Tania Diaz: “Un conflitto contro il Venezuela destabilizzerebbe tutto il continente”
di Geraldina Colotti e Veronica Diaz
La guerra ibrida conto il Venezuela e, su più larga scala, contro il socialismo, prevede l’impiego dei media come sicari che preparano il terreno alle aggressioni. In presenza di grandi concentrazioni editoriali i cui terminali coincidono con quelli del potere economico, l’informazione si è da tempo trasformata in una merce, e il giornalista sta molto attento a non scontentare il padrone.
Costruire poli alternativi, tanto professionali e verificabili, quanto indipendenti, diventa quindi un compito fondamentale. La lotta contro il latifondo mediatico è oggi più che mai un asse intrinseco a quella contro le grandi concentrazioni economiche, da coniugare con l’organizzazione del potere popolare.
Come il marxismo insegna, non è la comunicazione che produce la lotta, ma anche la lotta più preziosa ha bisogno di essere comunicata, per diffondersi e acquisire forza, come una valanga di neve che travolga e spazzi via questo devastante sistema di sfruttamento.
Comunicare, in tempo di coronavirus, significa diffondere e moltiplicare l’esempio di quei paesi che, come il Venezuela, sulla scia di Cuba sta prefigurando un nuovo cammino, basato sulla ricerca del bene comune e non sullo sfruttamento selvaggio di classe, di genere, e dell’ambiente.
Un’indicazione emersa con forza dai Congressi Mondiali che, sulla scia del Foro di Sao Paolo, si sono svolti a Caracas, convocando tutti i settori suscettibili di unirsi intorno a una nuova visione del mondo, articolata e multicentrica, ma basata sugli stessi ideali. Uno di questi ha avuto appunto come tema la Comunicazione ed è stato organizzato dalla Vicepresidenza di Agitazione e Propaganda del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), diretta da Tania Diaz.
Durante quel congresso campeggiava a caratteri cubitali la sigla BRICS-PSUV, che sta per Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale, sempre dirette dalla vicepresidente dell’Assemblea Nazionale Costituente e coordinate da Beverly Serrano.
Una struttura che, da oltre due anni, riunisce giornalisti e operatori della comunicazione popolare dai quattro angoli del pianeta, molti dei quali hanno dato il loro apporto alla nascita dell’Università internazionale della comunicazione, sempre presieduta da Tania Diaz.
Da alcuni mesi, da un’idea di Beverly e di Antonio Páez è nato il programma En línea con @Bricspsuv, che trasmette il lunedì e il venerdì, sfidando gli ostacoli delle connessioni a distanza. Il 18 maggio è andato in onda Bitácora de la emergencia global n. 18. Insieme a Tania Diaz, hanno partecipato l’economista messicana Ana Esther Ceceña, ricercatrice dell’Osservatorio Latinoamericano di geopolitica e Oscar Laborde, presidente del Parlamento del Mercosur (Parlasur).
Al centro, il nuovo contesto mondiale determinato dal diffondersi della pandemia da coronavirus, che mette a confronto due modelli. Dall’Argentina, Laborde ha messo in luce come i popoli abbiano fatto esperienza dei danni che ha apportato il neoliberismo alla loro condizione dopo un cambio di governo come quello che ha guidato Macri in Argentina. Partendo dalla propria esperienza concreta, tornano, quindi, a votare governi progressisti.
Il punto di osservazione, ha detto Laborde, deve perciò spostarsi sempre di più verso la resistenza dei popoli e la controffensiva che sono in grado di mettere in campo contro le politiche neoliberiste a livello mondiale. Tuttavia, ha avvertito, occorre considerare che il post-pandemia può provocare un aumento del controllo e fornire pretesto per una maggiore presenza militare a quei governi che non riescono più a imporre il proprio modello attraverso il consenso.
Un tema che Ceceña ha ripreso rapportandolo alla situazione messicana. Nonostante i passi avanti compiuti dal governo di Manuel Lopez Obrador, e nonostante questi non abbia intaccato gli interessi degli industriali, “ha dovuto cedere sul piano della sicurezza all’esercito, che è fedele agli Stati Uniti, poiché ha sempre lavorato con loro. Non è perché arriva un nuovo presidente e chiede all’esercito di cambiare, che cambiano immediatamente gli equilibri”.
In Messico – ha spiegato la ricercatrice – l’85% del commercio avviene con gli Stati Uniti, e tutti gli impianti produttivi sono di marca straniera. Questo – ha detto – costituisce una vera e propria bomba a tempo perché, qualora gli USA decidessero di metter fine al governo progressista, magari con un golpe suave, basterebbe chiudere quegli impianti mettendo in tremenda difficoltà un paese come il Messico, nonostante possegga grandi ricchezze.
Sollecitati dalle domande di Tania Diaz, gli ospiti hanno discusso sullo scontro di egemonia in atto tra gli Usa e le altre forze che, come la Cina, si muovono diversamente di fronte alla pandemia. Entrambi hanno convenuto che l’atteggiamento degli USA sta spingendo il continente latinoamericano “nelle mani della Cina, che usa una strategia non egemonica e non aggressiva”.
L’indolenza del presidente degli Stati Uniti di fronte al coronavirus – ha affermato Ceneña – sta pesando su gran parte del popolo nordamericano, uno dei più colpiti dalla pandemia. Il coronavirus – ha detto ancora la ricercatrice – sta facendo emergere un nuovo sistema di relazioni solidali che produrrà importanti cambiamenti.
La vicepresidente dell’ANC ha per parte sua messo l’accento sulla situazione di accerchiamento e di persecuzione a cui viene sottoposto il Venezuela. Ha ricordato il recente attacco mercenario, respinto dall’unione civico-militare, il ruolo della Colombia e quello dei media nell’occultare la verità del Venezuela. Ha anche messo in guardia la comunità internazionale, i movimenti di solidarietà e la comunicazione alternativa circa le nuove minacce di Trump contro le navi iraniane che portano combustibile al Venezuela.
Un conflitto armato in territorio venezuelano – ha avvertito Tania – avrebbe gravi ripercussioni in tutti i paesi del continente. “L’appello che facciamo dalle Brics, è quello di stare all’erta, di considerare che la situazione del Venezuela, riguarda tutta la regione latinoamericana. Per questo, come diceva Chavez: rodilla en tierra, fusil al hombro. Ginocchio a terra, in posizione di tiro.