Dean Henderson, Left Hook, http://aurorasito.altervista.org
Ieri a poche ore dal riconoscimento del presidente Trump del capo dell’opposizione venezuelana Juan Guaido a nuovo presidente del Paese, il presidente del Venezuela, debitamente eletto, Nicholas Maduro rompeva i rapporti cogli Stati Uniti, accusando gli Stati Uniti di sostenere un colpo di stato contro il governo e dando al personale USA 72 ore lasciare il Paese. Maduro aveva prestato giuramento solo due settimane prima.
La Russia avvertiva che il tentato colpo di Stato statunitense, successivamente appoggiato dai governi di destra di Brasile, Colombia e Canada, comporterebbe lo spargimento di sangue se fossero intraprese ulteriori azioni. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov dichiarava che le interferenze estere nel Paese sono “inaccettabili” e che parlare di azioni militari statunitensi è “pericoloso”. Istruitosi alla George Washington University infestata dalla CIA, Guaido divenne presidente dell’Assemblea nazionale del Venezuela il 5 gennaio, affermando immediatamente che Maduro non era il presidente del Venezuela e lavorando per incitare la ribellione all’interno nelle forze armate. Maria Iris Varela Rangel, leader del Partito socialista unificato di Maduro, twittavo sulla sedizione, “Guaido: ho già preparato la tua cella con l’uniforme giusta, e spero che chiami il tuo gabinetto in fretta per sapere chi ti farà compagnia, stupido ragazzino”.
Funzionari statunitensi dichiarava al New York Times di aver visto Guaido come “volto nuovo” e il vicepresidente Pence l’aveva già sostenuto pubblicamente. Maduro affermava in un discorso televisivo, “Chi elegge il presidente del Venezuela? Mike Pence? Sono l’unico presidente del Venezuela. Non vogliamo tornare al ventesimo secolo degli interventi e dei colpi di Stato dei gringo”.
Nel 2017, Maduro organizzò le elezioni per l’assemblea costituente. Oltre 8 milioni di persone parteciparono, creando un baluardo che avrebbe protetto la rivoluzione socialista bolivariana dalla costante violenza dell’oligarchia venezuelana di Miami. Il 9 ottobre 2012, il Presidente Hugo Chavez fu rieletto per la terza volta in quattordici anni, sconfiggendo facilmente il difensore oligarchista conservatore Henrique Capriles col 54% dei voti. Il focoso Chavez, che aveva criticato le molestie della NATO al governo di Assad in Siria, aveva in programma un altro mandato di sei anni. Ma il 5 marzo 2013, Chavez morì per un “cancro” in rapida espansione, probabilmente somministrato dagli agenti dei banchieri Illuminati della City di Londra. La rielezione di Chavez fu notevole considerando che meno di due anni prima l’oligarchia venezuelana e i suoi sostenitori della CIA/Big Oil organizzavano manifestazioni a Caracas soprannominate Operazione Venezuela. Gli eventi, ben contrastati dai sostenitori di Chavez, segnarono l’anniversario della deposizione di Marcos Perez Jimenez in Venezuela nel 1958. Ma come in tutte le recenti “rivoluzioni” Arancio/Velluto/Cedro sponsorizzate dalla CIA, la contraddizione risiede nei libri di storia. Jimenez, vedete, era un dittatore di destra, l’esatto contrario del socialista Chavez.
Nel 1914 la consociata Royal Dutch/Shell Caribbean Petroleum scoprì il vasto giacimento petrolifero di Mena Grande in Venezuela. Le compagnie petrolifere straniere iniziarono ad affluire nell’area. Quando nel 1922 fu scoperto sul lago Maracaibo il petrolio, il dittatore venezuelano Juan Vicente Gómez permise agli statunitensi di scriversi la la legge sul petrolio del Venezuela. Il 27 novembre 1948, il primo presidente democraticamente eletto del Venezuela, Romulo Gallegos, fu rovesciato da un colpo di Stato guidato da compari di Jimenez. La democrazia non fu ripristinata fino al 1958, quando Jimenez fu rovesciato. Il presidente Romulo Ernesto Betancourt Bello vinse le elezioni tenutesi lo stesso anno. Il populista Betancourt fu presidente dal 1945 al 1948. Aveva passato il potere al romanziere Gallegos poco prima del colpo di Stato di destra. Jimenez privatizzò l’economia venezuelana spargendo Caracas di grattacieli di multinazionali e banche. Era vicino all’uomo più ricco del Venezuela, Gustavo Cisneros e alla sua Creole Petroleum. Cisneros era un luogotenente di Rockefeller che sedeva nel consiglio di amministrazione della Bank of Nova Scotia, una delle cinque grandi banche canadesi. Possedeva le 200 tonnellate d’oro recuperate dalla macerie del World Trade Center dopo il 911. Creole Petroleum è una sussidiaria di Exxon Mobil fondata dalla CIA. Creole e CIA condividono gli uffici a Caracas. Exxon Mobil, controllata dalla famiglia Rockefeller, è la CIA in Venezuela. Bechtel costruì l’oleodotto di Mena Grande per gli interessi petroliferi sul Lago di Maracaibo.
Poco dopo le elezioni del 1958, il vicepresidente Richard Nixon visitò il Venezuela nel tentativo di mantenere Betancourt con “Big Oil/FMI”. Nixon fu invece salutato da milioni di manifestanti arrabbiati. Betancourt, che aveva già imposto uno schema di partecipazione agli utili 50-50 a Big Oil, nel primo mandato, piegò a sinistra, iniziando a finanziare i rivoluzionari di Castro a Cuba e tentando di nazionalizzare completamente il petrolio del Venezuela. Il presidente Dwight Eisenhower rispose introducendo le quote sul petrolio venezuelano e dando un trattamento preferenziale al greggio messicano e canadese. Betancourt contrastò nel settembre 1960 quando il Venezuela si unì a Iran, Iraq, Arabia Saudita e Quwayt nella riunione a Baghdad per lanciare l’OPEC come cartello dei produttori per contrastare il peso economico globale dei Quattro Cavalieri e i loro vari tentacoli. Betancourt intraprese un ambizioso programma di riforma agraria e parlò a sostegno dei ribelli di sinistra delle FARC nella vicina Colombia. Nel 1960 sopravvisse al tentato assassinio di agenti di Rafael Trujillo, il dittatore posto dalla CIA nella Repubblica Dominicana. È probabile che l’Agenzia vi fosse coinvolta. Nei successivi quattro decenni, il Venezuela subì la ri-privatizzazione ed espansione dell’industria petrolifera, diventando principale fonte di petrolio dei Quattro Cavalieri, diretto verso gli Stati Uniti. Quando i prezzi del petrolio crollarono nei primi anni ’90, il Venezuela, una volta la nazione più moderna dell’America Latina, subì un collasso economico. La sua classe media, un tempo prospera, fu in gran parte rigettata nella povertà. Era un campanello d’allarme. Nel 1998, il candidato del Movimento della Quinta Repubblica Hugo Chavez fu eletto presidente col sostegno degli operai e dei contadini venezuelani. Inveì contro l’egemonia degli Stati Uniti nel suo Paese annunciando che avrebbe venduto petrolio all’amico Fidel Castro, a Cuba, a condizioni favorevoli e stabilito legami diplomatici coll’Iraq. Annunciò un programma di riforma agraria e insediò economisti marxisti presso la PDVSA, la compagnia petrolifera nazionale venezuelana. Chavez parlava di deviare la ricchezza del petrolio venezuelano dalle banche occidentali verso un grande piano di sviluppo per tutta l’America Latina. Il segretario generale dell’OPEC fino al 2002 era il Ministro del Petrolio venezuelano Ali Rodriguez. All’inizio del 2002 l’élite al potere in Venezuela, guidata dal cavaliere dei Rockefeller Gustavo Cisneros e dalla sua banda della Bank of Nova Scotia, tentò di rovesciare Chavez. Ci furono segnalazioni di coinvolgimento di US Navy ed US Air Force. Ad aprile Chavez si dimise. In pochi giorni, in seguito alle rabbiose proteste della classe lavoratrice venezuelana, tornò al potere. Il generale filo-statunitense che guidò il tentato colpo di stato fu accusato di tradimento. El jeffe fuggì in Colombia dove fu accolto dal governo di Uribe, narcotrafficante sostenuto dagli Stati Uniti. In ottobre l’oligarchia venezuelana andò contro Chavez. Di nuovo il loro golpe fallì. Il 5 dicembre 2002, Chavez dichiarò che i disordini venezuelani facevano parte di un complotto “per impadronirsi dell’industria petrolifera del Paese”.
Il 16 gennaio 2003, Chavez lasciò il Venezuela tra scioperi guidati dai dirigenti petroliferi. Chiese aiuto all’ONU, dove consegnò la guida del gruppo radicale G-77 delle nazioni in via di sviluppo al Marocco. Alla fine di febbraio, dopo aver sopportato lo sciopero, Chavez, sapendo benissimo quale fosse il vero potere dietro gli scioperanti, disse al governo degli Stati Uniti di “fare marcia indietro”. Il 17 aprile 2003, il comandante generale dell’esercito venezuelano Melvin Lopez proclamò ad USA Today che il governo degli Stati Uniti era direttamente coinvolto nel tentato colpo di febbraio e che aveva le prove che tre elicotteri Black Hawk degli Stati Uniti erano stati avvistati nello spazio aereo venezuelano in quel periodo. Alla vigilia di Natale 2005 Chavez pronunciò un discorso alla nazione in cui disse: “… minoranze, discendenti di chi uccise Gesù Cristo, controllano le ricchezze del mondo”. E proclamò che il 911 era opera interna. Nel giugno 2007 Chavez ordinò a Big Oil di accettare il ruolo di partner minore della PDVSA statale o di lasciare il Venezuela. Exxon Mobil e Conoco Phillips se ne andarono. Fece amicizia coll’Iran e un’ondata di presidenti di sinistra alleati di Chavez salì al potere in America Latina. I più radicali erano Evo Morales in Bolivia, Raphael Correa in Ecuador e il sandinista Daniel Ortega in Nicaragua. Insieme usavano la ricchezza petrolifera venezuelana per lanciare il tanto atteso Banco del Sur come contrappeso all’egemonia del FMI nel continente. Mentre l’atteggiamento di Chavez verso i banchieri internazionali era sempre più ribelle, i quattro cavalieri cominciarono a comprare petrolio da nazioni più facilmente corruttibili come Messico e Colombia. Negli anni ’90, Exxon otteneva il 16% del petrolio dalla Colombia, mentre la Chevron il 26% dagli Stati Uniti dal Messico. Un rapporto del maggio 2010 che documentava l’assistenza estera a gruppi politici in Venezuela, commissionato dal National Endowment for Democracy (NED), rivelava che oltre 40 milioni di dollari all’anno venivano incanalati a gruppi anti-Chavez dalle agenzie statunitensi. Il fondatore del NED Allen Weinstein si vantò al Washington Post: “Quello che facciamo oggi fu fatto clandestinamente venticinque anni fa dalla CIA”. Nel gennaio 2011, l’amministrazione Obama revocò il visto dell’ambasciatore venezuelano a Washington dopo che Chavez aveva rifiutato la nomina di Larry Palmer ad ambasciatore statunitense a Caracas. Palmer era stato apertamente critico nei confronti di Chavez e aveva un curriculum spettrale. Lavorò con l’aspirante assassino di Betancourt, Rafael Trujillo, nella Repubblica Dominicana e danzò coi dittatori appoggiati dagli Stati Uniti in Uruguay, Paraguay, Sierra Leone, Corea del Sud e Honduras. Palmer sostituì Patrick Duddy, coinvolto nel tentato colpo di Stato contro Chávez nel 2002.
L’ultimo progetto del programma “Socialismo per il 21° secolo” di
Chavez fu la riforma del settore finanziario, a lungo dominato dal cartello internazionale dei banchieri. L’Assemblea nazionale del Venezuela approvò una legislazione che definisce l’attività bancaria servizio pubblico. La legge impone alle banche in Venezuela di contribuire maggiormente ai programmi sociali, ad attività di costruzione di alloggi e ad altri bisogni sociali. Proteggere i depositanti richiedendo al sovrintendente delle istituzioni bancarie di operare nell’interesse dei clienti delle banche piuttosto che degli azionisti. Nel tentativo di controllare la speculazione, la legge limita al 20% la quantità massima di capitale che una banca può avere come credito. La legge limita anche la formazione di gruppi finanziari e proibisce alle banche di avere interessi in società di brokeraggio e compagnie assicurative. La legge Glass-Steagal dell’era della Depressione fece la stessa cosa negli Stati Uniti fin quando il presidente Bill Clinton l’abrogò nel 1995. La legge venezuelana prevede inoltre che il 5% dei profitti bancari vada a progetti approvati dai consigli comunali, mentre il 10% del capitale bancario va versato in un fondo per pagare i salari e le pensioni in caso di fallimento. Secondo il Wall Street Journal (WSJ), “Chávez ha minacciato di espropriare grandi banche in passato se non aumentavano i prestiti ai proprietari di piccole imprese e potenziali acquirenti di case, questa volta fa pressione pubblicamente per mostrare preoccupazione per la mancanza di alloggi per 28 milioni di venezuelani”. Prima della morte, Chavez era più esplicito nell’opposizione all’intervento occidentale in Medio Oriente, alleandosi fermamente con Iran e Siria mentre elogiava il socialismo arabo. Chiamò il Presidente siriano Assad “umanista e fratello” e descrisse il deposto presidente socialista libico Muhamar Gheddafi “mio amico”. Per quanto riguarda i banchieri degli Illuminati, Chavez si confermò la peggiore paura dal loro portavoce WSJ, affermando: “Qualsiasi banca che scivolasse via… cercherò di espropriarla…”
I banchieri uccisero Hugo Chavez e cercarono di impedire l’elezione del 2013 di Maduro e l’istituzione dell’assemblea costituente del popolo nel 2017. Alla disperata ricerca di reimporre sulla nazione il monopolio petrolifero di ExxonMobil/Royal Dutch Shell dei Rockefeller/Rothschild, il riconoscimento di Trump dello scolaretto Guaido a presidente è solo l’ultima manovra a tale fine. Ma tali amici di Rockefeller continuano a sottovalutare il popolo venezuelano, che continuerà la lotta rivoluzionaria e resterà un faro di speranza per il resto del mondo.
Traduzione di Alessandro Lattanzio