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Esattamente un anno fa, il 23 febbraio 2019, il governo statunitense con la complicità dei grandi mezzi di informazione occidentali che sostenevano la legittimità dell’autoproclamazione di Juan Guaidò quale presidente del Venezuela e della crisi umanitaria in atto nel paese sud americano fu tentato di far entrare aiuti umanitari per la popolazione che, a loro dire, stava letteralmente morendo di fame.
Per non dimenticare quell’episodio e quelli che lo precedettero vediamo in dettaglio i fatti di quei giorni.
Il 10 gennaio Nicolas Maduro giura di fronte al Tribunale Supremo di Giustizia e assume la carica di Presidente della Repubblica per il periodo 2019/2025 dopo aver vinto con il 68 per cento dei voti le elezioni del maggio 2018. Subito gli Stati Uniti non riconoscono la legittimità del nuovo Presidente perché, secondo loro, le elezioni sarebbero state truccate e da questo momento in poi faranno di tutto per arrivare ad un cambio di governo. Dodici giorni dopo, il 22 gennaio.
Juan Guaidò, appoggiato dagli Stati Uniti, si autoproclama in una piazza di Caracas Presidente del Venezuela disconoscendo il legittimo Presidente Nicolas Maduro eletto alle ultime elezioni del maggio 2018.
In un clima di continua pressione mediatica sul paese per una supposta crisi umanitaria in atto, nella città colombiana di Cucuta, al confine con il Venezuela, il 22 febbraio,, viene organizzato un concerto a cui partecipano decine di cantanti per attirare l’attenzione sull’imminente tentativo da parte degli Stati Uniti di far entrare i tanto pubblicizzati aiuti umanitari alla popolazione. Solo per l’ingaggio dei cantanti furono spesi 46 milioni di dollari.
Il fatidico giorno è arrivato: il giorno successivo, il 23 febbraio, gli aiuti alla popolazione, donati dagli Stati Uniti, saranno fatti entrare nel paese. Gli aiuti sono valutati circa 20 milioni di dollari e sono sufficienti per solo 20 mila persone. Nei giorni precedenti l’amministrazione statunitense aveva congelato conti correnti ed attivi venezuelani nelle proprie banche per oltre 30 miliardi di dollari, 1500 volte di più di quanto generosamente donato. Da un lato gli Stati Uniti hanno applicato sanzioni per asfissiare l’economia venezuelana e dall’altro stanno cercando di far giungere alla popolazione un esiguo aiuto che, a loro dire, certificherebbe il fatto che nel paese esiste una crisi alimentare ed umanitaria senza precedenti. La giornata trascorre in un clima di tensione che culmina con il tentativo, da parte di due oppositori venezuelani in divisa militare, di sfondare dal lato colombiano con un veicolo la frontiera precedentemente chiusa. Non riuscendo a far entrare in Venezuela gli aiuti agli oppositori non resta altro che dare alle fiamme i camion facendo poi ricadere la responsabilità sulla polizia di frontiera venezuelana, operazione andata però a monte perché smascherata dai numerosi giornalisti presenti sul luogo. Alla fine anche il New York Times è stato costretto ad ammettere che l’incendio dei camion era stato compiuto da manifestanti pro Guaidò. Il quotidiano statunitense alcuni giorni dopo ha pubblicato un video che scagiona la polizia venezuelana in cui si vedono i sostenitori di Guaidò lanciare bottiglie incendiarie contro i camion.
Andato a monte il tentativo di far passare i camion attraverso la frontiera con la Colombia che contenevano oltre agli alimenti anche maschere anti gas e materiali vari di protezione, il 28 febbraio, in piena campagna mediatica internazionale con cui si continua a far passare l’idea che in Venezuela si sta consumando una crisi umanitaria senza precedenti gli Stati Uniti hanno presentato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU una risoluzione nella quale viene richiesta l’urgenza di riconoscere Juan Guaidò come presidente venezuelano e la necessità di convocare libere elezioni. La risoluzione non è passata perché la Russia ha apposto il veto.
Il 23 febbraio gli Stati Uniti con la scusa degli aiuti umanitari hanno cercato di invadere il territorio venezuelano. Infatti nei camion, come detto, erano presenti vari materiali oltre agli alimenti che sarebbero stati usati dai mercenari colombiani infiltrati in Venezuela per alimentare le proteste e creare una testa di ponte al confine con la Colombia. Il progetto insurrezionale prevedeva poi che l’esercito venezuelano si sarebbe rivoltato contro il governo di Maduro e quindi avrebbero dato manforte ai mercenari. Ma i conti quel giorno non tornarono: le notizie sulla certezza dell’ammutinamento dell’esercito propagandate da Juan Guaidò e del sostegno alla sua autoproclamazione erano false. L’esercito restò fedele a Maduro come poi avverrà in futuro e il tentativo di invasione fallì miseramente.
Grazie a Rete di Solidarietà rivoluzione bolivariana per la fotografia