Il Premio
Nobel per la
Letteratura,
lo scrittore
peruviano
Mario Vargas
Llosa trova
sempre il
tempo per
diffondere i
suoi
editoriali
in catene di
quotidiani
importanti,
immagino a
caro prezzo,
vista la
fama e il
prestigio di
cui gode
specialmente
in Spagna,
paese di cui
ha preso la
cittadinanza.
Essendo un
militante
liberale e
cioè, a suo
intendere,
un difensore
della
democrazia e
della
libertà
contro tutte
le
dittature,
dopo un
passato di
sinistra,
Vargas Llosa,
come spesso
i pentiti,
pecca per
eccesso.
Incaricato
nel 1983 di
presiedere
la
Commissione
di Indagine
sul Caso
Uchuraccay,
dall’allora
presidente
del Perù,
Fernando
Belaúnde, lo
scrittore,
già allora
di chiara
fama e di
molto
prestigio,
si mise a
studiare il
caso
eclatante
dell’assassinio
di otto
giornalisti
che si erano
recati a
Huaychao per
un report
sul massacro
di indigeni
in quei
luoghi
andini,
massacro di
cui erano
indiziati
elementi
delle Forze
Armate.
Messo alla
prova da
questa
delicata
missione,
Vargas Llosa
sostenne
l’estraneità
dei militari
che,
viceversa,
anni dopo
furono
condannati a
vari anni di
carcere
proprio per
la strage
dei
giornalisti.
Non ricordo
di aver
letto una
qualche
considerazione
dell’autorevole
Premio Nobel
su questo
errore che,
non solo
discolpava i
militari, ma
incolpava le
popolazioni
indigene
indicando
nei loro usi
barbari e
selvaggi, la
crudeltà del
massacro.
Erano tempi
molto
violenti, di
violenza
fisica. Oggi
si
combattono
le stesse
battaglie
con metodi
più
sofisticati
e, per
quanto
nessuno lo
abbia
incaricato
di farlo
(almeno
ufficialmente),
Vargas Llosa
si è sentito
in dovere di
farci sapere
come la
pensa in
materia di
spie,
libertà e
democrazia e
sul El
País
del 14
luglio,
quando gli
amanti della
libertà,
dell’eguaglianza
e della
fraternità
celebrano la
ricorrenza
della Presa
della
Bastiglia,
ha giocato
di fioretto
lanciandosi
in un
affondo
contro
Assange e
Snowden “non
paladini, ma
depredatori
della
libertà che
dicono di
difendere”.
Già, perché
per il
grande
scrittore:
“Non ha
molto senso
convertire
in un eroe
della
libertà
Edward
Snowden per
il fatto che
ha rivelato
che non solo
le
casalinghe,
i benigni di
professione
e i
burocrati
violano
quotidianamente
la privacy
dei
cittadini
leggendo
riviste,
ascoltando o
vedendo alla
radio o in
televisione
i programmi
costruiti
apposta per
violarla -
il grande
divertimento
mediatico
del nostro
tempo - ma
anche le
spie.” La
frontiera
fra il
pubblico e
il privato,
ci dice il
Premio
Nobel, non
esiste più e
le società
democratiche
-
naturalmente
si
sottintende
siano quelle
occidentali
- se ne
farebbero
una ragione,
non fosse
per i
sussulti
provocati
dal pericolo
di nuovi
attentati
terroristi
di
organizzazioni
come
Al-Qaeda,
sempre
pronta a
tramare
contro
l’Occidente.
Che poi il
Medio
Oriente sia
stato messo
a ferro e a
fuoco dopo
l’11
settembre,
che Bin
Laden sia
stato
eliminato
senza
processo in
un’operazione
approvata
dalla Casa
Bianca, che
Saddam
Hussein e
Gheddafi
siano stati
fatti fuori,
sono meri
“effetti
collaterali”
di una
politica
volta a far
dormire
sonni
tranquilli
ai paesi
“democratici”,
gli unici -
sembra
pensare
Vargas Llosa
- che
meritano di
vivere al
sicuro.
D’altronde,
ragiona
l’intellettuale
ispano-peruviano,
lo
straordinario
progresso
tecnologico
degli ultimi
decenni “ha
messo nelle
mani delle
agenzie di
intelligenza
un
giocattolo
molto
pericoloso
che non solo
minaccia i
nemici della
democrazia,
ma la stessa
cultura
della
libertà e le
sue
istituzioni
rappresentative”.
In altri
termini, un
soggetto
astratto,
“la
tecnologia
avanzata nel
campo delle
comunicazioni”
ha la colpa
di quel che
accade e le
povere
agenzie di
intelligenza
–leggi CIA
et similia-
corrono il
rischio di
violare la
legalità,
naturalmente
a fin di
bene.
Ma non tutto
è perduto,
ci rassicura
il nostro
editorialista
perché: “a
differenza
di quel che
accade nelle
dittature,
nelle
società
libere, come
gli Stati
Uniti,
esiste una
giustizia
indipendente,
una stampa
libera, un
congresso
rappresentativo
e
innumerevoli
associazioni
dei diritti
umani, che
possono
denunciare
quegli
eccessi e
cercare di
correggerli.
Perché
Edward
Snowden non
ha scelto
questa
strada…?”.
Forse la
risposta la
potrebbe
dare soldato
il Manning,
maltrattato
e processato
da un
tribunale
militare, o
i Cinque
cubani
condannati
per
spionaggio
da un
Tribunale
della
Florida la
cui
partigianeria
era
lampante, o
la stessa
vicenda di
Assange,
cittadino
australiano,
accusato da
due signore
adulte e
vaccinate di
violenza
sessuale
quando il
suo caso
eclatante
era già
scoppiato,
costretto da
più di un
anno a
vivere
nell’Ambasciata
dell’Ecuador
a Londra,
dove il
governo
minaccia di
arrestarlo
non appena
metta il
naso fuori
dal recinto
diplomatico.
Ma lo stesso
Snowden sa
perfettamente
che la sua
salvezza sta
nel non
finire nelle
mani della
giustizia
del suo
paese che
implacabilmente,
tenta di
tagliargli
tutte le vie
di fuga;
egli ha
ingaggiato
una
battaglia
contro un
nemico che
non perdona,
ma per
Vargas Llosa
si tratta di
tanto rumore
per nulla.
Lo
spionaggio
di milioni
di cittadini
e di governi
del mondo
intero è
normale
amministrazione,
la privacy
non esiste
più, siamo
tutti
colpevoli di
spionaggio
quando
leggiamo
delle
scappatelle
di qualche
star del
mondo dello
spettacolo;
piuttosto
bisognerebbe
preoccuparsi
delle
limitazioni
alla libertà
di stampa di
quei figuri
che
governano
oggi il
Venezuela,
la Bolivia,
l’Argentina
e
soprattutto
l’Ecuador
paesi dove i
media sono
in
maggioranza
nelle mani
dei privati.
Assange,
Snowden e
Manning,
contrariamente
a quel che
ne pensa il
liberale
Vargas Llosa,
hanno messo
in pericolo
le loro
stesse vite
per svelare
“di che
lacrime
grondi e di
che sangue”
la
superpotenza
che sta
dominando il
nostro
mondo.