Arnold August * https://lapupilainsomne.wordpress.com
Tra i tanti successi di Fidel, come costruttore della nuova società cubana, si evidenzia il rovesciamento del capitalismo a favore del socialismo e dei suoi principi inerenti di uguaglianza e solidarietà; la sconfitta del dominio neo-colonialista USA, ottenendo così la sovranità, l’indipendenza e la dignità; la difesa dei diritti umani nella salute, istruzione, cultura e sport; il rispetto dell’uguaglianza razziale, della parità di genere, dell’alimentazione e della casa per tutti; la difesa della libertà di espressione e di stampa che è uno dei fronti in cui l’esempio di Fidel ha molto da continuare ad insegnarci; e la creazione di un’atmosfera sociale e politica civile e senza violenza. La base di queste imprese, inesistenti prima del 1959, risultante dalla Rivoluzione che soppresse lo stato sostenuto dagli USA.
Già nel 1953, la conquista di un nuovo potere rivoluzionario del popolo passava in primo piano nella mente di Fidel. Il suo incrollabile obiettivo si mescolava con lo spirito di auto-sacrificio che caratterizzò tutta la sua vita politica. Tra rovesci e vittorie, dal 1953 al 1956 e fino al 1959, il suo pensiero e la sua azione si ispirarono a questo incrollabile obiettivo, indelebilmente associato a tattiche creative disegnate per passare dall’aspirazione alla conquista del potere popolare, per mezzo della rivoluzione armata, per farla realtà. Questa fu il centro della passione di Fidel.
L’attuale società, lasciata al popolo cubano, trova le sue origini nei territori liberati durante le guerre del 1868 e 1895, l’ultima delle quali raggiunse nuovi livelli di organizzazione sotto la guida di José Martí e del Partito Rivoluzionario Cubano. Così, durante la seconda metà del XIX secolo, si piantarono i semi di un nuovo potere che sarebbero risorti ed attualizzati da Fidel, in base alle nuove circostanze. Il potere politico locale forgiato nelle zone liberate della Sierra Maestra, nel periodo 1957-1958, era virtualmente concepito come uno Stato rivoluzionario, all’interno dello Stato dominato dal potere neocoloniale. Il Movimento 26 luglio e l’Esercito Ribelle furono fondati e sviluppati da Fidel e dai suoi compagni, e crebbero come semi, rispettivamente, del Partito Comunista di Cuba e delle Forze Armate Rivoluzionarie. Queste istituzioni costituiscono due pilastri per mantenere e sviluppare il potere del popolo, insieme alla cultura socialista di Cuba, come sua armatura.
Nel corso di questa epica marcia vittoriosa e nei decenni successivi, Fidel contribuì alla costruzione di un nuovo modo di fare politica dentro la Rivoluzione cubana. Egli fu un comunicatore per eccellenza, componente chiave della conquista e del miglioramento del potere politico. Tra le altre dimensioni della sua eredità, il suo pensiero e la sua azione costituiscono una nuova cultura della comunicazione tra il leader ed il suo popolo. Vediamo cinque esempi di come la cultura politica di Fidel e la nuova cultura comunicativa si sospinsero mutuamente.
Il primo fu nel 1953, quando scrisse ‘La storia mi assolverà’, che fu diffusa. Potremmo chiederci come sia possibile parlare del talento della comunicazione di un leader nella propria rappresentazione, nel perseguimento del potere politico del popolo, quando era in prigione, confinato in isolamento, lontano dalle masse. Dopo la sconfitta del 26 luglio, il potere politico non si vedeva neppure all’orizzonte. Tuttavia, nonostante tali estreme restrizioni, Fidel riuscì a comunicare, segretamente, con altri combattenti incarcerati, alcuni prigionieri che stavano scontando condanne per reati comuni, e anche con guardie e dipendenti della prigione. Prima e dopo la sua difesa, il suo mondo era stato molto limitato.
In mezzo a questo sistema di comunicazione clandestino, e con pochi libri che riuscì a riunire, preparò la sua difesa a memoria. Scrisse e pubblicò nella sua cella, giorno e notte, memorizzando ogni parola fino al momento in cui fu portato in tribunale. Solo una persona totalmente dedicato a risolvere i problemi di Cuba, e ad aprire la strada al potere del popolo con la Rivoluzione, poteva ottimizzare, sino a quel punto, gli scarsi strumenti di comunicazione alla sua portata.
Una volta presentata la sua memoria di difesa, Fidel ritornò nella sua cella e scoprì che il testo era scomparso. Cominciò, allora, a scriverlo di nuovo a memoria. Alcune vicine relazioni clandestine, all’interno e all’esterno del carcere, gli consentirono anche di ampliare la sua comunicazione con la gente. Ordì la sua difesa pezzo per pezzo, utilizzando metodi ingegnosi, come l’utilizzo del succo di limone come inchiostro invisibile su piccoli pezzi di carta. I documenti scritti con tale inchiostro passarono attraverso la sicurezza del carcere e, come aveva previsto, poi furono trattati col calore per rivelare la scrittura e che si leggeranno a L’Avana.
Un pugno di persone in quella città, in particolare i moncadisti Melba Hernandez e Haydee Santamaria, s’incaricarono di riunire i pezzi di carta, come se si trattasse di un puzzle e stampare il testo in forma di opuscolo. Inizialmente, Fidel diede istruzioni a queste due donne, che facevano parte di un limitato intorno, di produrre 100000 copie della dichiarazione. Il 18 giugno 1954 scrisse a Melba e Haydee, “senza propaganda non c’è movimento di massa e senza movimento di massa non c’è rivoluzione possibile”. Senza dubbio, s’ispirò a questa interazione con i suoi due compagni che rischiarono di nuovo la loro vita sotto la dittatura di Batista, come lo avevano fatto al Moncada. A loro volta, loro furono incoraggiate dal pensiero di Fidel e dalla sua eroica resistenza dalla prigione. Nel frattempo, crescevano i limoni nel terreno fertile di Cuba, concimando il movimento rivoluzionario attraverso la penna creativa di Fidel.
Una seconda illustrazione è la singolare abilità di comunicazione di Fidel nella difesa del potere del popolo. L’8 gennaio 1959, di fronte a una immensa folla a L’Avana, in contrasto con le estreme limitazioni della sua solitaria cella, disse: “L’allegria è immensa. E tuttavia, resta ancora molto da fare. Non ci inganniamo credendo che d’ora in poi tutto sarà facile; forse d’ora in poi tutto sia più difficile”. Non vi è dubbio che il leader fu ispirato dalla gioia del popolo. Tuttavia, anche fa uso della sua perspicacia di fronte ai suoi esaltati seguaci, notando che doveva convincerli, come al pubblico televisivo nazionale, affinché prendessero precauzioni e fossero vigili nei mesi ed anni a venire. Fidel ed il popolo convergettero in un soggetto politico ed ideologico attraverso la sua abilità nel comunicare. E’ difficile affermare se quella dichiarazione sorse spontaneamente nell’atmosfera politica de L’Avana, in quel momento, data la sua straordinaria dote di sentire il polso del suo popolo, o se già l’avesse pensata. In ogni caso,disse ciò che doveva dire.
In un modo o nell’altro ci sono molti momenti memorabili nei quali la sua comunicazione fu certamente spontanea, lasciando dietro di sé un’impronta indelebile nel panorama politico cubano.
Questo ci porta alla nostra terza illustrazione, che ha avuto luogo il 28 settembre 1960, quando Fidel parlò a L’Avana davanti ad una folla. La trascrizione fa una lettura su come molti cubani ancor oggi la ricordano, sia per la propria partecipazione o per l’ineguagliabile memoria collettiva della Rivoluzione cubana, attraverso la famiglia e gli amici. Cito:
(Si sente esplodere un petardo). Fidel domanda: Una bomba? Lascia…! (Esclamazioni di ‘Muro!, Venceremos!’). (Cantano l’inno nazionale ed esclamano: ‘Viva Cuba!, Viva la Rivoluzione!’).
Continua la trascrizione:
(Qualcuno del pubblico parla col dottor Castro). (Si sente una seconda esplosione).
E continua Fidel:
“… Non sottovalutare il nemico imperialista. Sarebbe un errore sottovalutare il nemico imperialista.”
Di fronte alla drammatica minaccia, sostenuto dagli USA, nel cuore dell’Avana, sorsero, spontaneamente, nei quartieri e poi con la guida della direzione della Rivoluzione, i Comitati di Difesa della Rivoluzione (CDR). Queste organizzazioni di massa furono vitali per la Rivoluzione cubana. Nel 1961, la loro formazione dimostrò essere indispensabili per la difesa di Cuba contro le incursioni sostenute e finanziate dagli USA, e gli atti terroristici volti a sovvertire il potere politico rivoluzionario. I CDR, risultato delle dinamica di Fidel e del popolo, contribuirono sostanzialmente a governare a livello nazionale e locale, in particolare dal 1959 al 1976 -quando nel paese si consolidò un processo di istituzionalizzazione che portò a che si approvasse la Costituzione socialista- ed in molti modi poi.
Il Che, captando l’essenza di questa insuperabile comunicazione tra il leader ed il popolo, scrisse: “Nei grandi raduni pubblici si osserva qualcosa come il dialogo di due diapason le cui vibrazioni producono altre nuove nell’interlocutore.”
La quarta illustrazione si basa su un discorso di Fidel il 25 novembre 2005 agli studenti e professori presso l’Università di L’Avana, in occasione del 60° anniversario del suo ingresso, lì, come studente. Fidel si occupò dei problemi che affrontava Cuba, come la necessità di risparmiare energia elettrica e opporsi alla corruzione. Il suo discorso fu sottolineato da applausi e risa, secondo il tema trattato. Al leggere, nuovamente, la trascrizione, questa permette una registrazione quasi visiva della viva interazione del leader con studenti e professori. Superata la metà del discorso, concluse con quella che sembrava essere una frase istintiva, basata forse sull’aspetto preoccupato dei visi degli studenti, e sull’esperienza di ciò che era accaduto in Unione Sovietica e nel blocco socialista europeo: “Questo paese può autodistruggersi da sé; questa Rivoluzione può distruggersi, quelli che non possono distruggerla, oggi, sono loro; noi sì, noi possiamo distruggerla, e sarebbe colpa nostra.”
Ancora una volta, la difesa e l’ulteriore sviluppo del potere del popolo furono il centro del messaggio di Fidel. Dopo questa dichiarazione, l’interazione tra il pubblico e Fidel si accelerò.
Il Che aveva sintetizzato il rapporto di Fidel ed il popolo anche in questo modo. Cito testualmente: “Fidel e la massa iniziano a vibrare in un dialogo di crescente intensità fino a raggiungere il culmine in un brusco finale.”
Più di 11 anni dopo quel discorso, a L’Avana, la corruzione rimane un problema. Tuttavia, nonostante questa e altre insidie, la Rivoluzione del popolo al potere continua invitta. Forse uno dei motivi è la maturità e la natura stabile della stragrande maggioranza della gioventù cubana.
Ci sono innumerevoli esempi simili. Me ne viene uno in mente: quando, il 4 febbraio 1962, più di un milione di cubani riempirono la Piazza della Rivoluzione all’appello da parte del Governo Rivoluzionario per costituire la II Assemblea Generale Nazionale del Popolo, nel corso della quale si approvò, per acclamazione, la II Dichiarazione dell’Avana. La scorsa settimana si celebrò il 55esimo anniversario di quella occasione, in cui, nel leggere tale Dichiarazione, Fidel Castro mobilitò il popolo sia per il contenuto del documento come per il suo straordinario talento come comunicatore affinché si votasse coscientemente a favore del testo. Questo episodio mi ispirò ad utilizzare una foto di quel momento storico della votazione, con la mano alzata, sulla copertina del mio libro sulla democrazia a Cuba, pubblicato nel 1999.
Il quinto esempio, forse una delle principali riflessioni, è l’articolo “Il fratello Obama“, scritto il 27 marzo 2016. A prima vista possiamo chiederci, come nel primo esempio sull’autodifesa, del 1953, come un articolo scritto dal Presidente già in pensione, ed in uno stato relativamente delicato di salute, possa illustrare la dinamica tra il leader ed il popolo attraverso la comunicazione attiva tra i due, per la difesa della Rivoluzione? Nonostante che, con poche eccezioni, dal 2008 già non gli era possibile dirigersi a grandi folle e interscambiare con loro, Fidel è Fidel. Egli trovò un modo per comunicare con loro attraverso il giornalismo, a cui era unito nel corso dei decenni. Durante la visita di Obama e dopo questa, un vivace dibattito scoppiò nella stampa cubana e tra la gente, in relazione all’attenzione data ad alcuni dei discorsi del presidente USA, lontani dal creare unanimità. “Il fratello Obama” fu scritto nell’ambito di tale controversia. Nonostante il suo stato di salute, Fidel sapeva quello che stava accadendo a Cuba, e così il suo articolo toccò la fibra più sensibile della società. Il testo si propagò attraverso le discussioni politiche che avevano luogo in quel momento e, certamente, a livello internazionale.
Così Fidel iniziò “Il fratello Obama”: “I re di Spagna ci portarono i conquistatori e proprietari …”. Questo toccò le corde sensibili dentro e fuori di Cuba, in modo che Obama non potesse più essere giudicato ingenuamente. Esiste una storia di colonialismo, neocolonialismo e imperialismo, da cui Obama non può separarsi. Tuttavia, una delle migliori e più centrate imputazioni di Fidel doveva ancora venire. Si riferì alla sorprendente dichiarazione di Obama: “già è ora di dimenticarci il passato, lasciamo il passato, guardiamo al futuro, guardiamolo insieme, un futuro di speranza.” Fidel si sentì obbligato a rispondere: “si presume che ognuno di noi correva il rischio di un infarto nel sentire queste parole del presidente USA.” Fidel, il giornalista rivoluzionario, coraggiosamente, scrisse quello che molti cubani ed amici di Cuba pensavano e scrivevano alla propria maniera. Era come se in qualche modo Fidel abitasse le nostre menti. Il suo opportuno intervento fu un grande stimolo per il rafforzamento e la difesa della cultura socialista cubana. Questo è stato captato dalla stragrande maggioranza dei cubani per proteggere il potere politico popolare, l’indipendenza e la dignità e, con questo, tutti i risultati economici, sociali e culturali della Rivoluzione.
Questo è solo uno dei tanti esempi della straordinaria abilità di Fidel a proseguire il suo dialogo con i cubani attraverso la sua penna. Dal succo di limone, utilizzato come inchiostro indelebile, nel 1953, all’utilizzo di strumenti adeguati di scrittura, nel 2016, c’è un filo comune: la preoccupazione di Fidel per i bisogni de popolo, nel momento, espressa per sintetizzarlo- nel suo pensiero marxista leninista e martiano per guidare l’azione al fine di salvaguardare il potere politico e le fondamenta della Rivoluzione cubana. Così, nel corso della storia, Elba e Haydee divennero milioni.
Durante tutta la sua vita politica Fidel contribuì a questa nuova cultura comunicativa senza precedenti nella storia, dato il suo stile unico e duraturo, dal 1953 al 2016. Questo fa parte, ora, del patrimonio della Rivoluzione Cubana, disponibile per tutti i cubani/e che desiderano attuarlo. Ma Fidel stabilì standard molto elevati, per cui non è possibile replicare il suo esempio, perché Fidel è Fidel. Tuttavia, la sua eredità come comunicatore è un modello per i leader, a tutti i livelli, e per i rivoluzionari in generale.
L’eredità di Fidel costituisce anche un patrimonio dell’umanità per guidare scrittori e giornalisti nei loro paesi, tra cui il Canada, per mantenere una comunicazione, stretta e dialettica, con le esigenze e le preoccupazioni della società vicino alla quale e per cui scriviamo.
* Presentazione realizzata nel Seminario “Fidel, costruttore della nuova società” del Colloquio Fidel, politica e cultura .. Fiera Internazionale del Libro, L’Avana, 10 febbraio 2017
Fidel, el poder político y la nueva cultura comunicacional*
Por Arnold August
Entre los muchos logros de Fidel como constructor de la nueva sociedad cubana se destacan el derrocamiento del capitalismo a favor del socialismo y sus principios inherentes de igualdad y solidaridad; la derrota de la dominación neocolonialista de Estados Unidos, logrando así la soberanía, la independencia y la dignidad; la defensa de los derechos humanos en la salud, la educación, la cultura y el deporte; el respeto de la igualdad racial, la igualdad de género, la alimentación y la vivienda para todos; la defensa de la libertad de expresión, y de la prensa que es uno de los frentes en que el ejemplo de Fidel tiene mucho que seguir enseñándonos; y la creación de una atmósfera social y política civilizada y sin violencia. La base de estas proezas, inexistentes antes de 1959, es el poder político popular, resultante de la Revolución que suprimió el Estado respaldado por Estados Unidos.
Ya en 1953, la conquista de un nuevo poder revolucionario del pueblo pasaba por el primer plano en la mente de Fidel. Su inquebrantable objetivo se mezclaba con el espíritu de autosacrificio que caracterizó toda su vida política. Entre reveses y victorias, de 1953 a 1956 y hasta 1959, su pensamiento y su acción se inspiraron en este objetivo inquebrantable, asociado indeleblemente a tácticas creativas diseñadas para pasar de la aspiración a la conquista del poder popular, por medio de la revolución armada para hacerla realidad. Este fue el centro de la pasión de Fidel.
La sociedad actual, legada al pueblo cubano, encuentra sus orígenes en los territorios liberados durante las guerras de 1868 y 1895, la última de las cuales alcanzó nuevos niveles de organización bajo el liderazgo de José Martí y el Partido Revolucionario Cubano. Así, durante la segunda mitad del siglo XIX se sembraron las semillas de un nuevo poder que serían resucitadas y actualizadas por Fidel, según las nuevas circunstancias. El poder político local forjado en las áreas liberadas de la Sierra Maestra en el periodo 1957-1958, estaba virtualmente concebido como un Estado revolucionario dentro del Estado dominado por el poder neocolonial. El Movimiento 26 de Julio y el Ejército Rebelde fueron fundados y desarrollados por Fidel y sus camaradas, y crecieron como semillas del Partido Comunista de Cuba y de las Fuerzas Armadas Revolucionarias, respectivamente. Estas instituciones constituyen dos pilares para mantener y desarrollar el poder del pueblo, junto a la cultura socialista de Cuba, como su armadura.
En el transcurso de esta épica marcha victoriosa y en las siguientes décadas, Fidel contribuyó a la construcción de una nueva forma de hacer política dentro de la Revolución Cubana. Él fue un comunicador por excelencia, componente clave de la conquista y el mejoramiento del poder político. Entre otras dimensiones de su legado, su pensamiento y su acción constituyen una nueva cultura de la comunicación entre el líder y su pueblo. Veamos cinco ejemplos acerca de cómo la cultura política de Fidel y la nueva cultura comunicacional se impulsaron mutuamente.
Primero fue en 1953, cuando escribió La historia me absolverá, que fue difundida. Podríamos preguntarnos cómo es posible hablar del talento de la comunicación de un líder en su propia representación, en la búsqueda del poder político del pueblo, cuando se encontraba en prisión, confinado e incomunicado, lejos de las masas. Luego de la derrota del 26 de julio, el poder político no se veía siquiera en el horizonte. Sin embargo, a pesar de tan extremas restricciones, Fidel logró comunicarse secretamente con otros combatientes encarcelados, algunos presidiarios que purgaban condenas por delitos comunes, e incluso con guardias y empleados de la prisión. Antes y después de su defensa, su mundo había sido muy limitado.
En medio de este sistema de comunicación clandestino, y con unos pocos libros que logró reunir, preparó su defensa de memoria. Escribió y editó en su celda día y noche, memorizando cada palabra hasta el momento en que fue llevado a la corte. Solo una persona totalmente consagrada a la solución de los problemas de Cuba, y a abrirle el camino al poder del pueblo con la Revolución, podía optimizar hasta ese punto las escasas herramientas de comunicación a su alcance.
Una vez presentada su defensa de memoria, Fidel regresó a su celda y constató que el texto había desaparecido. Empezó entonces a escribirlo de memoria nuevamente. Algunas relaciones clandestinas cercanas en el interior y el exterior de la prisión le permitieron incluso ampliar su comunicación con la gente. Urdía su defensa pieza por pieza, utilizando métodos ingeniosos, como el uso del jugo de limón como tinta invisible, en pequeños pedazos de papel. Los papeles escritos con esa tinta pasaron a través de la seguridad de la prisión y, como lo había planeado, luego fueron tratados con calor para revelar la escritura y que se leyeran en La Habana.
Un puñado de personas en esa ciudad, particularmente las moncadistas Melba Hernández y Haydee Santamaría, se encargaron de reunir los pedazos de papel como si se tratase de un rompecabezas e imprimir el texto en forma de folleto. Inicialmente, Fidel dio instrucciones a estas dos mujeres, que formaban parte de su limitado entorno, para producir 100.000 ejemplares del alegato. El 18 de junio de 1954 escribió a Melba y a Haydee: “sin propaganda no hay movimiento de masas, y sin movimiento de masas no hay revolución posible”. Indudablemente, se inspiró en esta interacción con sus dos camaradas, quienes arriesgaron de nuevo sus vidas bajo la dictadura de Batista, como lo habían hecho en el Moncada. A su vez, ellas fueron animadas por el pensamiento de Fidel y su heroica resistencia desde la prisión. Entretanto, crecían los limones en el suelo fértil de Cuba, fertilizando el movimiento revolucionario a través de la creativa pluma de Fidel.
Una segunda ilustración es la singular habilidad de comunicación de Fidel en la defensa del poder del pueblo. El 8 enero de 1959, frente a una inmensa muchedumbre en La Habana, en contraste con las extremas limitaciones de su solitaria celda, dijo: “La alegría es inmensa. Y sin embargo, queda mucho por hacer todavía. No nos engañemos creyendo que en adelante todo será fácil; quizás en adelante todo sea más difícil”. No hay duda de que el líder se inspiró en el júbilo del pueblo. Sin embargo, también hacía uso de su perspicacia frente a sus exaltados seguidores, al notar que tenía que convencerlos, como a la audiencia nacional de televisión, para que tomaran precauciones y fueran vigilantes en los meses y años venideros. Fidel y el pueblo convergieron en una entidad política e ideológica a través de su habilidad para comunicar. Resulta difícil afirmar si aquella declaración surgió espontáneamente de la atmósfera política de La Habana en aquel momento, dada su extraordinaria dote para sentir la pulsación de su pueblo, o si ya había pensado en ello. En cualquier caso, dijo lo que debía decir.
De un modo u otro existen muchos momentos memorables en los cuales su comunicación fue ciertamente espontánea, dejando tras de sí una huella indeleble del paisaje político cubano.
Esto nos lleva a nuestra tercera ilustración, que tuvo lugar el 28 septiembre de 1960, cuando Fidel habló en La Habana frente a una muchedumbre. La transcripción hace una lectura acerca de la manera como muchos cubanos aún la recuerdan hoy, ya sea por su propia participación o por la inigualable memoria colectiva de la Revolución Cubana, por medio de la familia y los amigos. Cito:
(Se oye explotar un petardo). Fidel pregunta: ¿Una bomba? ¡Deja…! (Exclamaciones de: ‘¡Paredón!, ¡Venceremos!’). (Cantan el himno nacional y exclaman: ‘¡Viva Cuba!, ¡Viva la Revolución!’).
Continúa la transcripción:
(Alguien del público habla con el doctor Castro). (Se escucha una segunda explosión).
Y sigue Fidel:
“…No subestimar al enemigo imperialista. Sería un error subestimar al enemigo imperialista.”
Frente a la dramática amenaza apoyada por Estados Unidos en el corazón de la Habana, surgieron espontáneamente en los barrios y posteriormente con la guía de la dirección de la Revolución, los Comités de Defensa de la Revolución (CDR). Estas organizaciones de masa fueron vitales para la Revolución Cubana. En 1961, su formación demostró ser indispensable para la defensa de Cuba contra las incursiones apoyadas y financiadas por Estados Unidos, y los actos terroristas concebidos para subvertir el poder político revolucionario. Los CDR, fruto de la dinámica de Fidel y el pueblo, también contribuyeron sustancialmente a gobernar a nivel nacional y local, especialmente de 1959 a 1976 —cuando en el país se consolidó un proceso de institucionalización que llevó a que se aprobara la Constitución socialista—, y de muchas maneras luego.
El Che, captando la esencia de esta insuperable comunicación entre el líder y el pueblo, escribió: “En las grandes concentraciones públicas se observa algo así como el diálogo de dos diapasones cuyas vibraciones provocan otras nuevas en el interlocutor.”
La cuarta ilustración se basa en un discurso de Fidel el 25 noviembre de 2005 ante estudiantes y profesores, en la Universidad de La Habana, con ocasión del 60º aniversario de su ingreso allí como estudiante. Fidel se ocupó de los problemas que enfrentaba Cuba, como la necesidad de ahorrar electricidad y oponerse a la corrupción. Su discurso fue subrayado por aplausos y risas, según el tema tratado. Al leer nuevamente la transcripción, esta permite un registro casi visual de la viva interacción del líder con estudiantes y profesores. Más allá de la mitad del discurso, concluyó con lo que pareció ser una frase instintiva, basada quizás en la apariencia de los rostros preocupados de los estudiantes, y en la experiencia de lo que había ocurrido en la Unión Soviética y en el campo socialista europeo: “Este país puede autodestruirse por sí mismo; esta Revolución puede destruirse, los que no pueden destruirla hoy son ellos; nosotros sí, nosotros podemos destruirla, y sería culpa nuestra.”
Una vez más, la defensa y el posterior desarrollo del poder del pueblo fueron el centro del mensaje de Fidel. Luego de esta declaración, la interacción entre la audiencia y Fidel se aceleró.
El Che había sintetizado la relación de Fidel y el pueblo también de esta manera. Cito textualmente:
“Fidel y la masa comienzan a vibrar en un diálogo de intensidad creciente hasta alcanzar el clímax en un final abrupto.”
Más de 11 años después de aquella charla en La Habana, la corrupción sigue siendo un problema. Sin embargo, a pesar de estos y otros escollos, la Revolución del pueblo en el poder continúa invicta. Quizás una de las razones sea la madurez y la naturaleza estable de la vasta mayoría de la juventud cubana.
Existen innumerables ejemplos similares. Me viene uno a la mente: cuando, el 4 de febrero de 1962, más de un millón de cubanos colmaron la Plaza de la Revolución al llamado que hiciera el Gobierno Revolucionario para constituir la Segunda Asamblea General Nacional del Pueblo, durante la cual se aprobó por aclamación, la Segunda Declaración de La Habana. La semana pasada se celebró el aniversario 55 de aquella ocasión, en la que, al leer esa Declaración, Fidel Castro movilizó al pueblo tanto por el contenido del documento como por su extraordinario talento de comunicador para que se votara conscientemente a favor del texto. Este episodio me inspiró para emplear una foto de aquel momento histórico de la votación con la mano levantada, en la cubierta de mi libro acerca de la democracia en Cuba, publicado en 1999.
El quinto ejemplo, quizás una de sus principales reflexiones, es el artículo “El hermano Obama”, escrito el 27 de marzo de 2016. A simple vista podemos preguntarnos, como en el primer ejemplo acerca de la autodefensa 1953, ¿cómo un artículo escrito por el Presidente ya retirado, y en una estado relativamente delicado de salud, puede ilustrar la dinámica entre el líder y el pueblo por medio de una comunicación activa entre los dos, para la defensa de la Revolución? A pesar de que, con pocas excepciones, desde el 2008 ya no le era posible dirigirse a grandes multitudes e intercambiar con ellas, Fidel es Fidel. Él encontró una manera de comunicarse a través del periodismo, al cual estuvo unido a lo largo de décadas. Durante la visita de Obama y después de esta, un vivo debate se desató en la prensa cubana y entre la gente, con relación al enfoque dado a algunos de los discursos del presidente de Estados Unidos, lejos de crear unanimidad. “El hermano Obama” fue escrito en el contexto de esa controversia. A pesar de su estado de salud, Fidel sabía lo que estaba sucediendo en Cuba, y así su artículo tocó la fibra más sensible de la sociedad. El texto se onduló a través de las discusiones políticas que tenían lugar en ese momento y, ciertamente, a nivel internacional.
Así empezó Fidel “El hermano Obama”: “Los reyes de España nos trajeron a los conquistadores y dueños…”. Eso tocó las cuerdas sensibles en el interior y en el exterior de Cuba, de manera que Obama ya no podía ser juzgado ingenuamente. Existe una historia de colonialismo, neocolonialismo e imperialismo de la cual Obama no puede separarse. Sin embargo, una de las mejores y más centradas imputaciones de Fidel aún estaba por venir. Se refirió a la asombrosa afirmación de Obama: “ya es hora de olvidarnos del pasado, dejemos el pasado, miremos el futuro, mirémoslo juntos, un futuro de esperanza.” Fidel se sintió obligado a responder: “se supone que cada uno de nosotros corría el riesgo de un infarto al escuchar estas palabras del presidente de Estados Unidos.” Fidel, el periodista revolucionario, valientemente escribió lo que muchos cubanos y amigos de Cuba pensaban y escribían a su manera. Era como si de algún modo Fidel habitara nuestras mentes. Su oportuna intervención fue un enorme estímulo para el fortalecimiento y la defensa de la cultura socialista cubana. Esto fue captado por la vasta mayoría de los cubanos para proteger el poder político popular, la independencia y la dignidad y, con esto, todos los logros económicos, sociales y culturales de la Revolución.
Este es tan sólo uno de los muchos ejemplos de la asombrosa habilidad de Fidel para mantener su diálogo con los cubanos a través de su pluma. Del jugo de limón, utilizado como tinta indeleble en 1953, al empleo de instrumentos apropiados de escritura en 2016, existe un hilo conductor: la preocupación de Fidel por las necesidades del pueblo en su momento, expresada —para sintetizarlo— en su pensamiento marxista-leninista y martiano para guiar la acción con el objetivo de salvaguardar el poder político y los fundamentos de la Revolución Cubana. Así, en el transcurso de la historia, Elba y Haydee llegaron a ser millones.
A lo largo de su vida política Fidel contribuyó a esta nueva cultura comunicacional sin paralelo en la historia, dado su estilo único y perdurable, de 1953 a 2016. Este hace parte ahora del patrimonio de la Revolución Cubana, disponible para todo cubano o cubana que desee ponerlo en práctica. Pero Fidel estableció estándares muy altos, de manera que no es posible replicar su ejemplo, porque Fidel es Fidel. No obstante, su legado como comunicador es un modelo para líderes de todos los niveles, y para revolucionarios en general.
El legado de Fidel constituye también un patrimonio de la humanidad para guiar a escritores y periodistas en sus países, entre ellos Canadá, para mantener una comunicación estrecha y dialéctica con las necesidades y preocupaciones de la sociedad acerca de la cual y para la cual escribimos.
*Presentación realizada en el Panel “Fidel, constructor de la nueva sociedad” del Coloquio FIDEL, POLÍTICA Y CULTURA. Feria Internacional del Libro, La Habana, 10 de febrero de 2017