Franco Vielma, Mision Verdad – http://aurorasito.altervista.org
L’amministrazione Trump agiva con costante aggressività nella politica di sanzioni e blocco applicato sistematicamente contro il Venezuela, raggiungendo lo zenit nel 2019, dall’avvento, per ordine della Casa Bianca, della presidenza parallela di Juan Guaidó e la strutturazione dell’assedio a spettro completo contro il nuovo mandato presidenziale di Nicolás Maduro.
In questi casi, le sanzioni e misure di pressione economica non dovrebbero essere intese come situazione isolata dalle pressioni diplomatiche, politiche, mediatiche e militari che Washington orchestrava contro Caracas negli ultimi anni. È anche essenziale assumere che la ripresa delle azioni per l’asfissia economica iniziò nel 2019 coll’esaurimento ed usura del boicottaggio economico interno che il Paese subiva negli ultimi anni senza produrre il risultato atteso: La caduta del Presidente Nicolás Maduro. Intendendo con ciò il Venezuela che subiva negli ultimi anni una serie di situazioni economiche turbolente, e cioè:
La svalutazione indotta della valuta attraverso posizionamento e manipolazione di un tasso di cambio parallelo, l’imposizione di siti web negli Stati Uniti che produssero precipitose fughe speculative e costante deprezzamento della valuta locale.
Inducendo il disastro notevole nei sistemi e sottosistemi dell’offerta e dei prezzi nell’economia venezuelana, influenzando la disponibilità di beni di consumo ed altri beni sensibili per il consumo della popolazione.
In questo processo partecipavano catene monopolistiche e oligopolistiche private venezuelane, i cui proprietari sono apertamente anti-chavisti e gestiscono produzione e distribuzione di questi beni, deregolamentando l’accesso della popolazione ai prodotti e creando il vuoto negli scaffali. aggirando le norme statali e favorendo al contrario la vendita di prodotti a prezzi speculativi nei settori informali non soggetti ai regolamenti statali. Quest’ultima pratica è nota nel gergo venezuelano come “bachaqueo”.
Il contrabbando di cibo e medicinali verso i Paesi limitrofi, in particolare la Colombia, alimentato dallo spread del cambio indotto, altro fattore aggravante che esacerbava carenze ed irregolarità nei processi di distribuzione. La variabile del contrabbando favoriva in questi anni la penuria di prodotti fabbricati in Venezuela e conseguentemente l’inflazione dei loro prezzi.
La speculazione era un elemento che fortemente stimolava l’iperinflazione, disarticolando di fatto le misure di protezione e regolamentazione dello Stato, creando quindi disordinate condizioni economiche e danneggiando le tasche degli stipendiati nel Paese.
La speculazione entrava nel tessuto economico attraverso le pratiche più salienti: speculazioni sul valore della valuta locale rispetto al dollaro (con marcatori paralleli) e d’altra parte, speculazione sul valore dei beni e servizi e delle espressioni dell’economia nazionale, tendenza intrapresa dalla grande impresa privata e quindi a cascata da tutti i settori della rete di piccole e medie imprese private. Questo ciclo si sviluppaò con grande enfasi dal 2014 al 2018 e persiste ancora. Alla “tempesta perfetta” dell’economia venezuelana si aggiunsero fenomeni esogeni, come il ciclo pronunciato dei bassi prezzi del petrolio dal 2014 al 2018 che colpiva l’economia venezuelana sulla vulnerabilità fondamentale; Lo Stato, attraverso le esportazioni di petrolio e altri beni strategici, raccoglieva oltre il 90% delle entrate di valuta estera nell’economia venezuelana, a sua volta sostenuta dalle importazioni di beni, attrezzature e forniture per la produzione di cibo e medicine.
La caduta del Presidente Maduro e del chavismo, dipende da diverse presunte cause istigate da sanzioni e blocco:
Accelerare il deterioramento del tessuto economico venezuelano, accentuare le contraddizioni create durante la guerra economica, impoverire le condizioni di vita della popolazione in generale e rafforzare la base sociale a sostegno dell’antichavismo e dell’interferenza di Washington nel Paese.
Per aggravare il deterioramento delle condizioni elementari della vita, come componente indispensabile della narrativa della “crisi umanitaria”, con cui la Casa Bianca ha prodotto consenso negli Stati Uniti e nella comunità internazionale per legittimare le azioni contro la nazione petrolifera. Washington riconosceva che il semplice soffocamento economico della popolazione non bastava a generare le dimissioni del Presidente Maduro. Al contrario, c’era una profezia liberale che si autoavverava affermando che le sanzioni rafforzano il potere del Paese bersaglio. Per questo, il governo degli Stati Uniti accelerava le misure coercitive direttamente sui funzionari civili e militari del Venezuela, per spezzare l’istituzione nazionale e chiamare in causa i funzionari del governo. Tuttavia, tali azioni non si dimostravano efficaci finora. Le sanzioni contro l’intera economia e i funzionari chavisti, all’unisono colle pressioni, richiedono un colpo di Stato alle Forze Armate venezuelane e amnistia promessa ai ribelli, cercando di spezzare il tessuto politico-istituzionale e militare, generando in tal modo lo sconvolgimento nella struttura dello Stato, collasso che renda il potere venezuelano vulnerabile all’aggressione. Washington chiedeva all’esercito venezuelano un “lavoro su ordine” sul suolo venezuelano a favore dell’amministrazione Trump, senza il risultato che si aspettava. Washington seriamente considerava la via militare per abbattere il chavismo. In tale trama, il blocco economico era un elemento di enorme esasperazione della popolazione venezuelana per crea un sostegno a tali azioni all’interno e all’esterno del Paese. Il blocco accelerava la migrazione dal Venezuela, la propaganda della “crisi umanitaria” e la dichiarazione di “Stato fallito”. Nell’eventualità di un attacco militare con mezzi regolari o mercenari, le sanzioni costituirebbero un’importante aggiunta per accelerare il collasso del Paese e della popolazione. Un precedente emblematico fu l’Iraq, Paese in cui più persone morirono a causa del blocco economico, prima del 2003 e a causa dell’invasione quell’anno.
Le sanzioni al Venezuela ai Raggi X
L’anatomia del blocco e delle sanzioni contro l’economia venezuelana è caratterizzata dalla determinazione politica dell’amministrazione Trump di collocare il Venezuela al centro della politica degli Stati Uniti. Nel 2018, Washington assunse con fermezza il soffocamento del Paese e nel 2019 la tendenza divenne inaudita. Il potere degli Stati Uniti pose il Paese quale riferimento della loro politica estera per l’emisfero occidentale. La grande enfasi della Casa Bianca fu l’approfondimento dei meccanismi per la destituzione in Venezuela, il prima possibile, dato che la questione venezuelana, della “troika del male” e del socialismo nel continente (Venezuela, Cuba e Nicaragua), erano un fattore per le elezioni presidenziali nordamericane del 2020. Nel discorso alla nazione all’inizio dell’anno e di fronte la comunità latina all’Università della Florida, Trump centrò la sua narrativa nell’impedire al suo Paese di percorrere la strada del socialismo. Centrare la campagna su una discussione ideologica binaria era insolita negli Stati Uniti e questo si spiegava coll’ascesa della sinistra nel Partito Democratico e le eccezionali pre-candidature di Elizabeth Warren e Bernie Sanders, chiari antagonisti politici di Trump. Tale situazione ed altre contraddizioni generate nella lotta tra le élite negli Stati Uniti definiva anatomia ed aggressività di tali azioni, presentando l’attesa caduta di Maduro come esempio della “lotta al socialismo” ed “efficacia” della politica estera di Trump, che si dimostrava su più fronti, irregolare, incoerente e inefficace. Il Venezuela acquisiva quindi la qualità di vetrina politica e modulazione della politica del dipartimento di Stato, di fronte alla politica interna degli Stati Uniti al mondo emergente (Russia e Cina), data la quantità delle risorse strategiche del Paese che gli Stati Uniti intendono cooptare come fecero nel ciclo storico del XX secolo.
Azioni di blocco e boicottaggio finanziario
Le influenze sulla regolarità della relazione finanziaria del Venezuela sono il punto di partenza per disabilitarne la liquidità e, d’altra parte, influenzarne il flusso di merci, con grande enfasi sugli acquisti statali di cibo e medicine. In effetti, recentemente lo Stato venezuelano dava corpo a un piano di assistenza umanitaria con la Croce Rossa Internazionale , per portare medicinali ed evitare ostacoli e dazi che ostacolassero l’acquisto di medicinali a beneficio della popolazione. Il Venezuela aveva anche lavorato con Russia e Cina in questa direzione per evitare situazioni come il blocco in Spagna della compagnia aerea Iberia e delle autorità del Paese a un carico di medicinali destinati al Venezuela. Dall’agosto 2017, Trump pose il veto sul Paese nei mercati obbligazionari statunitensi attraverso azioni dirette contro i titoli di Stato emessi dalla Banca Centrale del Venezuela (BCV) e lla compagnia statale Petróleos de Venezuela SA (PDVSA). L’obiettivo era di sabotare la capacità di finanziamento e rifinanziamento del Paese del debito accumulate finora. Inoltre miravano a influenzare le capacità della PDVSA di avere i finanziamenti per la manutenzioni e l’espansione dei giacimenti petroliferi col meccanismo di emissione dei petro. Con un ordine esecutivo alla fine di agosto 2017, CITGO Petroleum Corporation, controllata della PDVSA negli Stati Uniti, fu anche condannata a non inviare dividendi delle attività alla società madre. Allo stesso tempo, il dipartimento del Tesoro avviava l’applicazione di misure discrezionali contro fondi e conti venezuelani all’estero. Nel 2018 e 2019 la strategia fu molto aggressiva. Nel gennaio 2018, undici obbligazioni venezuelane e del PDVSA, da 1,214 miliardi di dollari, non poterono essere pagate ai creditori a causa dell’ostacolo delle sanzioni squalificanti i conti bancari della Citibank. Nel marzo 2018, l’amministrazione Trump, con un ordine esecutivo, dichiarò illegale l’acquisto o altra operazione relativa alla criptovaluta progettata dallo Stato venezuelano, il Petro. o qualsiasi altra criptovaluta venezuelana da parte di compagnie e cittadini nordamericani. A metà 2018, i conti della BCV e del Banco de Venezuela (di proprietà statale), sul suolo statunitense, furono screditati. Nel marzo 2018, congelarono circa 2,5 miliardi di dollari dal Venezuela trattenuti nelle banche degli Stati Uniti. Questo denaro sarebbe stato in gran parte destinato al pagamento dei creditori internazionali, spingendo al default e conseguente apertura di procedimenti legali dai creditori contro il Paese. Il 28 gennaio 2019, il segretario al Tesoro degli Stati Uniti e il suo ufficio che regola le attività estere in quel Paese (OFAC, per il suo acronimo in inglese) aggiunse nuove azioni contro la PDVSA congelando circa 7 miliardi di dollari di beni della compagnia petrolifera di Stato venezuelana, inclusa CITGO, coll’aggiunta della perdita stimata dal dipartimento stesso di 11 miliardi di dollari di esportazioni future di petrolio venezuelano negli Stati Uniti.
A gennaio, la Banca d’Inghilterra segnalava il trattenimento di 1,3 miliardi di euro di garanzie in oro. Circa 14 tonnellate d’oro che lo Stato cercava di rimpatriare senza successo e che passerebbero al controllo delle “legittime autorità del Venezuela”, cioè al governo parallelo di Juan Guaidó, che accederà a questi fondi con azioni discrezionali e arbitrate dagli Stati Uniti. Il 22 marzo 2019, l’OFAC decise di agire contro la Banca dello sviluppo economico e sociale del Venezuela (BANDES), comprese le filiali in Uruguay e Bolivia. Anche il Banco de Venezuela e il Banco Bicentenario, tutte banche statali, furono sanzionati per impedirne la capacità di manovra e l’utilizzo dell’intermediazione finanziaria del Paese. L’OFAC ordinava la chiusura di tutte le operazioni di qualsiasi entità bancaria collegata od operazioni negli Stati Uniti con le banche venezuelane. In un’intervista alla BBC, il Presidente Nicolás Maduro denunciava il sistema di liquidazione patrimoniale Euroclear che “rapinava” 1,4 miliardi di dollari del Venezuela, destinati a “comprare medicine contro il diabete, contro il cancro”. Su richiesta di BBC World, Euroclear semplicemente rispose che la “sua politica è conformarsi pienamente a leggi e regolamenti applicabili” e che “intraprende coerentemente le azioni necessarie a tale riguardo”. Nella stessa intervista, Maduro disse che il Portogallo aveva congelato “più di 2 miliardi di dollari” destinati all’acquisto delle stesse medicine. Il Venezuela denunciò la chiusura dei conti e il boicottaggio delle istituzioni finanziarie nelle loro operazioni commerciali. “Gli acquisti internazionali coi fornitori sono concordati, l’uso di una banca specifica è accettato per effettuare pagamenti e in seguito le banche si rifiutano di effettuare operazioni per paura di rappresaglie”, denunciava l’ambasciatore venezuelano alle Nazioni Unite (ONU) Samuel Moncada . In effetti, l’inviato per il Venezuela, Elliott Abrams, confermava che il dipartimento di Stato e altre agenzie governative statunitensi monitoravano le attività commerciali e finanziarie del Venezuela, comprese compagnie di navigazione e banche che avevano relazioni col Paese, per indicare che “non dovrebbero averle”.
Il 17 aprile furono annunciate azioni contro la BCV. “Sono lieto di annunciare nuove sanzioni contro la Banca centrale del Venezuela, volte a limitare le transazioni degli Stati Uniti con questa banca e chiudere l’accesso ai dollari USA”, aveva detto il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, durante una conferenza stampa a Miami. Nelle dichiarazioni Bolton spiegava che tali misure unilaterali contro la BCV rappresentano un “fermo avvertimento a tutti gli attori esteri, inclusa la Russia, a non dispiegare risorse militari in Venezuela”. Inoltre, l’OFAC indicava che il dipartimento del Tesoro agiva contro la BCV “per impedire che venisse usato come strumento del regime illegittimo di Maduro”, secondo il segretario del Tesoro Steven T. Mnuchin.
Azioni contro l’industria petrolifera venezuelana
Le azioni del blocco contro l’economia venezuelana includono danni mirati all’industria petrolifera, principale fonte di valuta estera del Venezuela. L’attività energetica venezuelana è proprietà dello Stato venezuelano e partner stranieri attraverso condizioni a maggioranza di proprietà statale su depositi, operazioni ed esportazioni. Il blocco dell’industria petrolifera veniva esteso per diminuire la capacità del governo venezuelano di adempiere all’obbligo del debito, attuando piani d’investimento in aree economiche strategiche diverse dal petrolio, sostenendo servizi pubblici ed importando macchinari, attrezzature, input per la produzione, cibo e medicine nel Paese. A fine gennaio John Bolton annunciava il congelamento dei beni venezuelani sul suolo statunitense. Questi beni appartengono a CITGO , che ha tre raffinerie negli Stati Uniti, una rete di gasdotti e oltre 5000 stazioni di servizio sulla costa orientale. Gli Stati Uniti assunsero una posizione di arbitraggio e discrezione sui beni venezuelani, impedendo al governo legittimo del Venezuela di accedere ai ricavi delle attività di CITGO, bloccando tutte le proprietà e gli interessi del PDVSA soggetti alla giurisdizione statunitense e vietando ai cittadini statunitensi di partecipare alle transazioni con essi. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti Steven Mnuchin disse che il CITGO poteva continuare le operazioni se le entrate fossero state depositate in un conto bloccato negli Stati Uniti, che sarebbe stato abilitato su uso e controllo del governo parallelo di Juan Guaidó. Allo stesso tempo, iniziava un processo di sostituzione della direzione di CITGO e la nomina di nuovi dirigenti da parte del governo artificiale e parallelo. Il presidente venezuelano accusava gli Stati Uniti di “esser passati al furto della compagnia di CITGO dal Venezuela” affermando che difenderà la ricchezza del Paese nei tribunali. All’unisono con tali azioni, gli Stati Uniti ponevano il veto al greggio venezuelano negli Stati Uniti a meno che i pagamenti avvenissero su conti a beneficio del governo finto di Guaidó, una questione che il chavismo non accettava. Questa era l’uscita del Venezuela dal mercato del greggio extrapesante negli Stati Uniti, Paese con oltre il 50% della capacità di raffinazione di questo greggio, i cui principali produttori sono Arabia Saudita, Canada e Venezuela.
Sebbene l’uscita del greggio venezuelano dal mercato statunitense abbia danneggiato il circuito dei raffinatori pesanti e extrapesanti nl paese, il complotto del blocco generava la ricerca di nuovi mercati per il greggio venezuelano indicando i Paesi del blocco emergente. Ma questo avveniva lentamente. Secondo diversi media, pressioni del governo degli Stati Uniti contro l’India inibivano l’estensione degli accordi tra Venezuela e India, chiudendo la probabilità sollevata a metà febbraio di raddoppiare l’invio verso la nazione asiatica. L’ultima visita di Mike Pompeo in India soddisfaceva questo compito. Il conglomerato indiano Reliance Industries, principale cliente di PDVSA nel Paese, contattava l’agenzia AFP e dichiarava: “La nostra filiale negli Stati Uniti ha completamente interrotto tutti gli affari con la compagnia petrolifera statale venezuelana PDVSA, e la sua società madre globale non ha altri acquisti”. Il 12 aprile, l’OFAC sanzionava le petroliere che inviavano il greggio venezuelano a Cuba. Tuttavia, la misura era considerata una modalità per mettere sotto pressione le compagnie di navigazione e i fornitori di servizi di trasporto del greggio per interromperne i servizi che ancora prestano nel Paese. Oltre agli effetti sulle esportazioni di petrolio, ci furono gravi danni all’industria petrolifera venezuelana. Il Venezuela attraverso la proprietà statale PDVSA importava circa 100 mila barili al giorno di nafta dagli Stati Uniti, un diluente indispensabile per trattare, trasportare e spedire greggio extrapesante, principale greggio di esportazione. Ma le azioni della Casa Bianca rovinavano tutto ciò, colpendo la produzione, perdendo 300 mila barili di produzione al giorno a causa di questo solo fattore. Un danno di grandi proporzioni al reddito venezuelano, a causa del boicottaggio che gli Stati Uniti attuavano non solo sul suolo nordamericano, ma in altri paesi contemporaneamente. La società India Reliance Industries, nella sua svolta commerciale col Venezuela su pressioni statunitensi, rivelava che “dato che le sanzioni furono imposte e contrariamente ad alcuni rapporti, Reliance sospese tutte le forniture di diluenti al PDVSA e non le riprenderà finché le sanzioni saranno revocate”. Questo fu riferito dalla BBC a nome della Reliance di proprietà di Mukash Ambani, l’uomo più ricco in Asia e dagli stretti legami con l’economia statunitense.
Il 29 gennaio, il Venezuela riceveva l’ultima spedizione di nafta della Reliance nel porto di Jose, nell’est del Venezuela, secondo Refinitiv Eikon, compagnia energetica specializzata nella raffinazione del greggio. Nei giorni precedenti la joint venture venezuelana Petro San Felix, anch’essa ad est, subiva un sensibile attacco alle strutture con l’esplosione provocata a due serbatoi con diluenti, evento catalogato dal Presidente della PDVSA, Manuel Quevedo, “atto” terrorista “inquadrabile nella road map per destabilizzare il Paese. Dato il calo indotto nelle riserve di nafta, PDVSA doveva iniziare a miscelare il greggio leggero col greggio extra-pesante, per poter effettuare spedizioni ed evitare un drastico calo delle esportazioni. Il greggio leggero è sempre più scarso ed è l’input fondamentale per le raffinerie venezuelane, che riforniscono il mercato del carburante nazionale. Quest’ultimo presuppone che gli Stati Uniti si aspettino di colpire il flusso di benzina in Venezuela attraverso una “operazione delle forbici” ai processi vitali di PDVSA e ulteriormente rovinare il Paese. Tale elemento potrebbe essere collegato alle dichiarazioni del senatore degli Stati Uniti Marco Rubio che profetizzava che “la popolazione venezuelana soffrirà una grave carenza di cibo e benzina”. Oltre agli atti già descritti, il blocco delle operazioni del PDVSA si applica all’embargo sui pezzi di ricambio ed attrezzature per gli impianti petroliferi, la cui tecnologia dipende in larga misura dal circuito petrolifero industriale statunitense. Raffinerie, cantieri, impianti di rifornimento, pozzi petroliferi, oleodotti e una serie di operazioni legate all’estrazione petrolifera e alla lavorazione dei derivati in Venezuela, dipendono da oltre 100 anni di tecnologie nordamericane che Chavez non riuscì a sostituire nella totalità con le alleanze con Cina e Russia. Il parco tecnologico petrolifero continua ad essere fortemente dipendente dal circuito dei fornitori statunitensi, principalmente di Texas, Oklahoma e Alabama, che chiusero col Venezuela senza offrire ulteriori spiegazioni. Ciò contribuiva ad indebolire l’acquisto da parte del PDVSA di molte attrezzature indispensabili per sostenere la produzione e le attività correlate dell’industria petrolifera nel Paese, in particolare il flusso di carburante per il mercato interno. D’altra parte, pressioni molteplici erano riconosciute contro i partner di PDVSA nello sviluppo petrolifero in Venezuela, Total di Francia e Repsol di Spagna, costretti a ridurre il coinvolgimento nel Paese. In vari media fu pubblicato il ritiro di tali compagnie dal Venezuela, e sebbene le compagnie lo negassero, non era chiaro se tali società nell’orbita occidentale fossero state sottoposte a pressioni e lobbying dagli USA per cessare le operazioni con lo Stato venezuelano.
Blocco dell’attività mineraria
Con le azioni di Washington contro le attività finanziarie e petrolifere, il governo venezuelano decise di attuare un piano di investimenti, sfruttamenti ed esportazioni della ricchezza mineraria del Paese attraverso l’Arco minerario dell’Orinoco per diversificare le esportazioni. I venezuelani favorivano la diminuzione dell’ingresso di valuta estera nel Paese attraendo investimenti stranieri. Per il Paese, le esportazioni di oro sono strategiche. Nel novembre 2018, il Ministro del Potere popolare per lo Sviluppo delle miniere ecologiche Víctor Cano informava che il Venezuela certificava 2300 tonnellate di oro e che il Paese puntava a raggiungere un posto privilegiato nel mondo. “Dai dati dedotti sulla quantità di oro nell’Arco minerario di Orinoco possiamo raggiungere 8300 tonnellate, mettendoci secondo Paese per riserve auree al mondo”, aveva detto il funzionario. Tuttavia, le prospettive d’investimento di alcune società subivano una battuta d’arresto quando, nel novembre 2018, la Casa Bianca ordinò con un nuovo ordine esecutivo espressamente azioni contro qualsiasi persona o società su suolo statunitense o relativo, se operavano nel settore dello sfruttamento dell’oro venezuelano. Tali sanzioni furono preparate per spezzare la struttura commerciale e finanziaria della vendita dell’oro, che avviene con transazioni in dollari e conti negli Stati Uniti o banche collegate alla rete finanziaria degli Stati Uniti. Il 19 marzo 2019, il dipartimento del Tesoro intraprese una nuova rappresaglia contro il Venezuela e le sue esportazioni di oro dichiarando di perseguire le “operazioni illecite in oro” dello Stato venezuelano e dedicando paragrafi a denigrare l’Arco minerario dell’Orinoco per una presunta difesa dell’ambiente e diritti dei popoli indigeni dello Stato di Bolivar e della Guayana venezuelana. Washington s’impegnava a sanzionare la compagnia statale Minerven, agenzia esecutiva e principale risorsa nel settore dei minerali strategici del Venezuela.
Traduzione di Alessandro Lattanzio