di Geraldina Colotti
Tania Diaz, vicepresidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, si divide, instancabile, tra gli impegni istituzionali e quelli della commissione Agitazione Propaganda e Comunicazione (APC) del PSUV, dove ricopre l’incarico di vicepresidenta.
La incontriamo nel salone Bicentenario dell’Hotel Alba, dove dirige una piccola ciurma agguerrita che sta preparando il Congresso internazionale della Comunicazione per i giorni 2,3 e 4. Un gran lavoro organizzativo, che la macchina del PSUV dispiega secondo uno schema già consolidato, messo in moto dal XXV Foro di Sao Paolo (dal 25 al 28 luglio). Da allora, si sono svolti diversi altri congressi internazionali (dei lavoratori e delle lavoratrici, delle donne, dei popoli indigeni e afrodiscendenti, delle comunas), che hanno coinvolto tutti i settori della rivoluzione bolivariana. Uno straordinario laboratorio di esperienze e resistenze che sta riaprendo la strada al socialismo per questo secolo 21.
“Adesso parlano i popoli”. Cosa significa questo slogan, che connota il Congresso internazionale della comunicazione e com’è stato pensato?
Il nostro Congresso realizza un altro capitolo dell’agenda stabilita durante il Foro di Sao Paolo, il penultimo. Dà conto di un tema trasversale a ognuno dei precedenti incontri, durante i quali è emersa l’esigenza di una piattaforma internazionale, di una rete internazionale della comunicazione popolare che consenta un’articolazione comune a livello globale. La congiuntura regionale mostra una realtà di repressione, criminalizzazione, giudiziarizzazione delle espressioni popolari scese in campo per la difesa dei propri diritti negati. Un risveglio da cui emerge, come risposta all’agenda bellicista del capitalismo, una bandiera comune, quella di una costituente globale per la vita e per l’umanità. Stiamo realizzando un incontro per dar voce a questi temi, per discuterne e trovare soluzioni comuni. Una finestra che trascende le frontiere regionali dell’America Latina per arrivare alle altre regioni del mondo, accompagnando i partiti, i sindacati, i movimenti sociali, le organizzazioni popolari che hanno partecipato al Foro di Sao Paolo e altri che si sono aggiunti successivamente.
Come sarà organizzato il Congresso?
Si prevede la presenza di circa 1.000 delegati, tra internazionali e nazionali. L’idea è però che il Congresso si apra alla città e alle regioni. L’incontro con il potere popolare avverrà in 7 spazi di Caracas, nelle regioni dove la forza della guerriglia comunicativa è più presente e in alcuni scenari più grandi, con la presenza di invitati internazionali. Per questo, si sono attivate le varie istanze delle organizzazioni popolari, che hanno inviato i propri rappresentanti e che faranno vivere i contenuti del congresso nelle diverse realtà. Vi sono portavoce dei 335 municipi che conta il paese, delle donne, del Congresso dei popoli, a cui aderiscono 57 movimenti, le strutture giovanili del PSUV, del Frente Francisco de Miranda e del collettivo Robert Serra, dei CLAP, i Comitati di rifornimento e produzione che hanno i propri media comunitari… Tutta la guerriglia comunicativa e creativa, compresi i circoli di lettura del settimanale del partito, il Cuatro F che ha realizzato per l’occasione due edizioni speciali. All’Hotel Alba, per iniziare, diamo conto di cinque scenari di guerra che si sono verificati nei momenti più critici di questo anno e dai quali siamo riusciti a uscire capovolgendo il racconto mediatico dominante, lo scenario di guerra simbolica, culturale, comunicativa che l’imperialismo voleva imporci. Di questo si discuterà con alcuni noti teorici della comunicazione alla luce del contesto internazionale. In sintesi, stiamo proseguendo nella linea stabilita dai tre tavoli tematici organizzati dal Foro di Sao Paolo sulla comunicazione, che ci hanno fornito alcuni parametri, ulteriormente sviluppati nelle Brigate internazionali della comunicazione solidale (BRICS), nei vari incontri dei media popolari e alternativi. Il nostro partito, che organizza questo congresso, si è proposto la messa a punto del progetto di una università della comunicazione popolare, inizialmente pensata a livello regionale, ma che, in un secondo momento, probabilmente si estenderà oltre il Latinoamerica. L’elaborazione del documento finale sarà soprattutto un piano d’azione per un’agenda concreta a livello internazionale, a partire da una giornata mondiale di azione, in vista degli scenari politici che verranno nel 2020. Un piano che accompagnerà il congresso dei partiti politici previsto per gennaio e che metterà a frutto le diverse elaborazioni teoriche inviate nei precedenti congressi.
Un progetto simile deve però misurarsi con la guerra economica. Come si fa a competere – chiedevano le donne al presidente Maduro già l’8 marzo dell’anno scorso –se i costi elevatissimi non ti consentono neanche un cellulare con il whatsap?
La controrivoluzione possiede mezzi giganteschi, un intero apparato mediatico e culturale che non possiamo contrastare per decreto o in un congresso. Dobbiamo però partire da quel che abbiamo realizzato con i nostri cellulari rattoppati e le nostre batterie claudicanti. Per questo abbiamo deciso di esporre gli scenari di guerra di cui ti parlavo prima. Il 23 febbraio scorso, alla frontiera tra Colombia e Venezuela, ci siamo trovati di fronte tutto l’apparato della controrivoluzione: c’erano il vicepresidente nordamericano, i presidenti di Colombia, Paraguay, Cile, l’Organizzazione degli Stati Americani, c’erano i paramilitari del gruppo Los Rastrojos, c’erano camion carichi di armi e famosissimi musicisti latinoamericani per il mega-concerto dell’opposizione.
E dall’altra parte della frontiera c’eravamo noi, con il nostro concerto, con i nostri giovani organizzati, con la polizia bolivariana. E siamo riusciti a fermare la loro agenda di guerra che pretendeva non solo di penetrare la nostra frontiera e di aggredire il paese, ma di dare inizio a uno scontro tra Colombia e Venezuela com’era nei piani del Pentagono. Lo abbiamo fatto con i pochi mezzi tecnologici che avevamo, con i nostri cellulari riparati, con il potere popolare. Non bisogna sopravvalutare le nuove tecnologie. Certo, come diceva Ignacio Ramonet nell’incontro antimperialista a Cuba, le nuove tecnologie hanno cambiato la nostra maniera di comunicare. Dallo stesso apparato ti arriva sia la voce della mamma che l’informazione filtrata e la cultura di largo consumo. Una comunicazione che ti avvicina e ti allontana al contempo. Ma non bisogna pensare che sia l’unica via. Il Venezuela è un paese in cui, pur con qualche difetto, esiste una democrazia partecipativa in cui il popolo è davvero protagonista e dove sono presenti tutte le forme di comunicazione, non solo quella digitale. Arrivano messaggi forti e chiari dalle rivolte popolari in Cile, dalla resistenza in Bolivia e persino da Haiti, un paese che non ha il servizio elettrico nel 90% della capitale Port-au-Prince. Per questo, dire “Adesso parlano i popoli” indica la direzione in cui volgere lo sguardo, alle lotte che rompono la censura usando la piattaforma tecnologica del nemico e che sorprendono. E anche in questo congresso ci saranno alcune sorprese…
Una nuova internazionale dei popoli nella società globalizzata come voleva Chavez?
Un capitalismo in crisi terminale tira colpi a tutto spiano, vuole assassinare l’energia vitale dei popoli, gli stati nazione, le culture, le identità. Vuole imporre la cultura della morte, della segregazione, dell’esclusione, facendo emergere la parte peggiore dell’essere umano. Sta a noi dar voce a quell’altra parte dell’essere umano che in essenza siamo, e che vediamo nelle rivolte di massa che chiedono un’Assemblea Nazionale Costituente. Lo dico con molta umiltà, però ci sentiamo orgogliosi di aver aperto la strada. Chavez, un grande comunicatore che ha anticipato i tempi su molte cose, ha rotto tutti i vecchi schemi della comunicazione. Quando girava per le strade, sempre dava voce al popolo. Nei programmi a reti unificate, lasciava il microfono aperto a una donna, a un lavoratore, a un contadino, a uno studente che lo interpellava per strada. E dovunque andasse dava valore alla cultura locale, al cibo, alle canzoni, agli eroi, ce li faceva conoscere e amare. Così ha unificato il sentimento nazionale, la nostra identità di popolo: il nostro sentimento patriottico, si deve dire, anche se la parola può non piacere altrove perché non ha lo stesso significato che da noi. Chavez ci ha unificato intorno al concetto di Patria. E quando ha preso commiato da noi, tornando da Cuba, a dicembre del 2012, ci ha lasciato impresse le sue parole. Ha detto: “Non mancheranno quelli che cercheranno di approfittare della congiuntura difficile per riportare il capitalismo, il neoliberismo e per farla finita con la Patria”. Ci ha lasciato come antidoto la consegna: “Unità, lotta, battaglia e vittoria”. Ha cantato “Patria querida”, che, da allora, si è trasformata in un secondo inno nazionale. Era la canzone del Battaglione Bravo de Apure, dov’era militare e che dice “Patria cara, tu sei la luce, tu sei il mio sole”. Un collante forte che identifica la nostra storia, la nostra cultura, la nostra identità e che continua a essere un orientamento. Per questo, il nemico cerca con ogni mezzo di distruggere la nostra bandiera. Per questo, in Bolivia, i golpisti bruciano la bandiera dello stato plurinazionale, la wipala, obbligano le donne indigene a togliersi gli abiti tradizionali. I golpisti riportano in Bolivia la Bibbia dei colonizzatori. Di questo, e della funzione delle multinazionali religiose come strumento di oppressione neocoloniale si discuterà a fondo nel nostro Congresso.
Tra il Pentagono e la Casa Bianca non c’è accordo su come proseguire nella strategia di attacco al Venezuela. Intanto, cosa accade nell’opposizione venezuelana dopo il vostro ritorno nel Parlamento “in ribellione”?
Ho molta fiducia nel tavolo di dialogo. Sono vent’anni che cerchiamo di ricondurre nell’ambito istituzionale un’opposizione golpista che ora sembra però diventata impresentabile anche per i suoi stessi referenti. In molti hanno capito di essere stati usati per niente in un crescendo di menzogna, corruzione, aggressione e fallimento. Vedo configurarsi un nuovo tipo di opposizione, un combinato di forze della IV repubblica e di settori emergenti, pronto a raccogliere questo scontento e a tornare al gioco politico nazionale. Per loro, le prossime elezioni parlamentari sono un importante banco di prova nel quale dovranno conquistarsi il favore degli elettori nei loro circuiti territoriali. Io sono nella commissione che raccoglie le proposte per esempio sulle possibili modifiche alla legge elettorale per quanto riguarda la soglia di sbarramento, che permetterebbe anche ai piccoli partiti di avere maggior partecipazione. Ci sono alcune formazioni che si sono allontanate dal chavismo ma che, di fronte alla nuova situazione, forse si troveranno a dover rispolverare il proprio antimperialismo. Ora c’è una delegazione parlamentare di oltre 8 partiti in visita ai diversi parlamenti nel mondo. La nostra proposta è chiara: il socialismo bolivariano per il XXI secolo, definito dal Plan de la Patria e portato avanti prima da Chavez e poi dai due mandati di Nicolas Maduro. Sta agli altri definire la loro, e su questo ci confronteremo.