Il botta e risposta Maduro-Abrams

di Geraldina Colotti*

“Elliott Abrams… che stai in quarantena chiuso in casa. Il mio saluto a Elliott… Il tuo messaggio è arrivato, sono d’accordo, proseguiamo…”, ha dichiarato Maduro durante il “mercoledì produttivo”. Al contempo, ha confermato che l’arrivo a Caracas di una delegazione norvegese, accolta dal ministro della Comunicazione. “Jorge Rodríguez – ha detto il presidente – sta già riunendosi con i norvegesi, li ha ricevuti e ora sta coordinando quel che è rimasto in sospeso, già conoscete il nostro impegno con il dialogo, la democrazia e la libertà”.

Il 24 luglio, il norvegese Dag Halvor aveva annunciato che una delegazione di diplomatici scandinavi si trovava a Caracas per un “aggiornamento sulla situazione sanitaria e politica”, e subito le varie fazioni della destra golpista erano entrate in agitazione.

Nel 2019, in Norvegia si era svolto il dialogo politico tra l’Esecutivo bolivariano e i settori che rispondono agli interessi nordamericani. Ed era stata proprio una telefonata dell’amministrazione USA a impedire la firma di un accordo, praticamente già pronto.

Allora, l’autoproclamato “presidente a interim” Juan Guaidó aveva annunciato il proprio sostegno alle misure coercitive unilaterali emesse nuovamente dal governo statunitense contro funzionari e istituzioni del Venezuela. Anche ora, Guaidó ha affermato che i suoi incontri con i norvegesi serviranno solo per ribadire le proprie condizioni, e ha ripetuto il ritornello sulla “fine dell’usurpazione” e sul “governo di transizione”.

Lunedì era arrivato un comunicato firmato dalla componente più filo-atlantista dell’estrema destra venezuelana, capitanata da Maria Corina Machado e Antonio Ledezma. Un comunicato in sei punti: per respingere l’inizio di eventuali tornate di dialogo sotto l’egida norvegese, considerato “un capitolo chiuso”; per ribadire che “l’unica via per il Venezuela è la fine dell’usurpazione, e che “è impossibile partecipare a processi promossi, organizzati e controllati da mafie criminali”.

Una bella faccia tosta, dato il pedigree e le frequentazioni di questa banda di lestofanti che da anni sta ricattando e taglieggiando il paese con i propri metodi criminali. Come sanno tutte le persone senzienti, che guardano ai fatti e che non si lasciano obnubilare dal fanatismo, i loro referenti principali non si trovano in Venezuela, ma nelle stanze economico-finanziarie delle grandi multinazionali.

Questi personaggi e le loro grandi famiglie, convinte che le risorse del paese gli appartengano di diritto e che i loro privilegi siano intoccabili, guardano perennemente al nord: più specificamente a Miami e alla Florida, uno dei centri nevralgici più potenti e attivi nell’organizzare la sovversione contro Cuba e contro il Venezuela.

Per bocca del suo ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, il governo bolivariano ha recentemente auspicato che la prossima amministrazione nordamericana che uscirà dalle urne non si lasci ricattare dalle mafie di Miami e dalla Florida, che ha sempre avuto tanta parte nel determinare la politica estera Usa nell’America latina e nei Caraibi.

E in questo contesto va inteso anche il botta e risposta a distanza tra Maduro e Abrams. Rispondendo alle affermazioni del presidente venezuelano, quest’ultimo si è affannato a negare di aver inviato un messaggio “al dittatore”. Al giornalista Alex Vasquez, di Bloomberg, Abrams ha detto che gli Stati Uniti non hanno inviato alcun messaggio a Maduro “al di fuori della nostra dichiarazione pubblica riguardo il fatto che il recupero del Venezuela comincerà il giorno in cui se ne andrà e che siamo disposti a discutere i dettagli della sua partenza”.

Per Abrams non ci potrà essere dialogo finché il governo bolivariano insiste nel convocare le elezioni parlamentari e non si impegna per “un governo di transizione”. Fino ad allora, ha ribadito Abrams, gli USA continueranno “con la strategia di pressione, sia attraverso sanzioni che mediante attività diplomatiche”, perché l’obiettivo generale “è quello di impedire che il regime abbia entrate e continuare a premere sulle forme in cui opera, particolarmente nel settore petrolifero e nel settore aurifero”.

A comprova, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato nuove “sanzioni” nei confronti di due responsabili governativi venezuelani, l’ex ministro dell’Energia elettrica, Luis Motta Dominguez, e l’ex viceministro delle Finanze, Eustiquio Lugo Gomez per una presunta malversazione di fondi della compagnia elettrica statale Corpolec. Per l’occasione, Pompeo ha ribadito il sostegno al ladrone Guaidó, definendolo addirittura un paladino della “lotta contro la corruzione e per la restaurazione pacifica della democrazia e della stabilità economica”.

Tuttavia, Abrams ha anche dichiarato di aver mantenuto conversazioni con la delegazione norvegese attualmente a Caracas, che ha compiuto, ha detto, “un viaggio difficile a causa della pandemia e che speriamo possa condurre a buon fine un negoziato nei prossimi mesi o il prossimo anno”.

Un doppio messaggio da situare nel contesto pre-elettorale degli Stati Uniti. Un paese in cui il coronavirus ha già provocato oltre 150.000 morti, e dove la comunità di origine latina risulta quella più a rischio, sia dal punto di vista del contagio che per la perdita di diritti basici: in primo luogo quello al lavoro a fronte degli oltre 30 milioni di disoccupati e dell’intenzione di Trump di cancellare le agevolazioni di Obama destinate a una maggiore equità nell’assegnazione di case ai migranti.

Il voto della comunità latina è al centro del dibattito elettorale fra il tycoon della Casa Bianca e il suo antagonista democratico, Joe Biden. Questa volta, sono 32 milioni i latinos che avranno diritto al voto, 5 milioni in più rispetto al 2016. Per la prima volta, essi rappresentano la minoranza più grande, pari al 13,3% degli aventi diritto, a fronte dell’11,9% del 2016.

Circa il 62% dei latinos propende per il Partito Democratico, mentre il 34% per quello Repubblicano. Tuttavia, i consulenti hanno avvertito i Democratici di non sottovalutare gli indecisi, e per questo Biden sta facendo annunci in spagnolo, soprattutto in Florida e in Arizona, due stati considerati chiave per il risultato del 3 novembre, dove il voto latino potrebbe far pendere la bilancia per l’uno o l’altro schieramento.

Dagli USA all’Europa, il Venezuela è usato a pretesto per questioni di politica interna. Basta ascoltare i servizi della CNN per accorgersi della grossolana parzialità nel trattare le notizie relative al coronavirus, altrettanto distorte di quelle che compaiono in Europa: solo servizi allarmistici, ma neanche un dato che consenta di inquadrare le cifre del Venezuela rispetto al contesto latinoamericano e a quello internazionale. “Occorre – ha detto Maduro – una grande campagna informativa per diffondere la verità del Venezuela”.

(*Articolo scritto per il Cuatro F)

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