di Geraldina Colotti
Isabel Brilhante Pedrosa, ambasciatrice dell’Unione Europea a Caracas, ha 72 ore per lasciare il Venezuela. Lo ha annunciato il presidente Nicolas Maduro durante la consegna del premio nazionale di giornalismo Simon Bolivar. Una decisione seguita a quella del Consiglio europeo che ha aggiunto altri 11 funzionari venezuelani all’elenco delle persone soggette a misure restrittive “per il loro ruolo in atti e decisioni che minano la democrazia e lo stato di diritto in Venezuela”.
Questa volta sono stati sanzionati personaggi dell’opposizione moderata. Tra questi, Luis Parra, attuale presidente dell’Assemblea nazionale (An), e i due vicepresidenti, Franklyn Leonardo Duarte e José Noriega, anche loro di opposizione. Parra è stato eletto alla scadenza del mandato di Juan Guaidó, il deputato di Voluntad Popular che si era autoproclamato “presidente a interim” forte di quel ruolo e, soprattutto, dell’appoggio di Donald Trump.
Per la UE, i deputati sono responsabili di aver consentito un funzionamento antidemocratico del Parlamento e di aver facilitato l’estromissione di Guaidó, il quale aveva intenzione di farsi eleggere contro le regole stabilite dal suo stesso campo. Sapendo di non avere i numeri, e soprattutto insofferente anche di quella parvenza di dialettica democratica, essendo l’Assemblea Nazionale “in stato di oltraggio” per decisione del Tribunal Supremo de Justicia, Guaidó aveva inscenato un altro capitolo del suo teatro. Insieme al suo manipolo di golpisti inveterati, aveva deciso di autoproclamare anche un mini parlamento virtuale, trasferito nel salone del suo condominio, ma sempre con la benedizione di Trump e dei suoi vassalli. E come vassalla di Trump si sta comportando anche questa volta la UE, decidendo di assumere in toto il punto di vista dell’autoproclamato, e ignorando le decisioni della maggioranza dell’opposizione che, a seguito di diversi colloqui con il governo, ha deciso di accettare le regole costituzionali, e di impegnarsi per lo svolgimento delle prossime elezioni parlamentari, da tenersi entro l’anno.
In virtù di questi colloqui, il chavismo era tornato a partecipare alle sedute del Parlamento, dove, tra l’altro, è stata votata l’apertura di una commissione d’inchiesta per stabilire dove siano finiti i finanziamenti di Trump e le “donazioni” raccolte in occasione del mega concerto milionario realizzato alla frontiera con la Colombia durante il tentativo in invasione armata del Venezuela, mascherato da aiuto umanitario.
Come già avevano fatto sia il ministro della Comunicazione, Jorge Rodriguez che quello degli Esteri Jorge Arreaza, Maduro ha ricordato come, nonostante la guerra mediatica che sempre minimizza o scredita le denunce del governo bolivariano, qualcosa, dopo qualche tempo, sempre filtra. E così, dal New York Times, al più reazionario Wall Street Journal, emergono di volta in volta i piani golpisti e i personaggi coinvolti, dentro e fuori dal Venezuela. In questo caso, il Wall Street Journal ha rivelato che il capo di Voluntad Popular, Leopoldo López, avrebbe coordinato l’Operacion Gedeon, il tentativo di invasione via mare del Venezuela con previsto rapimento di Maduro fallito nelle scorse settimane. Il piano, che ha visto la partecipazione di mercenari e narcotrafficanti, secondo le rivelazioni del giornale statunitense, è stato discusso nella sede diplomatica del governo spagnolo. In questo modo, com’è già accaduto altre volte, la stampa USA conferma le versioni dei vari fatti forniti pubblicamente dal governo bolivariano con dovizia di prove e, spesso, confessioni dirette.
“Chi sono per imporsi con le minacce? – ha detto Maduro rivolto all’Unione Europea e al suo “neocolonialismo che non rispetta le decisioni di uno stato sovrano”. E ha aggiunto: “Adesso basta con le ingerenze! Basta! Ho deciso di dare 72 ore all’ambasciatrice della UE perché se ne vada dal paese. Se necessario le presteremo un aereo, purché se ne vada”.