Rainer Shea – http://aurorasito.altervista.org
Nelle terre i cui nomi originali furono profanati dagli invasori europei, e che ora sono chiamati “America Latina”, le forze dell’impero si avvicinano alla resa dei conti con le forze della resistenza indigena e proletaria.
Dopo secoli di genocidio e assimilazione culturale forzata, decenni di colpi di Stato e di repressione da parte degli imperialisti di Washington, e anni di escalation nella guerra economica statunitense e minacce ai Paesi antimperialisti della regione, i fattori si allineano per un tremendo confronto tra oppressi ed oppressori. In attesa di colpire ci sono le forze militari di Colombia, Brasile e governi dell’America centrale sostenuti dagli USA.
Per evitare di dover sacrificare troppe risorse, gli USA pianificano che i loro alleati regionali guidino l’attacco al governo socialista del Venezuela, e poi l’esercito USA occuperebbe il Paese come fece coll’invasione dell’Iraq. Dal fallito tentativo di colpo di Stato in Venezuela dello scorso anno, gli imperialisti di Washington si univano a tele nuovo e peggiore attacco, portando avanti preparativi bellici in Venezuela accrescendo la presenza delle loro forze nella regione. Per garantirsi la vittoria nelle elezioni di novembre, Trump potrebbe lanciare l’invasione ad ottobre, poiché ciò infiammerebbe il patriottismo della sua base.
Che questo accada in ottobre o dopo, è certo che in ottobre la Bolivia dovrà fare i conti coll’imperialismo. Dal colpo di Stato degli Stati Uniti dello scorso anno in Bolivia, il movimento indigeno del Paese ricorreva a lotta armata e disobbedienza civile per fare pressione sul nuovo governo fascista affinché tenga nuove elezioni. Queste elezioni si terranno il 18 ottobre. Ma se fascisti e sostenitori di Washington avranno successo, allora sarà tardi per spodestare elettoralmente il regime golpista. Con la complicità della polizia boliviana, i boliviani pro-regime commisero altre violenze, cercando di intimidire il partito socialista. In ottobre gli imperialisti potrebbero inscenare un nuovo colpo di Stato o tentare di manipolare le elezioni. Se sarà così, l’unica via del popolo alla libertà sarà una lunga e dura battaglia col governo, dove sarà versato ancora più sangue.
Washington mira a creare la stessa situazione in Nicaragua, Messico e Cuba, altri tre Paesi della regione troppo disobbedienti affinché l’impero li lasci in pace. Il governo degli Stati Uniti ha formulato un piano per rimuovere in modo antidemocratico il governo socialista sandinista del Nicaragua e sostituirlo con un regime neoliberista. Washington aiuta le élite politiche e imprenditoriali messicane a rimuovere il Presidente López Obrador, che sfida il dominio neoliberista sul Paese. In quello che fu considerato un genocidio, gli Stati Uniti inasprivano le sanzioni contro Cuba durante la pandemia, solo per mantenere la promessa di Trump che i giorni del socialismo a Cuba erano contati. Nelle parti della regione controllate dagli imperialisti, sempre più persone soffrono. L’austerità che il FMI impone all’Ecuador nell’ultimo anno porta a un numero impressionante di morti per Covid-19, ospedali sopraffatti e profonda depressione economica. Il regime golpista della Bolivia ha privato i poveri del cibo durante la pandemia, lasciando che si verificasse una delle peggiori ondate di Covid-19. Il neoliberismo ha fatto diventare Cile, Perù, Panama e Repubblica Dominicana Paesi in cui il numero di persone con Covid-19 ha (a volte drasticamente) superato i 2000 casi per milione di residenti. Il Brasile, con la sua rete di sicurezza sociale appena abbattuta, aveva 126000 morti per Covid-19 nella piena crisi economica sempre più profonda. Per garantirsi il controllo in queste crisi, i capi di destra dell’America Latina si rivolgono al fascismo. E Bolsonaro, il presidente che gli USA installarono in Brasile due anni fa, guida la carica. Approfitta della pandemia per introdurre la sorveglianza digitale intensiva. Mobilita i suoi sostenitori per intimidire gli oppositori con minacce di violenza, coll’obiettivo di erodere le istituzioni che controllano il suo potere. Il suo obiettivo è chiudere il parlamento, il che renderebbe le cose più vicine che mai alla passata dittatura militare brasiliana che glorifica.
Altri capi latinoamericani pro-statunitensi abbandonano sempre di più le regole della democrazia emerse dall’era delle dittature del XX secolo nella regione. La qualità della democrazia nella regione, che si deteriorava da ben prima del 2020, fu aggravata dalla pandemia. I militari della regione intervengono per gestire o addirittura supervisionare le risposte alla crisi. E l’America Latina ha già visto dove conducono sviluppi come questo: un paradigma in cui la brutalità dei regimi militari appoggiati dagli Stati Uniti reprime il dissenso mentre sferra attacchi neoliberisti alle classi inferiori. La decisione di Bolsonaro di mettere più militari ai vertici di quanto non fece mai la dittatura brasiliana mostra fino a che punto è già tale la tendenza.
Questo sforzo per militarizzare l’America Latina non riguarda solo la preparazione alla guerra al Venezuela e controllare i popoli. Si tratta di mettere la regione sullo stesso piano delle guerra con le superpotenze rivali a cui Washington è entrata. Questo febbraio, gli Stati Uniti inviavano truppe in Argentina mentre persuadevano il governo ad impegnarsi in esercitazioni militari. Poi, a marzo, il Comando meridionale degli Stati Uniti rafforzava la presenza nella regione coll’obiettivo esplicito di far avanzare la competizione tra grandi potenze con Russia e Cina. Queste misure, insieme agli sforzi per convincere Brasile, Colombia e altri regimi di destra ad impegnarsi nel rafforzamento militare contro il Venezuela, mirando a contrastare la crescente presenza militare che Russia, Cina e Iran ottengono nella regione. La speranza degli imperialisti di Washington è che se loro e i loro alleati entrano in guerra col Venezuela ben armati, questi tre Paesi non potranno impedirgli di compiere un’altra invasione ripulita come fecero in Iraq. Potranno distruggere i rimanenti bastioni del socialismo nell’emisfero e inaugurare una nuova generazione di dittature latinoamericane?
Con ogni rafforzamento militare, si avvicinano all’ondata di attacchi che porteranno a questa nuova era oscura. Ma hanno paura di fallire quando proveranno a farlo. E ciò che li spaventa di più è che i loro attacchi potrebbero finire per ritorcerglisi contro e ridimensionare il loro impero in declino, rendendolo più vulnerabile che mai. Se attaccano il Venezuela, saranno accolti da tre milioni di miliziani che i chavisti hanno costruito, infliggendo una sconfitta peggiore di quella che l’impero subì nella guerra del Vietnam. Se tentano di rubare le elezioni di ottobre in Bolivia o un altro colpo di Stato militare, dovranno combattere una nuova ondata di rivolte indigene, che potrebbero costringere il regime golpista a cedere. Cuba è una fortezza socialista che non sarà sottomessa, soprattutto con la Cina in ascesa e pronta a proteggerla. E la presa dei sandinisti è così forte che è improbabile che avvenga un cambio di regime in Nicaragua.
È questa paura della forza del movimento di liberazione di classe della regione che finora ha impedito agli imperialisti di attaccare il Venezuela. Aspettano il momento giusto per fare la loro grande mossa, sapendo che un errore strategico potrebbe finirgli in un disastro. Allo stesso tempo, le crisi che il capitalismo subisce nella regione l’avvicinano a una nuova ondata di disordini, potenzialmente peggiori degli enormi movimenti di protesta che hanno travolto l’America Latina l’anno scorso. In Bolivia, le proteste sono già passate alla lotta armata e il movimento proletario è riuscito a prendere il controllo di ampie parti del paese. È solo questione di tempo prima che lo stesso accade ad altre neo-colonie statunitensi. L’esito delle elezioni in Bolivia deciderà la prima parte di questa nuova ondata di scontri. Le prossime saranno le mosse che l’impero intende compiere in Venezuela e Nicaragua. Le prossime saranno le rivolte che sicuramente si verificheranno nell’America Latina neoliberale. Qualunque sia il risultato, è certo che entro il 2030 l’equilibrio di potere nella regione sarà notevolmente mutato a favore di una parte. Gli imperialisti sempre più comprendono che saranno i perdenti.
Traduzione di Alessandro Lattanzio