Tutti i medici ed infermieri della Brigata Henry Reeve che hanno terminato la loro missione a Torino, Italia, sono negativi al COVID-19
Enrique Ubieta Gomez www.granma.cu
Dalla finestra della camera da letto si può vedere il piccolo abbozzo di bosco in cui termina l’Hostal. Siamo alle pendici della montagna, 500 metri sul livello del mare. Sono alberi tipici, che la nostra ignoranza tropicale confonde e chiama pini. E, naturalmente, su loro e nei dintorni, scorrazzano, direi quasi si esibiscono, gli scoiattoli, con le loro code elettriche.
Ma dentro, come ospiti esclusivi, questa volta, ci sono 38 cubani. Sono i dottori e gli infermieri della Brigata Henry Reeve, che ha completato la sua missione nella città di Torino e si è isolata, nei giorni precedenti il suo ritorno in Patria, in un ambiente epidemiologico pulito. Non indossano i loro camici bianchi né l’uniforme dell’ospedale; senza lasciare la mascherina, i bermuda ed i sandali rivelano che si vive un altro momento.
Prima, ciascuno dei suoi membri si è sottoposto al PCR, per escludere ogni possibile contagio. Uomini induriti si sono lasciati scappare qualche lacrima -estranea a qualsiasi tipo di emozione- davanti all’avanzata dell’indagatore isotopo nelle fosse nasali. Per due giorni i risultati non sono arrivati, impossibilitati ad andare a raccoglierli, occupati in altri compiti coloro che dovevano portarli. E sebbene scherzassimo, e nessun volto lasciava intravedere preoccupazione, e non c’erano sintomi inquietanti in nessuno dei membri della Brigata, la tensione fluttuava come nebbia all’alba. Fino al sorgere del sole.
Il venerdì, presto, è arrivata la notizia: tutti le analisi sono tornate negative. Inoltre, il risultato di tutti i medici, infermieri, assistenti infermieristici e volontari che hanno lavorato con la Brigata cubana presso l’Ospedale covid OGR erano negativi. Affinché il lettore capisca l’importanza del fatto, è necessario ricordare che l’11% di tutti i malati covid in Italia erano operatori sanitari e che anche molti dei defunti appartenevano al settore. E va notato che la disciplina imposta all’entrata ed all’uscita della zona rossa dai nostri epidemiologi Adrián e René, all’inizio non è stata ben compresa dai colleghi italiani. Ci sono state situazioni tese, quando qualche italiano impetuoso ha ritirato il braccio, davanti al gesto protettore di uno dei nostri epidemiologi, ed ha cercato di passare senza la dovuta protezione. L’infermiera Julia, 24 anni, lo ricordava, pochi mesi dopo, in questo modo: «Alcuni giorni fa abbiamo parlato sul momento in cui ci vestiamo e svestiamo per entrare o uscire dalla zona rossa; all’inizio eravamo arrabbiati con i cubani, dicevamo “ora arriva questo a dirmi cosa fare e come devo farlo”, ma in seguito abbiamo capito che era necessario ed ora, quando usciamo lo cerchiamo, in modo che ci vegili e ci aiuti, perché in questo modo ci sentiamo più sicuri».
L’ansia ci rode in questi giorni che precedono il ritorno, anche se il posto in cui ci troviamo è una oasi di pace. Il rasoio elettrico del Dr. Karel Pena Peña non ha avuto riposo, né lui, come barbiere improvvisato. Ma Liván Álvarez Folgado, l’infermiere intensivista di Minas de Matahambre, a Pinar del Río, è l’uomo più richiesto. Lo stesso cuce scarpe rotte, restaura una valigia o ne inventa un’altra, di puro cartone. È un mago generoso, che tutti cercano e si prende cura di tutti. Lavora con tale precisione e destrezza che è un piacere vederlo. Era da tre mesi a Cuba, dopo un lungo soggiorno di due anni in Guatemala, quando gli è stato chiesto di andare con la brigata in Italia. Aveva alle spalle, inoltre, l’esperienza dell’Ebola in Sierra Leone, e prima ancora, un’altra lunga in Venezuela. Sua moglie Yamilet Ferrer, anch’essa un’infermiera, sondaggista comunale, deve averlo sentito. Sono sposati da 16 anni ed hanno due figlie: una ha 15 anni e l’altra 13 anni. La maggiore vuole studiare medicina.
Ma le lavoratrici dell’Hostal, quattro donne, sono gentili e gradevoli. Soprattutto Elisa, il cui suocero è deceduto di covid. È entrato in ospedale coi suoi piedi e non ne è uscito, dice. E’ rimasta sorpresa nell’apprendere che dei 177 pazienti curati nel nostro ospedale, solo uno è morto. Viene dal sud Italia ed ha lasciato la sua casa, con il fidanzato, a 20 anni. Si è preparata come responsabile di ristorante e cuoca, ma ha fatto di tutto, e la verità è che, dopo tanto cibo d’ospedale, senza condimenti, abbiamo mangiato bene in questi giorni. “È un piacere, è un onore che voi siate qui”, ripete. Il giorno del 46° compleanno dell’infermiere Lester Cabrera Chávez, lei ha preparato, di notte, cibo italiano in suo onore.
Rimane poco, è già possibile contare il tempo in ore, ma l’inattività, a cui non siamo abituati, lo fa passare più lentamente. Questi ragazzi hanno fatto un’impresa. Hanno realizzato. L’unico pensiero che attraversa, ora, le loro menti è legato al ritorno in Patria e al seno delle loro case. Non informerò sul ritorno. Viaggio con gli eroi di questa storia. Ho avuto il privilegio di accompagnarli, di osservarli da vicino. Sono, per la prima volta nella mia vita, il più vecchio di un gruppo di cubani; ma verificare, nei fatti, che le nuove generazioni sono idonee a proseguire ed essere protagonisti del futuro della Rivoluzione cubana, è un incentivo. Non c’è pandemia nell’anima di Cuba, che brilla limpida nei loro occhi. Perciò sempre vinceremo.
Héroes en cuarentena
Todos los médicos y enfermeros de la Brigada Henry Reeve, que finalizaron su misión en la ciudad de Turín, Italia, dieron negativo a la COVID-19
Enrique Ubieta Gómez
Desde la ventana del cuarto puede verse el pequeño amago de bosque en el que finaliza el Hostal. Estamos en las faldas de la montaña, a 500 metros sobre el nivel del mar. Son árboles típicos, que nuestra ignorancia tropical confunde y llama pinos. Y claro, en ellos, y en los alrededores, correteando, casi diría que exhibiéndose, las ardillas, con sus colas eléctricas. Pero dentro, como huéspedes exclusivos esta vez, hay 38 cubanos. Son los médicos y enfermeros de la Brigada Henry Reeve, que ha finalizado su misión en la ciudad de Turín y se ha aislado, en los días previos a su regreso a la Patria, en un entorno epidemiológico limpio. No visten sus batas blancas, ni el uniforme hospitalario; sin abandonar el nasobuco, las bermudas y las sandalias revelan que se vive otro momento.
Antes, cada uno de sus integrantes se sometió al PCR, para descartar cualquier posible contagio. Hombres curtidos dejaron escapar alguna lágrima –ajena a cualquier tipo de emoción–, ante el avance del indagador isopo en las fosas nasales. Durante dos días no llegaron los resultados, imposibilitados nosotros de ir a recogerlos, ocupados en otros menesteres quienes debían traerlos. Y aunque bromeábamos, y ningún rostro dejaba entrever preocupación, y no existían síntomas inquietantes en alguno de los integrantes de la Brigada, la tensión flotaba como la niebla en el amanecer. Hasta que el sol salió.
El viernes, temprano, llegó la noticia: todos los análisis dieron negativo. Más aún, el resultado de todos los médicos, enfermeros, auxiliares de enfermería y voluntarios que trabajaron junto a la Brigada cubana en el Hospital covid ogr, fue negativo. Para que el lector comprenda la trascendencia del hecho, hay que recordar que el 11 % de todos los enfermos de la covid en Italia fueron trabajadores de la Salud, y muchos de los fallecidos también pertenecen al sector. Y hay que anotar que la disciplina impuesta a la entrada y a la salida de la zona roja por nuestros epidemiólogos Adrián y René, no fue bien comprendida al inicio por los colegas italianos. Hubo situaciones tensas, cuando algún italiano impetuoso retiró su brazo, ante el gesto protector de uno de nuestros epidemiólogos, e intentó pasar sin la debida protección. La enfermera Julia, de 24 años, lo recordaba unos meses después así: «Hace unos días conversábamos sobre el momento en que nos vestimos y nos desvestimos para entrar o salir de la zona roja; al inicio estábamos molestas con el cubano, decíamos “ahora viene este a decirme lo que tengo que hacer, y cómo tengo que hacerlo”, pero después comprendimos que era necesario y ahora, cuando vamos a salir lo buscamos, para que nos vigile y nos ayude, porque así nos sentimos más seguras».
La ansiedad nos carcome en estos días previos al regreso, a pesar de que el lugar en que nos encontramos es un remanso de paz. La máquina de pelar eléctrica del doctor Karel Pena Peña no ha tenido descanso, ni él, como improvisado barbero. Pero Liván Álvarez Folgado, el enfermero intensivista de Minas de Matahambre, en Pinar del Río, es el hombre más solicitado. Lo mismo cose unos zapatos hambrientos, que restaura una maleta o inventa otra, de puros cartones. Es un mago generoso, que todos buscan y a todos atiende. Trabaja con tal precisión y destreza, que da gusto verlo. Llevaba tres meses en Cuba, después de una larga estadía de dos años en Guatemala, cuando fue solicitado para viajar con la brigada a Italia. Tenía a sus espaldas, además, la experiencia del ébola en Sierra Leona, y antes, otra larga en Venezuela. Su esposa Yamilet Ferrer, también enfermera, encuestadora municipal, tiene que haberlo sentido. Llevan 16 años de casados, y tienen dos hijas: una de 15 y otra de 13. La mayor quiere estudiar Medicina.
Pero las trabajadoras del Hostal, cuatro mujeres, son amables y displicentes. En especial Elisa, cuyo suegro falleció de la covid. Entró por sus pies al hospital y ya no salió, cuenta. Se sorprendió al saber que de los 177 pacientes que se atendieron en el nuestro, solo uno falleció. Es del Sur de Italia, y se fue de su casa con el novio a los 20 años. Se preparó como directora (capitana) de restaurante y cocinera, pero ha hecho de todo, y la verdad es que, al fin, después de tanta comida de hospital, sin condimentos, hemos comido bien en estos días. «Es un placer, es un honor que ustedes estén aquí», repite. El día del cumpleaños 46 del enfermero Léster Cabrera Chávez, ella preparó en la noche comida italiana en su honor.
Queda poco, ya es posible contar el tiempo en horas, pero la inactividad, a la que no estamos acostumbrados, lo hace transcurrir más lento. Estos muchachos han hecho una proeza. Cumplieron. El único pensamiento que cruza ahora por sus mentes está relacionado con el regreso a la Patria y al seno de sus hogares. No reportaré el regreso. Viajo con los héroes de esta historia. He tenido el privilegio de acompañarlos, de observarlos de cerca. Soy, por primera vez en mi vida, el más viejo de un colectivo de cubanos; pero comprobar en los hechos que las nuevas generaciones están aptas para proseguir y protagonizar el futuro de la Revolución Cubana, es un aliciente. No hay pandemia en el alma de Cuba, que brilla limpia en los ojos de ellos. Por eso, siempre venceremos.