di Geraldina Colotti* – il Manifesto
Tra scontri di piazza e crisi istituzionale, il Brasile è nuovamente in ebollizione. Ne abbiamo discusso con João Pedro Stedile, storico dirigente del Movimento Sem Terra.
Michel Temer può cadere? E in che modo? E chi lo sostiene se la sua maggioranza sta perdendo sempre più pezzi?
Sì, il governo golpista di Temer è finito. Non ha più l’appoggio della maggioranza del capitale, né quello mediatico del gruppo O Globo, che ogni giorno fa campagna perché si dimetta. E la sua base parlamentare è divisa. Il suo tempo è scaduto. Tuttavia, la borghesia non ha ancora trovato il nome che possa rappresentare l’unità del suo blocco di interessi, per farlo eleggere in forma indiretta dal Congresso, e poi continuare con le riforme antipopolari contro lavoro e pensioni. Il 6 giugno si svolge un vecchio processo contro il ticket Dilma-Temer.
Le forze politiche e il potere giudiziario potrebbero usarlo contro Temer. Il problema è che, cacciandolo per questa via, potrebbe aprirsi una breccia per cui lo stesso Stf, il Supremo Tribunal Federal, decida per la convocazione di elezioni dirette: basandosi su una giurisprudenza che, in queste ultime settimane, ha portato lo stesso Tribunale a interrompere il mandato del governatore dello stato Amazonas convocando elezioni dirette per sostituirlo. Le forze del capitale cercano affannosamente un nome che unifichi perché Temer rinunci e si elegga per via indiretta quel nome. Se da qui al 6 giugno non lo trovano, arriverà qualche giudice a prendere tempo. Per le forze popolari, quel che interessa è che quelle golpiste siano divise, senza tattica comune. Temer è un bandito che può anche finire in carcere dopo aver lasciato la presidenza. Per questo, anche la sua cacciata implica un accordo che gli garantisca di andarsene liberamente a Miami e non in galera.
Succederà come in altri golpe istituzionali in cui figure di passaggio servono a consolidare per la via elettorale il progetto conservatore?
È evidente che il vero obiettivo del golpe istituzionale non è stato solo quello di cacciare Dilma. L’intento della borghesia era di prendere il controllo assoluto di tutti i poteri, mediatico, giudiziario, parlamentare e presidenziale: per imporre un piano neoliberista, salvare le sue imprese dalla crisi economica e far pesare tutti costi sulle spalle della classe operaia. Per questo, già la disoccupazione è al 15% e oltre 20 milioni di lavoratori sono per strada. E sono in arrivo diverse misure legislative per togliere diritti alla classe operaia. In fatto di leggi sociali, stiamo tornando all’inizio del secolo XX. Per questo il popolo ha cominciato a partecipare alle manifestazioni di quest’anno, quando ha percepito che il golpe era contro i suoi diritti storici. Ora la borghesia cerca il suo uomo, ma non è facile perché ci vuole un nome che unifichi e sia anche credibile. Per ora ci hanno provato con Nelson Jobim, Meireles (attuale ministro delle Finanze), con il presidente della Camera, Rodrigo Maia, però ognuno di loro ha qualche problema per assumere l’incarico. Per questo, anche alcuni settori del loro campo, cominciano ad ammettere che la soluzione può essere quella delle elezioni dirette e anticipate entro quest’anno, e che siano le urne a decidere.
Qual è la situazione dopo lo sciopero generale e le ultime manifestazioni represse da Temer con i militari?
La nostra lettura è che i lavoratori hanno cominciato a mobilitarsi dall’8 marzo, poi abbiamo convocato una manifestazione grandissima il 15 marzo, e siamo andati avanti con lo sciopero generale del 28 aprile. E dopo abbiamo accompagnato Lula al processo a Curitiba. In quella piazza eravamo 50.000. E recentemente c’è stata la mobilitazione a Brasilia, 150.000 persone, duramente repressa senza motivo addirittura con le Forze armate: inviate da Temer per il timore che la gente occupasse il Congresso e la Presidenza. Dall’altro lato, sono finite le manifestazioni delle destre. Già non hanno più forza, né coraggio di andare in piazza come hanno fatto per tutto il 2016. Dal canto nostro, insieme alle centrali sindacali e all’articolazione dei movimenti popolari del Frente Brasil Popular continuiamo a stare in trincea, programmando nuove mobilitazioni perché la destra golpista si vince solo con la piazza. Il prossimo 5 giugno faremo una riunione allargata, per convocare un Fronte ampio per le elezioni dirette subito. Unirà settori sindacali, partiti politici, chiese, settori popolari, artisti, eccetera, si organizzerà un’agenda nazionale di lotta per l’elezione del presidente per via diretta e voltare già a ottobre di quest’anno. Le centrali sindacali hanno già convocato un nuovo sciopero generale per la settimana che va dal 26 al 29 giugno a cui parteciperanno tutti i movimenti popolari. Gli scioperi ora sono sempre più politici, perché alla protesta contro la riforma del lavoro e delle pensioni si unisce la richiesta di elezioni presidenziali dirette. E la novità è che tutte le centrali ora sono unite, anche le due che avevano appoggiato il golpe.
A giugno c’è il congresso del Pt, il Partito dei lavoratori. Ci sarà una correzione di rotta e una sferzata a sinistra? E cosa chiedono i movimenti?
Non milito nel Pt e quindi non ho gli elementi per interpretare quali cambiamenti aspettarsi da questo congresso. So che ci saranno cambiamenti nella direzione nazionale in cui entrerà la senatrice Gleisi Homanff.
I cambiamenti di linea del Pt, in quanto parte della sinistra brasiliana, dipenderanno da quelli che sapremo imporre con la lotta di classe e con la possibilità reale che Lula si presenti e vinca le elezioni, e ci sia un nuovo governo con un programma popolare e senza più conciliazione di classe. Per questo i poteri forti hanno così paura di Lula, perché rappresenta l’unità del campo popolare.
In cosa consiste la piattaforma popolare d’emergenza proposta dal Frente Brasil Popular?
Dopo molti mesi di lavoro collettivo, sempre alla ricerca dell’unità, il Frente Brasil Popular, che riunisce oltre 80 movimenti e partiti politici, ha approvato un programma popolare d’emergenza. Servirà a discutere con il popolo per mostrare che il Brasile è un paese ricco, che ha futuro, e che ci sono vie d’uscita alla crisi economica, politica, sociale e ambientale che viviamo. Però si devono adottare misure a favore del popolo, per risolvere i problemi delle classi popolari e non quelli della borghesia. Così, oltreché un piano, sarà un poderoso strumento di dibattito, per aumentare la coscienza delle masse, per accumulare forze per il futuro. Il programma è diviso in 10 capitoli su diversi campi della vita sociale, e propone misure concrete di emergenza, che un governo post-Temer, che sia popolare, deve adottare.
È possibile una candidatura del giudice Sergio Moro, protagonista dell’inchiesta Lava Jato?
Moro è demoralizzato perché la sua maniera parziale e persecutoria di agire solo contro il Pt è stata frustrata. Tanto che le ultime misure giudiziarie che hanno evidenziato la corruzione e hanno portato alla destituzione da senatore dell’ex candidato alla presidenza Aecio Neves e in carcere sua sorella, un cugino e a processo diversi politici, sono state eseguite dall’Stf e non da Moro. Il campo conservatore spera che O Globo procuri una qualche candidatura mediatica come succede in questo momento nei nostri paesi. Credo però che la gente sia più accorta e sarebbe difficile costruire un altro Collor o un altro Berlusconi in breve tempo.
Il ruolo della magistratura, come avvenne in Italia, sembra determinante per ridefinire gli assetti politici in tutta l’America latina
Il potere giudiziario in Brasile e in tutto il Latinoamerica, con l’eccezione dei paesi dell’Alba (Cuba, Venezuela, Nicaragua, ecuador e Bolivia) ha caratteristiche più di stampo monarchico che repubblicano. La società non esercita alcun controllo su di lui. Le cariche più alte valgono a vita e sono elette dai governanti, senza alcuni criterio. Il potere giudiziario nei nostri paesi è un puro strumento di dominio della borghesia, senza nessuna retorica o dogmatismo. È così nella realtà. Per questo, i movimenti popolari difendono che in Brasile, dopo aver cacciato Temer si elegga un nuovo presidente per via diretta e si convochi un’Assemblea costituente, che elegga con altri criteri i rappresentanti del popolo, perché si faccia una riforma politica, di tutto il sistema elettorale e la riforma del potere giudiziario.
Anche in Venezuela, Maduro ha proposto un’assemblea Costituente, che è materia di scontro violento. Quali sono i rischi per il continente?
È un tema complesso, difficile da riassumere in poche righe. L’analisi dei movimenti sociali organizzati nell’Alba è che siamo nel pieno di una grave crisi economica, politica, sociale e ambientale che investe tutto il continente. Fin dall’elezione di Chavez, c’è stata una lotta permanente fra tre progetti di governo: il neoliberismo spinto dagli Usa, e che ha come riferimento il Messico, il Cile, Panama, la Colombia. Il neosviluppismo che veniva spinto dal Brasile, dall’Argentina e dall’Uruguay. E il progetto Alba, sostenuto dal Venezuela, che ha intorno a sé diversi governi progressisti. Però la crisi mondiale del capitalismo, non solo in termini economici ma come crisi del dominio dello Stato borghese, crisi del dominio del capitale sui beni comuni, ha provocato nel nostro continente una crisi di tutti e tre i progetti.
Le difficoltà attuali sono comuni a tutti i nostri paesi, perché nessuno di quei progetti ha l’egemonia e s’impone, tutti sono in crisi. La soluzione sarà di lungo termine per ognuno dei nostri paesi. In Venezuela, per fortuna, hanno una egemonia popolare e nel governo, nelle Forze armate, nel potere giudiziario, e nelle forme autonome del popolo organizzato in comunas, consigli comunali eccetera. Tutto questo è riuscito a contenere l’offensiva della destra, a fronte della crisi economica che ha colpito anche il Venezuela. Ora hanno scelto una misura politica, molto saggia, quella di convocare un’Assemblea costituente affinché sia il popolo a decidere quali passi intraprendere per uscire dalla crisi. Ossia, come sempre abbiamo appreso dai nostri grandi pensatori, nel dubbio, consultiamo il popolo, che – nella sua forma cosciente – è il solo che ha la possibilità di fornire le vere soluzioni sociali. In Venezuela c’è uno scontro duro con la destra, che riceve un forte appoggio dagli Stati uniti, dalla Spagna, dalla Colombia. Uno scontro che potrebbe prolungarsi e allora sarà necessario adottare misure più dure. Credo, però, che il popolo venezuelano ce la farà e porterà avanti cambiamenti ancora più strutturali.