William Serafino, Mision Verdad – http://aurorasito.altervista.org
Il New York Times (NYT), in un articolo di Anatoly Kurmanaev e Clifford Krauss, analizzava le sanzioni statunitensi contro il Venezuela da una prospettiva negativa. Riferendosi alle ultime sanzioni dell’amministrazione Trump, i media avvertivano che “le esportazioni sono crollate e le attività bancarie sono paralizzate mentre le misure hanno avuto un effetto più rapido e atroce del previsto”.
“Non sono sicuro che gli Stati Uniti abbiano un piano B nel caso in cui non si sbarazzi di Maduro (…) temo che se tali sanzioni fossero attuate nella forma attuale, assisteremo ad una carestia”, aveva detto Francisco Rodríguez, capo economista e della campagna presidenziale dell’opposizione Henri Falcón, alla domanda dei giornalisti del quotidiano di New York.
Il NYT incolpa l’amministrazione Trump per i danni all’economia venezuelana causati dal blocco finanziario, su cui intervistava il direttore della Camera del Petrolio venezuelano Reinaldo Quintero, che dichiarava: “Non possiamo addebitare e non possiamo ricevere denaro. le finanze sono paralizzate (…) Ci saranno gravi danni collaterali”. Contrariamente alla narrativa secondo cui le sanzioni mirano a punire Maduro e i vertici del governo venezuelano, il NYT afferma che “molti venezuelani temono che i flussi di reddito ridotto peggiorino drasticamente la già grave carenza di cibo e medicine, e chiuda le poche imprese private rimaste”. Sottolineando che “a causa della prevalenza del sistema finanziario statunitense e del dollaro nell’economia globale, gli effetti a catena delle sanzioni si sono estesi oltre i confini statunitensi e hanno reso molto difficile al governo venezuelano continuare a comprare e vendere prodotti “, i media confermavano ciò che i venezuelani videro due anni fa: la chiusura delle catene di approvvigionamento alimentari e mediche, aggiunta alla chiusura dei conti internazionali del Paese, stimolavano un’inflazione feroce. La punizione è collettiva sin dall’inizio.
Dal far filtrare sul golpe alla “messa in discussione” delle sanzioni
L’8 settembre, il NYT pubblicava un articolo che svelava un’operazione segreta golpista guidato dall’amministrazione Trump con disertori all’estero. Il piano chiamato “Operazione Costituzione” aveva il sostegno dei funzionari di Trump e cercava di rapire il Presidente Maduro prima delle elezioni presidenziali del 20 maggio. Anche Bloomberg contribuì a filtrare tale piano, colpendo la Casa Bianca due mesi prima del NYT. La pubblicazione del NYT, dopo il fallito assassinio del Presidente Maduro il 4 agosto, giunse a confermare le denunce del governo venezuelano sul rapporto tra Stati Uniti, golpe e piani insurrezionali. Ciò aumentava la credibilità internazionale del Presidente Nicolás Maduro e lasciava i portavoce politici di Trump sul Venezuela, il più importante dei quali era Marco Rubio, sulla difensiva. L’articolo in cui si interroga il blocco finanziario contro il Venezuela sembra seguire lo stesso schema delle fughe sul colpo di Stato a settembre. Poiché il NYT è una società collegata al Partito Democratico, in piena lotta pre-elettorale contro Trump per il 2020, la sua pubblicazione ha interesse a minarlo anche nella politica nei confronti del Venezuela. Il NYT sembra avere tale interesse specifico, perché nell’articolo, sebbene riconoscano il peso negativo delle sanzioni, omettono la partecipazione dei capi dell’opposizione come Julio Borges e Antonio Ledezma nell’impiego delle armi da guerra economiche nella congiuntura delle proteste violente. Sottolineano inoltre che le sanzioni hanno colpito il Venezuela dall’ultima applicazione a gennaio, ignorando la formalizzazione del blocco finanziario coll’Executive Order di Donald Trump nell’agosto 2017, i suoi effetti dannosi cominciavano a farsi sentire con inflazione elevata e carenza di farmaci. Il limite della “messa in discussione” della guerra economica statunitense contro il Venezuela ha più a che fare coll’interesse di indebolire l’immagine pubblica di Trump, che con una sincera preoccupazione sulle vessazioni economiche che la società venezuelana vive. A modo loro, difendono Julio Borges e altri operatori della guerra contro il Venezuela.
Il riflesso di una battaglia campale sul suolo nordamericano (e in Florida)
Questa pubblicazione avviene dopo la discussione al Senato su una risoluzione che mirava a legittimare l’auto-proclamazione di Juan Guaidó ed approvare l’uso della forza militare. Questo articolo non fu autorizzato dal voto democratico al Senato, dove il più visibile fu Bob Menendez. Come risultato, il deputato democratico Ro Khanna avvertì Guaidó che solo il Congresso può autorizzare l’uso della forza militare, ponendo l’autoproclamato in una posizione di discredito sulla presunta capacità di rendere possibile l’opzione militare. Come l’articolo contro le sanzioni, questa posizione del Partito Democratico non corrisponde tanto all’interesse di una soluzione pacifica e costituzionale del conflitto venezuelano, ma all’interesse di migliorare il voto contro Trump per le elezioni presidenziali del 2020.
Per il Partito Democratico, che durante l’amministrazione Obama ha promosso il colpo di Stato del 2014 e le prime sanzioni per accerchiare l’economia venezuelana, vede con maggiore importanza strategica in questo momento ridurre il sostegno elettorale dei repubblicani facendone deragliare la politica estera. Per i repubblicani, d’altra parte, il Venezuela è un mezzo per inviare un messaggio d’autorità internazionale a Cina e Russia nel quadro della loro guerra fredda del XXI secolo. Il consenso di questa guerra geopolitica è di entrambe i partito, solo che i democratici non vogliono che Trump prenda tutti i meriti. Nel pieno della battaglia pre-elettorale tra la chiusura del governo federale e la richiesta di espandere il muro al confine col Messico, l’eccessiva concentrazione sulla situazione venezuelana è vista dai democratici come valvola di sfogo per esportare la tensione della politica interna e distrarre i media, dediti a fare della figura di Trump un caso giudiziario.
Il Venezuela come attore decisivo per il 2020
Le elezioni del 2020, viste dalla correlazione di forze espresse nelle precedenti legislature, sembrano annunciare un quadro finale. La svolta potrebbe essere, ancora una volta, lo Stato della Florida che nel 2016 ha contribuito con oltre 100 mila voti a definire le elezioni a favore di Trump. Perciò, Trump mantiene Marco Rubio nella linea di comando della politica estera sul Venezuela, perché con la sua aggressiva retorica è incaricato di mobilitare la diaspora cubano-venezuelana e la loro mediazione con le mafie immobiliari, che vedono con buon occhio Trump per voler fare la guerra che da tanti anni aspettavano. John Bolton, Mike Pompeo e Mike Pence si giocano anche il loro futuro nel 2020 col demente programma contro il Venezuela, un’estensione delle loro manovre di guerra contro Iran, Cina e Russia. Tuttavia, le passate elezioni legislative mostravano un nascente cambiamento politico in Florida, dove i democratici riuscivano a strappare il seggio all’iconica rappresentante congressista Ileana Ros e ad aumentare significativamente i voti. Precisamente, cercando di fermare tale nuova correlazione di forze e continuare il comando della Casa Bianca, i settori più radicali della Florida, insieme alla Casa Bianca, hanno forgiato un’alleanza per portare lo scontro col Venezuela all’estremo belluino, per ottenere le entrate elettorali attese. Questo è esattamente il motivo per cui i democratici usano il proprio potere mediatico per sfidare questa strategia che cerca di esportare la crisi dagli Stati Uniti al Venezuela. Nei loro calcoli, mentre continuano a ostacolare l’espansione del muro di Trump e a rafforzare la tensione interna con la chiusura del governo federale, intendono logorare l’amministrazione repubblicana al punto di tradurlo in voti favorevoli. Attaccare e screditare Rubio, presentarlo come figuro che non mantiene le promesse, è ugualmente una scommessa per frustrare il voto ai repubblicani. Quindi, la pubblicazione del NYT s’inserisce nel contesto della politica interna degli Stati Uniti ed è anche un riflesso delle tensioni sperimentate dalla loro classe politica, per cui la questione venezuelana è vista e usata come strumento di sabotaggio, logoramento e ricerca di voti
A chiusura di questa nota, l’autoproclamato Juan Guaidó annunciava “l’ingresso degli aiuti umanitari per il 23 febbraio” e il senatore Marco Rubio implorava sul suo account twitter che il comando militare del Paese facesse valere l’appoggio alla Costituzione prima che le garanzie di sospendere le sanzioni personali scomparissero. Da oggi a quella data, la retorica dell’intervento aumenterà molto probabilmente in modo significativo e la Casa Bianca cercherà di continuare a promuovere le condizioni per l’intervento multinazionale (insieme a Colombia e Brasile) contro il Venezuela sotto il formato della Responsabilità per proteggere, andando oltre i limiti istituzionali del senato degli Stati Uniti, dell’OSA e dello stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove sono indeboliti dal potere di veto di Russia e Cina. La crisi politica negli Stati Uniti ha portato alla geopolitica in cui la situazione in Venezuela è un aspetto determinante per le elezioni presidenziali del 2020, dove l’ala radicale della Florida cerca di mantenere la presa sul potere e i democratici attaccano il trono di Trump. Per Marco Rubio, Mike Pence, Mike Pompeo e John Bolton, una violenta frattura od intervento in Venezuela è intimamente legato alla loro sopravvivenza politica e a Trump presidente. Sono impigliati in tale trappola.
Traduzione di Alessandro Lattanzio