Ragioni di Obama per

 

guardare a La Habana

 

 

22.01.2013  -  da il Blog di Yohandry

 

 

Benché i cambiamenti introdotti dall’amministrazione del presidente Raúl Castro si realizzino in modo sovrano, nell’interesse del popolo cubano e non per compiacere l’impero, in realtà coprono praticamente tutti i pretesti invocati dai governi nordamericani che si sono succeduti per giustificare l’ostilità contro la Rivoluzione Cubana.

 

Cuba, un ambiente real-meraviglioso nel quale oggi si presuppone che il socialismo e il mercato sono compatibili e dove si cambiano le politiche senza contraddirsi ideologicamente e contro vento e marea si preservano le conquiste sociali e la coesione del popolo, si possono proclamare certe verità evidenti:

 

Non c’è un solo militare cubano in territorio straniero, nei suoi arsenali non esistono armi offensive né nelle sue carceri prigionieri politici. Nell’Isola che non è santuario per terroristi e trafficanti né paradiso fiscale i nativi viaggiano liberamente e ritornano, cambiano i loro pesos in valuta, ottengono crediti bancari, sussidi statali, terre in usufrutto e ricevono rimesse (alcuni già le inviano), lavorano in proprio, si associano in cooperative, montano i propri affari, comprano e vendono abitazioni, auto, terreni, assicurano le loro proprietà, dispongono per testamento del proprio patrimonio, ricevono eredità, fanno trattative tra loro e fatturano i propri servizi.

 

Dato che c’è gente con denaro ben guadagnato, ci sono persone locali che alloggiano in hotel con molte stelle e non bisogna essere uno di loro per disporre di un telefono cellulare. Gli isolani ora possono viaggiare negli Stati Uniti, usufruire della Ley de Ajuste Cubano, lavorare lì e poi ritornare a Cuba e, invece che richiedere la “tarjeta blanca”, esibire la loro” Green Card”.

 

In un posto dove senza grandi battaglie né mobilitazioni gay, il sesso è stato depenalizzato, ognuno sceglie liberamente con chi praticarlo e quelli che si sentono intrappolati in un corpo sbagliato, possono cambiare genere in ospedali pubblici a spese dello Stato. Lo Stato che prima era ateo e intollerante adesso è laico e considera la fede un tema privato.

 

I creoli e le creole, estranei al conflitto di civiltà, si sposano in chiesa e divorziano in ambito civile, abortiscono gratis, assistono alla messa, poi a un “toque de santos” e magari anche a un “plante abakuá”. Hanno scelto vari leader religiosi e laici cattolici per il Parlamento, ricevuto due papi nella stessa generazione, godono della festività per Natale, festeggiano la Vergine della Carità e il Cardinale parla loro per televisione.

 

Da anni la Nazione ha abbandonato le sue obiezioni e si è riconciliata con gli emigrati e benché ci siano ancora cose che non sono loro permesse, quelli che vivono fuori sono ben accolti e quelli che emigrano non lo fanno “definitivamente”, né devono consegnare un inventario, cedere le loro proprietà né dormire la loro ultima notte in Patria sotto un tetto altrui.

 

I dissidenti sono passati da proibiti a obbligatori e non c’è modo di aprire la posta elettronica o accedere a Internet senza ricevere le loro raffiche; Yoani la premiata bloguera ha il passaporto, la leader delle Damas de Blanco si prepara a viaggiare e pianifica di ritornare e a Fariñas gli è scoppiato l’appetito. Tutti possono andare e venire perché passeggiare per il mondo oramai non è peccato né rimanere nell’Isola è una scusa per una notorietà immeritata.

 

In realtà Cuba è cambiata, non per compiacere gli americani, bensì nonostante loro, che ora hanno un presidente che sembra meglio motivato, al quale il presidente cubano Raúl Castro ha teso non uno ma vari ramoscelli d’ulivo, non per chiedergli perdono né pretendere concessioni, ma per proporgli di dialogare su una base di uguaglianza e trovare accordi.

 

Prima di qualunque altra cosa Cuba e gli Stati Uniti dovrebbero parlare perché magari parlando si capiscono, e aprire le mani perché con i pugni chiusi nessuno può stringere la mano ad un altro.

 

È certo che ci sono ancora ostacoli, ma non sono ideologici né politici e neanche riguardano la reciproca sicurezza nazionale. Forse non sono necessarie complicate trattative e basta una strizzata d’occhio perché i Cinque e Alan Gross, contemporaneamente, invertano la strada e tornino tutti a casa. Magari depoliticizzando il tema e ponendolo su un terreno umanitario con le famiglie come protagoniste, si può trovare una migliore risposta.

 

Cuba ha fatto la sua parte e quelli che volevano che “Castro muovesse pedine” sono serviti. L’Isola avanza per il meglio e i cambiamenti sono irreversibili. È necessario anche muovere l’impero ancorato alla Guerra Fredda. Non è necessario cambiare la testa su cui c’è la mela né le mani in cui c’è l’arco. La palla è nella metà campo nordamericana. Ci vediamo là.