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La preparazione per l’assalto alla Caserma Moncada
l’avanguardia rivoluzionaria |
30 marzo 2013 - www.granma.cu
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La partecipazione alle azioni e alle rivolte studentesche del 1952 del gennaio e febbraio del 1953, così come lo sviluppo della propaganda radiofonica legale e clandestina dopo il 10 marzo e prima della Moncada, ebbero un senso qualitativamente distinto: non si trattava allora di promuovere la lotta di massa, con il proposito di generare una situazione rivoluzionaria.
Si trattava d’approfittare di una situazione rivoluzionaria in ascesa, per darle un impulso, rinforzarla; elevare la coscienza sulla necessità di un determinato metodo di lotta e la sua disposizione per combattere; trasformare già i sentimenti e il pensiero in azione per promuovere la rivoluzione mediante l’insurrezione armata.
Come conseguenza, solamente un’avanguardia, anche se ancora in preparazione per compiere la sua funzione storica, riuscì a superare tanti inconvenienti, essere capace di trovare sufficiente fede nelle proprie idee per quanto romantiche potessero sembrare; avere la fiducia necessaria nella potenzialità rivoluzionaria delle masse; spiegare la sagacità necessaria per determinare il momento preciso in cui ogni passo poteva essere conveniente; mantenere il segreto sugli obiettivi strategici fondamentali, mentre si adattava la tattica alle peculiarità e alla cultura politica media del popolo, e finalmente identificare l’istante esatto in cui il popolo avrebbe potuto fare la rivoluzione, anche se soggettivamente non era stata raggiunta ancora tutta la maturità necessaria.
Giustamente, era saper apprezzare bene la dimensione delle condizioni soggettive era un altro tratto che avrebbe caratterizzato la nuova avanguardia nascente.
Ma non per il semplice fatto di conoscere le insufficienze in quegli istanti in cui, per esempio, le masse mancavano di una direzione adeguata, di fronte all’inettitudine o impotenza dei dirigenti politici, ma per l’adozione del metodo adeguato, per superare quelle debolezze e nonostante quelle, promuovere nel popolo l’attitudine per l’azione rivoluzionaria.
“I clichè ammazzano lo spirito dei rivoluzionari, li addormentano”, disse Fidel vari anni dopo analizzando la questione delle condizioni obiettive e soggettive per lo sviluppo della rivoluzione cubana. Spiegava come tutti erano d’accordo nel considerare che le condizioni obiettive erano date in Cuba, ossia che le condizioni sociali e materiali delle masse (un sistema di sfruttamento feudale, di sfruttamento disumano dei lavoratori, fame, sotto sviluppo economico, infine tutti quei fattori che producono disperazione da soli, uno stato di miseria e scontento delle masse).
Però nello stesso tempo riferiva che le relazioni con le condizioni soggettive: ...possibilmente qui non erano più di 20, e in principio non erano più di 10 le persone che credevano nella possibilità di una Rivoluzione. Ossia, non esistevano le dette condizioni soggettive di coscienza nel popolo...".
Che fare allora? Sperare che quelle condizioni soggettive si formassero per promuovere allora la Rivoluzione? Questo è l’atteggiamento che definisce l’avanguardia rivoluzionaria. Fidel stesso spiegò il metodo e le ragioni del suo utilizzo: “Non c’è migliore maestro delle masse che la stessa Rivoluzione, non c’è miglior motore delle rivoluzioni che la lotta di classe, la lotta delle masse contro i loro sfruttatori. Ed è stata la stessa Rivoluzione, lo stesso processo rivoluzionario che ha creato la coscienza rivoluzionaria.
E questo di credere che la coscienza deve venire prima e lotta dopo, è un errore! La lotta deve venire prima e inevitabilmente dopo verrà la lotta, verrà con impeto crescente la coscienza rivoluzionaria!”
Assieme alla conoscenza della strategia in termini economici, politici e sociali della teoria rivoluzionaria del proletariato, Fidel si appassionava con lo studio della nostra stessa storia. Non solo i testi martiani ma tutto quello che dava forza all’assimilazione del nostro ricco patrimonio rivoluzionario. Lì c’erano gli esempi del 1868 e del 1895 come compendi della veemenza e della tenacia per superare le difficoltà.
Nei tempi precedenti la Moncada, si vide Fidel con frequenza ripassare e raccomandare “Cronache della guerra di Cuba”, del generale José Miró Argenter e “Diario de campaña” del generalissimo Máximo Gómez.
Possibilmente lo studio della nostra storia suggerì a Fidel alcune soluzioni ai problemi che dovette affrontare l’avanguardia del ’53, includendo aspetti etici e tattici, ovviamente.
Non c’erano armi? Non c’erano risorse per comprare le armi? Era necessario allora sottrarle al nemico. Così avevano fatto una e mille volte i combattenti mambì nel XIX secolo.
Così praticamente si era sviluppata l’invasione verso l’occidente del paese nel 1895 e la favolosa campagna del Generale Antonio, assediato a Pinar del Río. Le prenderemo al nemico, rispose Máximo Gómez a Martí quando questi gli dettagliò la confisca da parte del governo statunitense delle tre imbarcazioni piene di armi con le quali avevano pianificato d’iniziare nuovamente la guerra d’indipendenza contro la Spagna.
Non c’erano armi, non c’erano risorse per comprare le armi?
Nei mesi precedenti la Moncada, Fidel diceva spesso: “ma se ci sono posti con più di cinquanta M-1; ci sono posti con migliaia di fucili ben ingrassati, ben conservati, ben guardati. Non vanno comprati: basta prenderli! Non li dobbiamo ingrassare, non dobbiamo fare niente. La sola cosa da fare è prenderli!”
Come dire: le armi si trovano nelle caserme del nemico.
E se questo era un esempio che si poteva trarre dallo studio della nostra storia, costituiva nello stesso tempo un’esperienza concreta vissuta da Fidel in Colombia durante i primi giorni del mese d’aprile del 1948, quando aveva partecipato con la popolazione colombiana all’assalto delle caserme e in quel modo aveva preso le armi con cui aveva partecipato al “ bogotazo”.
Così non deve stupire che, di fronte ai tentativi falliti di sommarsi ad altri progetti, prima, e per ottenere armi da organizzazioni e personalità presumibilmente impegnate a combattere la tirannia, dopo, questa avanguardia incipiente, ma fermissima nei suoi obiettivi, terminò con quella subordinazione per cominciare ad elaborare, dettaglio per dettaglio, un vasto piano d’insurrezione popolare, di lotta armata rivoluzionaria, partendo da un’azione iniziale: la presa di uno dei principali bastioni militari della tirannia.
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