Quando cominciai a intagliare il cofanetto di granadillo avevo già acquisito una certa esperienza con il legname prezioso dell’Isola de Pinos. Lì la legna abbondava in maniera incredibile e inizialmente, quando giungemmo al Presidio con la prima cordata di prigionieri politici, nel vedere per la prima volta tanto legname così bello rimanemmo tutti sbalorditi.
Il aité o yaití, ilyucaro. Il yamaquey, il acetllo, la baría , il guayacán, il ácana, il sangue di donzella, la yarúa, la yayabita, che è così bella che sembra una caramella avvolta in carta trasparente, la profumata sabina, l’ebano reale, profondo, incredibilmente nero e altre cento varietà per noi furono una scoperta sorprendente, grate alla vista per le tonalità che presentavano, grate all’orecchio, perchè i nomi originali degli indios dati a questi alberi sono così sonori, con una sonorità gradevole, che fa ricordare quella razza scomparsa. Senza dubbio però fu il granadillo a provocare la nostra ammirazione più notevole, perchè il suo aspetto è veramente fantastico.
Chi non lo ha mai visto quando spunta dalla terra - che grida offesa perchè è così crudelmente duro - può immaginare la singolare bellezza di una tavola di granadillo. Per questo è necessario che io racconti qualcosa su questo legno, perchè i lettori possano calcolare sino a che punto può essere interessante questo racconto.
Io ho un amico saggio. Si chiama Fernando Ortiz. Gli piace studiare tutto ciò che riguarda la scomparsa razza degli indios e organizza abbastanza spesso escursioni nei luoghi dove si presume vivessero i tranquilli tainos e gli umili e quasi timorosi ciboneyes.
Una volta egli percorse tutte le paludi della costa sud di Cuba e tra le tante cose interessanti nel suo percorso, tra le sabbie mobili, le paludi e le lagune pullulanti di caimani velocissimi, anatre lentissime e aironi da stampa, egli scoperse una palizzata affondata nella laguna, la cui costruzione - i saggi sanno supporre molto bene – risaliva a moltissimi anni prima. Era dell’epoca precedente la scoperta di Colombo, del periodo nel quale i ciboneyes fuggirono verso le caverne e le paludi per non farsi conquistare dai tainos. Egli prese due pezzi di quella palizzata, scegliendoli in diversi punti. Poi un esperto in legname, all’Avana, con una semplice limata, si rese conto che quei pezzi di legno coperti dal passaggio dei secoli erano uno di guayacán, la cui durezza è tale che lo si usa per costruire i fumaioli delle imbarcazioni e l’altro di granadillo.
Il cuore dei pezzi di legno era intatto e si potevano utilizzare per costruire preziosi regali.
Ho raccontato tutto questo per rendere giustizia alla bellezza di questo legname dei monti dell’Isola, così disprezzato dai più, tanto che persino l’imponente ebano, adatto ai sepolcri, viene bruciato per farne carbone.
Questi però sono solamente dettagli. È più interessante sapere un’altra peculiarità del granadillo. Io ho visto centinaia di pezzi di questo legno e non ne ho mai incontrato due uguali; a volte i pezzi dello stesso tronco sono decisamente differenti e solo il colore verdastro li rende classificabili dall’ebanista. E c’è di più. I colori, le sfumature, i disegni di questo legno sono sempre meravigliosi. Io, per esempio, conservavo da molto tempo, da mesi, un pezzo di granadillo che ricordava alla perfezione un tramonto pieno di nubi. Ho visto pezzi che ricordavano terribili mareggiate piene di mulinelli. Una tavola era così straordinaria che la lasciai intatta, perchè ci mostrava uno stormo di strani uccelli notturni... vampiri della fantasia! Esiste però un interesse superiore ed è per questo che scrivo tutto ciò. Scrivendo e considerando la sua strana natura, sono obbligato a dire che in senso filosofico io sono un puro materialista. Lo straordinario è la casualità, i cui sconosciuti vincoli sono a volte così sottili che sembrano opera di poteri superiori e misteriosi.
Il fatto è questo: io stavo intagliando un piccolo cofanetto di granadillo che era una specie di portagioie. Avevo trovato alcune tavole di granadillo molto vecchie, molto scure che davano, battendole una contro l’altra, un suono puro come il vetro o l’argento pulito, come le migliori claves. Mi piaceva batterle per udire la loro voce. Mentre pulivo il legno il suono divenne sempre più brillante più musicale. Quando lo scrigno era già quasi pronto e gli mancava solo il coperchio, un dipendente del padiglione all’ospedale nel quale stavamo isolati noi prigionieri politici, che mi aveva osservato lavorare un giorno dopo l’altro mentre intagliavo il legno, mi disse: “ Caramba, io le darei un pezzo di legno che ho, a condizione che lei lo utilizzi per fare il coperchio di questo bauletto. Lo vorrei tenere per me, ma in realtà io non uscirò di qui che tra diciassette anni e solo dio sa...uno nel presidio non sa oggi quel che avverrà domani...”
Io accettai ambiziosamente la proposta dell’amico carcerato. Mi aveva sorpresola sua insistenza a proposito del coperchio dello scrigno; con l’indice me lo aveva indicato con l’apparente timore che io non lo volessi eseguire. Gli chiesi perchè voleva usare quel pezzo di legno proprio come coperchio del bauletto. Mi rispose allora:“ Mi sono reso conto che lei lavora con molto interesse Sicuro, ma di sicuro lei lo sta facendo per regalarlo a una persona che ama molto... È così o no?”
Io risposi di sì perchè veramente lo stavo facendo per regalarlo a Tetè. Con la soddisfazione di un autentico e vivace contadino aggiunse:“ Lo vede ! Io conosco la gente! Per questo voglio che metta quel legno lì! Questo è quello che mi interessa...Se io fossi sicuro di poterlo conservare lo terrei per me...” però lei sa com’è un giorno, passa una ispezione e me lo levano.”
Mi aveva convinto e siccome io sapevo che il granadillo offre sempre delle sorprese gli chiesi di vedere il legno; lui mi rispose che lo teneva nella circolare e che non me lo poteva portare sino al giorno seguente.
Il giorno dopo me lo portò. Quel pezzo di legno era veramente sorprendente: gli avevano dato solamente una strofinata di carta vetrata e rivelava con una perfezione quasi misteriosa la faccia di un cinese. Una faccia però che mostrava una tale cattiveria che, guardandola, non si poteva fare a meno di distogliere la vista anche se si riusciva a farlo con fatica, perchè lo stupore stordiva e meravigliava sempre più, contemplandola.
I capelli lunghi e rigirati, inclinati verso un lato per coprire una pare della fronte erano un disegno perfetto. Gli occhi, che forse esprimevano tutta l’attrazione del disegno incredibile, apparivano marcati con grande chiarezza, lievemente socchiusi, nascosti dietro le palpebre; uno non poteva evitare di credere che là dentro, all’interno di quella fibra durissima, due pupille guardavano implacabilmente, senza pietà e con una certa espressione maligna e burlona. La bocca amara, corta e crudele, era un pò bassa e completava l’impressione sgradevole causata dal viso in generale. Sopra la bocca un naso schiacciato si dilatava in maniera grottesca, quasi come una caricatura, con quel movimento di una persona che sta respirando ampiamente.
Quel viso disegnato nella tavoletta di granadillo era davvero affascinante per qualsiasi persona. Se uno si metteva a pensare che sarebbe bastato tagliare il legno un centimetro più in alto o più in basso per non possedere quell’incanto, sentiva ancora più interesse per quella tavola. Esisteva un insieme di fatti sorprendenti e naturali che ne avevano permesso la creazione. Senza dubbio tutto ciò però era nulla paragonato alla storia che mi raccontarono e che giustificava completamente la smania del carcerato di conservare per sempre quella tavoletta.
Cercherò di riferirla e di non aggiungere nulla a quella realtà incredibile.
“Guardi - mi disse il mio amico carcerato – io ho questa tavoletta da un certo di tempo – Lei sa che nell’altro cortile ci sono i matti, Io lavoravo là prima del vostro arrivo. È da allora che ho questa tavola. Io stavo bene con i matti... È curioso. Uno è più adatto ad alcune cose, guardi, per esempio, con i matti io sto bene, però non posso guardare un cane senza che si noti la paura che mi fa e subito i cani mi assaltano. Quel caso però era davvero incredibile. Quando lavoravo di là c’era un matto che non permetteva a nessuno di entrare nella sua cella. Era un uomo tranquillo, ma una volta che era malato per poco non uccise un infermiere che gli stava portando da mangiare. A quel poveretto gli diedero un sacco di bastonate... Sino a quando non giunsi io non mangiò. Decise di chiamarmi Angelo. Io trascorrevo ore intere con lui perchè era un tipo simpatico. Era intelligente, non creda... e parlava sempre di Li. Fu allora che vidi questa tavoletta che quell’uomo nascondeva sempre. Una volta non dormì per dieci giorni; la guardia quando passava davanti alla sua cella lo vedeva fissare la tavoletta di granadillo senza distogliere gli occhi un momento. Era una allucinazione la sua. Io gli dicevo sempre di sì a tutto. Quando mi faceva vedere la tavoletta mi diceva: ”Ti ricordi Angelo?” e io gli rispondevo sempre di sì, però un giorno gli dissi che non ricordavo e lui mi prese per il collo e per poco non mi strozzava. Così non entrai più nella sua cella per un certo tempo, ma poi tornò ad essere amico mio e mi richiamò. Era debole e malato e la mancanza di sole lo aveva davvero danneggiato fisicamente. Io non so perchè provavo una sorta di affetto per lui... L’atteggiamento è l’atteggiamento... credo... però anche se era di nuovo mio amico non aveva dimenticato l’incidente. I matti sono così. Si deve stare con loro per conoscerli, hanno una memoria uguale alla nostra... se non fosse per certe cose nessuno direbbe che sono matti ...Un giorno lui mi disse piano, come se avesse paura di farsi sentire :” Ma come non ti ricordi? Sembra una bugia! Tu stai diventando matto! Non ti ricordi di quella notte, quando abbiamo impiccato Li, il cinese della sciarada che ci vendeva l’oppio? Non ti ricordi di come si agitava appeso all’albero? Là, in fondo al cortile che portava alla sua lavanderia? Come non ti ricordi? Io lo sto vedendo ancora dando calci nell’aria, senza poter gridare, con la faccia terrorizzata. Era un ladro! Ci aveva derubato! Ci sono giorni che non mi pento! Tu sei riuscito a scappare al nord. Com’è che ti hanno preso? Non lo so... allora contro di me non riuscirono a provare nulla, però poi mi hanno fatto una stregoneria! Io non so cosa mi è successo. Mi sembrava di vederlo appeso nel cortile, spaventoso e dondolante. Di notte io per nulla al mondo avrei potuto andare in quel cortile ... bene, poi lei vedrà! Quell’albero mi era divenuto insopportabile! Avevo anche paura...I cinesi avevano dichiarato che avrebbero appeso allo stesso albero l’assassino! Quella gente fa paura... allora decisi di farlo abbattere, decisi di farlo tagliare e di farmi portare le tavole che avrei mandato all’Avana, dove avrebbero intagliato un cofanetto per Dulce Maria. Fu tutto questo che mi perse. Perchè Li era dentro l’albero, era rimasto là dentro. Io guardai le tavole quando me le portarono e mi spaventai terribilmente quando vidi il suo ritratto in una di quelle. Scappai per le strade del paese desolato, gridando spaventosamente! Era la stregoneria ! Questo mi perse! La Rurale mi prese e io cominciai a parlare di Li, di Li che era nell’albero, di Li che mi guardava dall’albero e loro capirono. Un medico pagato dalla casa disse che erano allucinazioni. Però io in un cattivo momento confessai tutto. Fu allora che lei scappò al nord...non si ricorda? Guardi? Non si ricorda adesso? E mi mostrava il legno con tanta forza, con un viso così terribile, e il suo racconto era stato così strano e la faccia del cinese era così evidente, così perversa guardandomi, che egli sorrise compiaciuto, tristemente compiaciuto, notando che alla fine io mi ricordavo. Allora si gettò tra le mie braccia e si mise a piangere come un bambino.
Questa è la storia che mi raccontò quell’uomo che mi regalò la faccia del cinese che orna il coperchio del cofanetto di granadillo.
O meglio che lo ornava. Sì, perchè quel cinese fece finire un uomo nel Presidio, ma ne salvò un altro. Sotto il suo viso, nel bauletto, io riuscii a mandare fuori, evitando la strettissima supervisione della censura, le istruzioni e i dati necessari per salvare la vita a un compagno che sarebbe altrimenti stato assassinato alla sua uscita dal carcere, con una artificiosa libertà. Queste sono le cose che uno impara stando in prigione. Un giorno ricostruirò il mio cofanetto di granadillo.