L’esodo cubano che non si è verificato dopo la riforma

migratoria infastidisce la stampa internazionale

 

 

10.10.2013 - di José Manzaneda, coordinatore di Cubainformación  Vincenzo Basile (CapítuloCubano) 

https://www.youtube.com/watch?v=3pqRu7qlDdI

 

 

 

Otto mesi dopo l’approvazione della nuova Legge Migratoria a Cuba, che ha eliminato la richiesta del permesso di uscita per viaggi all’estero, ci sono stati circa 180.000 viaggi esteri, in un clima di normalità assoluta (1). Il fuggi fuggi generale che alcuni avevano previsto è quindi lontano dall’essersi realizzato (2).

 

Tuttavia una parte della stampa internazionale continua a far rivivere vecchi miti. Alcuni giorni fa, il quotidiano spagnolo El Mundo insisteva sul fatto che “un diritto naturale (quello di viaggiare) sia stato negato per oltre cinque decenni” a cubane e cubani (3). Stranamente, non diceva nemmeno una parola sul fatto che il suo stesso governo, quello spagnolo, rappresenta attualmente uno dei principali ostacoli all’esercizio di questo “diritto naturale” da parte di migliaia di cubani, dato che ha aggravato nell’ultimo anno le già draconiane condizioni richieste per la concessione di visti di ingresso (4).

 

Non menzionava nemmeno –né in questo testo né in altri precedenti-  che coloro che vedono negarsi questo “diritto naturale” a viaggiare, sono i cittadini degli Stati Uniti di origine non cubano, che hanno il divieto di viaggiare a Cuba se non con un permesso speciale, quello dei cosiddetti viaggi “people to people” (5).

 

Sia il già citato quotidiano el Mundo che il quotidiano ABC, dedicavano ampio spazio al fatto che la riforma ha permesso i viaggi dei cosiddetti “dissidenti”, ai quali in passato - bisogna dirlo - le autorità dell’Isola avevano negato questa possibilità in numerose occasioni. L’ABC dedicaba oltre la metà di un articolo ai viaggi di questo gruppo di persone, assolutamente marginale nella società cubana (6). E –visto che ora queste persone entrano ed escono da Cuba nella totale libertà- insinuava che adesso le rappresaglie governative consistono nel fatto che, al loro rientro a Cuba, in aeroporto, “sono sottoposte a un controllo minuzioso delle loro valige”. È da presumere che la giornalista dell’ABC, Carmen Muñoz, non sia una assida frequentatrice degli aeroporti, soprattutto di quelli degli Stati Uniti.

 

El Mundo, inoltre, si lamentava del fatto che la normalità dei viaggi della “dissidenza” abbia fatto perdere a quest’ultima il suo glamour informativo: all’inizio, i loro “viaggi (all’estero) occuparono i principali spazi informativi (…) Ma ora, più di otto mesi dopo, il tema quasi non è più trattato (nei media)”, scriveva il suo corrispondente da Miami, Rui Ferreira. E si basava sull’analisi di un presunto espero dell’Università Internazionale della Florida, che considerava “preoccupante questa situazione poiché può portare all’interzia, a una riduzione dell’impatto politico” e addirittura a “ostacolare una transizione di tipo occidentale (a Cuba)”. Il fatto è che, anche se i media non vogliono ammetterlo, la flessibilizzazione migratoria del governo cubano ha fatto sì che la cosiddetta “dissidenza” –collettivo con zero rappresentatività e sostegno sociale a Cuba- abbia visto ridurre in pochissimo tempo la sua sproporzionata e artificiale presenza mediatica.

 

Un altro provvedimento contenuto nella Legge Migratoria cubana, ricordiamo, è la soppressione della cosiddetta “uscita definitiva” dal paese, in base al quale ora le persone che emigrano possono successivamente tornare a risiedere a Cuba. E infatti, quasi 1900 persone sono ritornate a Cuba dall’inizio di quest’anno. La sito finanziario El Boletin lo scriveva così: “Cuba permette il ritorno a oltre 1900 esiliati” (7). Vale a dire, trasformava –seguendo un’abituale pratica informativa- tutte le persone che sono uscite dal paese in emigranti politici (8).

 

D’altra parte, alcuni giorni fa, il quotidiano statunitense The New York Times pubblicava, nella sua sezione turistica, uno speciale sui cosiddetti viaggi “people to people”, favoriti dall’amministrazione Obama (9). Ricordiamo che questi viaggi a Cuba –molto limitati e che richiedono una previa licenza del Ministero del Tesoro- hanno un dichiarato obiettivo politico: sono consentiti affinché accademici, artisti o leader religiosi statunitensi trasmettano al popolo cubano i valori della “democrazia” per un presunto “cambio di regime”. Ai visitatori è espressamente vietato fare mero turismo a Cuba, spendere più di 188 dollari al giorno o modificare un itinerario previamente approvato dal governo degli Stati Uniti (10).

 

Il reportage del New York Times scatenava la protesta adirata del congressista di origine cubano Marco Rubio, che in una lettera al giornale si dichiarava “sorpreso” e “si rammaricava” del fatto che questo avesse dedicato una pagina intera alla promozione dei viaggi a Cuba (11). Ricordiamo che Rubio appartiene alla lobby cubano-americana di estrema destra che si oppone a questi viaggi, che promuove l’asfissia economica a Cuba e anche un’eventuale intervento armato, e che fa pressioni su Washington affinché mantenga Cuba nella sua lista di paesi che –presumibilmente- sostengono il terrorismo o il narcotraffico. In ogni caso, il New York Times, dopo la lettera di Rubio, decideva di sospendere la pubblicazione dei commenti dei lettori sulla sua pagina web, che –fino a quel momento- erano stati per lo più favorevoli all’eliminazione del divieto di viaggiare a Cuba e alla rimozione del blocco economico.

 

L’ultimo commento che fu pubblicato è l’essenza di ciò che veramente preoccupa Marco Rubio e gli altri detrattori dei viaggi a Cuba. Una persona che aveva partecipato in uno di questi viaggi “people to people” non solo elogiava il livello culturale, la buona informazione, e la sincerità delle guide cubane, ma affermava: “quasi tutto il nostro gruppo di viaggio è giunto alla stessa conclusione, ossia che decenni di embargo a Cuba sono inutili e assurdi” (12).
 

Quindi, i viaggi autorizzati dal governo degli Stati Uniti per contaminare con la democrazia liberale il popolo cubano e incoraggiare un cambio di sistema, provocano un effetto opposto: generano nei visitatori nordamericani sentimenti di simpatia e la convinzione che la politica delle sanzioni e il blocco contro Cuba siano assurdi e ingiusti.

 

Un altro dei commenti pubblicati nell’edizione online del New York Times, prima che il quotidiano decidesse di sospenderli, ricordava il nocciolo della questione: diceva che è “folle” proibire ai cittadini statunitensi di visitare Cuba, e che costituisce una “flagrante discriminazione” permetterlo solo ai cubano-americani. Ma su questo “diritto naturale” a viaggiare che è negato al popolo statunitense dal suo stesso governo, anche violando la propria costituzione, quotidiani come El Mundo o ABC continuano a non proferire parola.