professione e i burocrati violano quotidianamente la privacy dei cittadini leggendo riviste, ascoltando o vedendo alla radio o in televisione i programmi costruiti apposta per violarla - il grande divertimento mediatico del nostro tempo - ma anche le spie.” La frontiera fra il pubblico e il privato, ci dice il Premio Nobel, non esiste più e le società democratiche - naturalmente si sottintende siano quelle occidentali - se ne farebbero una ragione, non fosse per i sussulti provocati dal pericolo di nuovi attentati terroristi di organizzazioni come Al-Qaeda, sempre pronta a tramare contro l’Occidente.


Che poi il Medio Oriente sia stato messo a ferro e a fuoco dopo l’11 settembre, che Bin Laden sia stato eliminato senza processo in un’operazione approvata dalla Casa Bianca, che Saddam Hussein e Gheddafi siano stati fatti fuori, sono meri “effetti collaterali” di una politica volta a far dormire sonni tranquilli ai paesi “democratici”, gli unici - sembra pensare Vargas Llosa - che meritano di vivere al sicuro.


D’altronde, ragiona l’intellettuale ispano-peruviano, lo straordinario progresso tecnologico degli ultimi decenni “ha messo nelle mani delle agenzie di intelligenza un giocattolo molto pericoloso che non solo minaccia i nemici della democrazia, ma la stessa cultura della libertà e le sue istituzioni rappresentative”. In altri termini, un soggetto astratto, “la tecnologia avanzata nel campo delle comunicazioni” ha la colpa di quel che accade e le povere agenzie di intelligenza –leggi CIA et similia- corrono il rischio di violare la legalità, naturalmente a fin di bene.


Ma non tutto è perduto, ci rassicura il nostro editorialista perché: “a differenza di quel che accade nelle dittature, nelle società libere, come gli Stati Uniti, esiste una giustizia indipendente, una stampa libera, un congresso rappresentativo e innumerevoli associazioni dei diritti umani, che possono denunciare quegli eccessi e cercare di correggerli. Perché Edward Snowden non ha scelto questa strada…?”. Forse la risposta la potrebbe dare soldato il Manning, maltrattato e processato da un tribunale militare, o i Cinque cubani condannati per spionaggio da un Tribunale della Florida la cui partigianeria era lampante, o la stessa vicenda di Assange, cittadino australiano, accusato da due signore adulte e vaccinate di violenza sessuale quando il suo caso eclatante era già scoppiato, costretto da più di un anno a vivere nell’Ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove il governo minaccia di arrestarlo non appena metta il naso fuori dal recinto diplomatico. Ma lo stesso Snowden sa perfettamente che la sua salvezza sta nel non finire nelle mani della giustizia del suo paese che implacabilmente, tenta di tagliargli tutte le vie di fuga; egli ha ingaggiato una battaglia contro un nemico che non perdona, ma per Vargas Llosa si tratta di tanto rumore per nulla. Lo spionaggio di milioni di cittadini e di governi del mondo intero è normale amministrazione, la privacy non esiste più, siamo tutti colpevoli di spionaggio quando leggiamo delle scappatelle di qualche star del mondo dello spettacolo; piuttosto bisognerebbe preoccuparsi delle limitazioni alla libertà di stampa di quei figuri che governano oggi il Venezuela, la Bolivia, l’Argentina e soprattutto l’Ecuador paesi dove i media sono in maggioranza nelle mani dei privati.


Assange, Snowden e Manning, contrariamente a quel che ne pensa il liberale Vargas Llosa, hanno messo in pericolo le loro stesse vite per svelare “di che lacrime grondi e di che sangue” la superpotenza che sta dominando il nostro mondo.