Il personaggio. Antischiavista confederato, rivoluzionario cubano. A lui è intitolata la Brigata di medici cubani venuta in soccorso dell’Italia durante il momento più critico dell’emergenza Covid-19
Luciano Del Sette – il manifesto
Neppure quella volta, George W. Bush, il presidente che usava il binocolo al contrario, riuscì a vedere più in là del suo naso repubblicano e ferocemente anticomunista. Quella volta era il 30 agosto del 2005. L’Uragano Katrina aveva travolto gli States portando con sé milleottocento morti nella sola New Orleans, ridotta a un cumulo di macerie e fango.
Da Fidel
Fu allora che George «dabeliù» ricevette una chiamata inattesa. Al telefono c’era Fidel Castro, pronto ad offrirgli una Brigata di 1586 medici scelti tra le migliaia che, cubani e non, portavano il loro aiuto nel mondo. La salute pubblica era stata da subito una delle priorità del nuovo governo, e nel giro di pochi anni il servizio sanitario a Cuba era diventato ovunque sinonimo di eccellenza. Nel 1960, il terremoto di Valdivia, Cile, il più grande mai verificatosi per intensità, aveva spinto Fidel ad avviare un progetto di Internazionalismo medico su base strettamente volontaria.
Oggi questa rete può contare su cinquantacinquemila dottori, i cosiddetti first responders, che finora hanno prestato il loro intervento in una settantina di paesi. Dal 1999, la formazione dei volontari avviene presso l’Elam, la Escuela Latinoamericana de Medicina dell’Avana.
Ma torniamo al 30 agosto del 2005. Ovviamente e ottusamente, Bush rifiutò l’offerta. Per tutta risposta, Castro decise che la Brigata avrebbe costituito l’International Contingent Specialized in Situations of Disasters and Serious Epidemics, e portato il nome di Henry Reeve. Un battesimo non privo di un pizzico di velenosa ironia. In quindici anni di attività, la Henry Reeve è stata presente, ad esempio, in Guinea, Liberia e Sierra Leone per l’emergenza ebola del 2014; ad Haiti per l’epidemia di colera del 2010, dove ha isolato il batterio portato lì dagli scarichi di una missione Onu; presso l’ospedale di Tararà, Cuba, ha curato oltre ventimila bambini e quattromila adulti, vittime delle radiazioni di Cernobyl. In Italia abbiamo imparato a conoscerla con il diffondersi del Covid19.
Nel mese di marzo, a Crema, sono arrivati sessantatré dei suoi operatori (ripartiranno il 25 maggio); altri trentotto prestano servizio da aprile negli spazi delle ex Ogr, Officine Grandi Riparazioni, di Torino. E se i nostri media hanno raccontato il lavoro della Brigata, nessuno, salvo sbrigativi accenni, si è mai chiesto chi fosse Henry Reeve, tutt’al più liquidandolo con un generico ‘Eroe della rivoluzione cubana’. Eroe, Henry senza dubbio lo fu. Ma di una guerra, dei Dieci Anni, 1868/ 1878, contro i colonizzatori spagnoli.
Chi era, dunque, Henry Reeve; per quale ragione si trovò ad affrontare quattrocento battaglie nelle fila e poi alla testa dell’esercito ribelle, a subire dieci gravi ferite? La storia richiede sempre ordine di date e di eventi. Partiamo perciò dal 4 aprile 1850, giorno e anno della nascita di Henry a Brooklyn. I genitori, presbiteriani, vogliono per lui una solida formazione scolastica e culturale. L’assassinio di Abraham Lincoln suscita nel giovanissimo Reeve un sentimento antischiavista così forte da spingerlo ad arruolarsi tra i Confederati e partecipare alla Guerra di Secessione.
Al termine del conflitto trova lavoro in un negozio di libri del quartiere, dove entra in contatto con gli emigrati cubani che appoggiano i movimenti indipendentisti dell’isola. I loro ideali libertari lo affascinano. A soli diciannove anni fugge da casa per imbarcarsi sulla nave Perrit del generale nordamericano Thomas Jordan, che all’esercito ribelle porta trecento uomini, armi, munizioni e viveri. Reeve si arruola sotto le mentite spoglie di Henry Real. Non parla una parola di spagnolo, il suo vocabolario sarà un’edizione del Don Chisciotte.
La spedizione approda alla penisola di El Ramón l’11 maggio 1869, e qui, lo stesso giorno, Henry affrontò la prima prova del fuoco. Il 20, incalzate dagli spagnoli, le truppe di Jordan sono costrette a ritirarsi a Las Calabazas, teatro di uno scontro in cui Reeve viene fatto prigioniero e condannato alla fucilazione. Le quattro pallottole che riceve in corpo non lo uccidono. Riesce a scappare e a raggiungere l’accampamento del generale Luis Figueredo. Una volta guarito, ottiene di ricongiungersi a Jordan, nel frattempo nominato capo di stato maggiore, carica che lascerà nel 1870, quando Henry entra a far parte dello squadrone di cavalleria della Brigada Norte de Camaguey e diventa capo degli esploratori.
El Inglesito
È l’inizio, per lui, di una serie impressionante di battaglie. A quella di Tana, che gli costerà la seconda ferita, seguono, in meno di due anni, Hato Potrero (altra ferita), La Entrada, El Mulato, El Plátano, La Redonda, San Ramón de Pacheco, San Tadeo, La Matilde, Sitio Potrero (quarta ferita)… Colpito all’addome durante gli scontri di El Carmen rischierà di morire e sarà a costretto a una lunga convalescenza. La fama dell’Inglesito, questo il soprannome che i mambisa, i ribelli, gli hanno dato, cresce con il numero dei combattimenti. Il 27 luglio 1873, il generale Màximo Gòmez lo nomina capo della prima divisione di cavalleria. Il 28 di settembre, nel tentativo di neutralizzare un cannone spagnolo, una fucilata raggiunge Reeve a una gamba, ma non lo ferma. I nemici sono costretti alla fuga. Tanto coraggio gli costerà l’amputazione dell’arto, che sostituirà con una protesi.
Promosso comandante di Brigata, deve rimanere lontano dalla guerra per circa un anno. Il 4 luglio 1874, a San Antonio de Camujiro, due proiettili lo centrano al petto e a una mano. La figura dell’Inglesito entrerà nella leggenda il 4 agosto 1876, a Yaguaramas. Le forze avversarie schiacciano quelle dei mambisa, Henry ordina di ritirarsi. Nella manovra di copertura, due raffiche al petto e all’inguine lo disarcionano. Dopo aver rifiutato il cavallo del suo aiutante, rimane sul campo, machete e revolver in pugno. L’ultima munizione è per lui, El Inglesito si spara alla testa.
Internazionalismo
Sette dei suoi ventisei anni li ha dedicati alla libertà di Cuba, che pagherà un immenso tributo di sangue: trecentomila morti tra militari e civili. Non ha una tomba, Henry Reeve. In suo ricordo e in suo onore, Fidel ha voluto far costruire un monumento tra Yaguaramas e Horquitas, chiamando non a caso il luogo« El Cayo del Inglés». Poco lontano, su un grande manifesto lungo la strada, il ritratto di Henry e la scritta «Esempio di solidarietà e internazionalismo». Con buona pace di George W. Bush. E adesso di Donald J. Trump.