Nel suo messaggio alla
Nazione, il 10 settembre, il Presidente Obama ha messo
particolare enfasi nel sottolineare l'eccezionalità
degli Stati Uniti: "ciò che rende diversi gli Stati
Uniti, ciò che li rende eccezionali", secondo lui, è che
il suo paese agisce "con umiltà ma con decisione" di
fronte a violazioni in qualunque luogo. Senza indugio, è
arrivato ad affermare che "durante quasi sette decadi
gli Stati Uniti sono stati il sostegno della sicurezza
globale…questo ha significato più che realizzare accordi
internazionali: ha significato assicurare che vengano
rispettati".
Una simile idea l'ha ribadita poco dopo al cospetto
dell'Assemblea Generale dell'ONU in occasione
dell'apertura della Sessione del 2013.
Si tratta di una formula già ripetuta dai suoi
predecessori alla Casa Bianca e anche dalla maggioranza
dei politici del suo paese. Nell'impiegare questa
retorica, Obama non mostra certamente eccezionalità: è
fatto della stessa pasta di sempre.
L'idea che la potente Nazione sia diversa da tutte le
altre, che incarni presunti valori superiori e che sia
stata destinata dall'essere supremo a compiere una
missione divina, è profondamente radicata nella mente
delle élite WASP (White Anglo-Saxon Protestant, bianchi,
anglosassoni, protestanti, ndt). Anche altri settori
tendono a crederci, poiché da Gramsci in poi è noto che,
in ogni società, la cultura dominante è la cultura delle
classi dominanti.
E' un'idea abbastanza vecchia. Di essa sembra si sia
burlato, più di un secolo fa, Otto von Bismarck: "Dio ha
una Provvidenza speciale per gli stolti, gli ubriachi e
gli Stati Uniti d'America".
E', però, anche una convinzione molto pericolosa. Nella
propria superiorità ed eccezionalità, infatti, credevano
cecamente quelli che provocarono la Seconda guerra
mondiale e i suoi orrori, di fronte ai quali nacque
proprio l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
E' curioso che Obama sia tornato con un simile discorso
al cospetto dell'ONU. In quella sede potrà provare se la
storia dell'"assicurare che si rispettino gli accordi
internazionali" l'ha detta seriamente o era solo
un'espressione di bassa demagogia.
Infatti, il 29 ottobre,
l'Assemblea mondiale rifiuterà ancora una volta - e
siamo già alla ventiduesima - l'embargo economico,
commerciale e finanziario che Washington impone a Cuba.
Come ogni anno, gli Stati Uniti resteranno isolati, in
compagnia soltanto di Israele, loro fedele alleato, e
qualche altro satellite nordamericano del Pacifico, che
gli daranno il voto nonostante essi l'embargo non lo
pratichino.
Dal 1992 l'Assemblea Generale dell'ONU, anno dopo anno,
ha approvato, ad ampissima maggioranza, risoluzioni di
condanna all'embargo. Sono, ovviamente, "accordi
internazionali" ma, invece di "assicurare che vengano
rispettati", Washington li ha ignorati e, ancor peggio,
non solo persiste in una politica universalmente
condannata ma la intensifica.
Washington cerca di imporla ad altri, obbligando a
rispettarla o punendo imprese e persone che si trovano
fuori dalla giurisdizione nordamericana, violando la
sovranità degli altri e causando enormi danni e molte
sofferenze al popolo cubano. E' il genocidio più
sistematico e prolungato della storia: dura già da più
di mezzo secolo. Sotto il mandato di Obama è stato
rinforzato, giacché l'attuale Presidente osteggia le
transazioni cubane con altri paesi e con banche
straniere con maggior accanimento di quello mostrato da
George W. Bush.
Ogni anno Cuba riporta altre azioni di questo tipo
commesse da Washington a partire dalla precedente
sessione dell'Assemblea. Si tratta di contratti non
onorati, operazioni interrotte, forniture da imprese di
paesi terzi improvvisamente interrotte al momento della
loro acquisizione da parte di compagnie nordamericane.
In molti casi si tratta di soci di vecchia data dai
quali Cuba acquistava attrezzature, componenti o
prodotti indispensabili per i servizi ospedalieri e nel
trattamento medico di alcune malattie o sofferenze
fisiche. I bambini cubani ricoverati nelle sale dei
nostri centri di cardiologia infantile sono obbligati a
conoscere molto presto la crudeltà dell'embargo e
l'insensibilità dei burocrati che lo applicano. Quei
bambini e le loro madri conoscono meglio di chiunque
altro la dolorosa realtà del genocidio. E sanno anche
perfettamente quanto valgono le parole del Presidente
degli Stati Uniti.