Ociel Alí López, Russia Today https://cubanoypunto.wordpress.com
Biden arriva in un momento cruciale per il Venezuela in materia economica e sanitaria poiché, come annunciato il 30 ottobre da Elliott Abrams, rappresentante del governo per gli affari venezuelani, la Casa Bianca sta cercando di stabilire un blocco effettivo alla fornitura di diesel, il combustibile utilizzato dal trasporto pubblico e privato per alimenti, medicine e persone.
È l’ultimo missile repubblicano contro il Venezuela.
Spetterà al governo Biden decidere se proseguire la politica di blocco dell’approvvigionamento interno di combustibile che, se si incorpora il diesel, farà aumentare ulteriormente la crisi nel paese.
Per decidere Biden dovrà ubicarsi in un continente che non è quello che ha lasciato quando è uscito dalla vicepresidenza.
Un altro continente attende
Quando Biden era vicepresidente, il suo governo si era avvicinato a Cuba e aveva evidenti rapporti con il Venezuela; inoltre, i governi progressisti di Brasile ed Argentina stavano cadendo. Nel 2020 le cose non sono più le stesse.
Primo, perché gli stessi USA stanno vivendo una crisi interna, inedita e profonda. Sia la pandemia che le richieste delle rivolte antirazziste rendono quel paese un luogo instabile. L’ossessione della nuova gestione, quindi, dovrà ubicarsi nella politica interna.
Poi perché l’America Latina è cambiata. Dovrà concentrare la sua politica dentro una nuova realtà. La Colombia non è più una “testa di ponte” stabile. Il Cile ha smesso di essere il modello economico di successo e vive una vera ribellione costituente.
I progressismi è tornato nella regione. Le presidenze di Argentina e Messico sono ottimi interlocutori, che possono tradurre alla nuova amministrazione le modalità per smantellare la situazione di conflittualità che stanno lasciando i falchi in America Latina.
Molto probabilmente Biden vorrà riprendere i rapporti con Cuba, promossi dall’amministrazione Obama, come atto di riconoscimento verso l’America Latina.
L’apparato di Biden, in modo programmato, va a stabilire un altro scenario su scala mondiale, molto più planetario ed impegnato in conflitti come quello del Medio Oriente, Ucraina, Taiwan, e molto meno disposto a proliferare conflitti violenti sul suo confine americano. Dovrà anche decidere come ripensare l’intervento nei paesi invasi dalla sua amministrazione con Obama, come Siria e Libia, e quella dei suoi predecessori repubblicani, come Iraq e Afghanistan. Tutti, teatri di una situazione di ritiro dall’esercito USA, per decisione del governo Trump.
Tornare a dispiegare o effettuare un ritiro finale? Lì è una delle principali questioni da determinare, prima ancora di guardare verso il suo “cortile”. Per sapere con certezza quale sarà la reale politica di Biden sul Venezuela, dovrà aspettare come svilupperà la sua visione verso Cina e Russia.
Per Trump, la politica di sanzioni verso il Venezuela non obbediva alla pressione delle proteste dell’opposizione o alla situazione del paese, ma all’intenzione di troncare, con pinze, le attività di Russia, Cina e Iran nei Caraibi. Ma Biden è probabile che stabilisca un’altra strategia meno pugnace (economicamente parlando) con questi paesi.
Il Venezuela può quindi tornare nuovamente ad essere minimizzata come problema, mentre arrivano molti altri problemi, altre richieste e altre lobby che Trump ha cercato di chiudere e che ora possano tendere ad attivarsi.
Quello che dovranno tenere in considerazione sia gli oppositori venezuelani come i nordamericani è che la foto di Biden con Maduro, che insaziabilmente hanno pubblicato gli algoritmi repubblicani nella campagna elettorale, ha già perso validità.
Se con quella foto sorridente Biden ha ottenuto un vantaggio elettorale, è perché una precedente relazione con Maduro non è così forte da trasformare un’elezione negli USA. La Florida ha perso importanza, dal momento che il trionfo di Trump in quello stato non ha significato il golpe definitivo che aspettavano i comandi della campagna elettorale. Le lobby cubane possono indebolirsi nel processo decisionale della Casa Bianca.
Può pesare anche la piccola svolta intorno al tema che l’Unione Europea ha osato dare, con Josep Borrell in testa, vista la possibilità di accompagnare il processo elettorale parlamentare che è stato boicottato da Washington. Benché, alla fine, l’azione sia abortita, solo proporla era un disconoscimento delle linee del dipartimento di Stato.
Biden ed il suo team hanno l’opportunità di progettare politiche post-Trump. Tutto questo, senza dimenticare il tipo violento di interventismo che tendono ad applicare i governi democratici in vari contenziosi mondiali.
Superando il portavoce bellico del Comando Sud, il discorso sul narcotraffico e le basi iraniane in Venezuela, tutte accuse senza alcuna prova e diffuse dai falchi, il nuovo governo inizierà a privilegiare la questione dei diritti umani, i rapporti dell’Alta Commissaria per Diritti umani dell’ONU, Michelle Bachelet, ed il rapporto presentato dalla missione internazionale indipendente di determinazione dei fatti sulla Repubblica Bolivariana del Venezuela e tenderà a delegare ad organismi internazionali l’applicazione di eventuali misure internazionali.
Per questo scenario, il governo venezuelano si è preparato, insistendo sul dialogo con le istituzioni internazionali e abbassando il volume del rifiuto automatico di questi rapporti, come è avvenuto, in un primo momento, con il documento della Bachelet, emesso nel settembre 2019.
Ora il linguaggio è molto più diplomatico con l’Alta Commissaria e accettano la sua interlocuzione.
Questi rapporti, inoltre, hanno il sostegno di governi progressisti, come quello dell’Argentina, che faranno pressioni non solo affinché gli USA abrognino le misure prese, ma anche affinché si abbia un cambio nella situazione interna del Venezuela, sia nel governo che opposizione.
Non smette di essere probabile che la nuova agenda sul Venezuela, basata sulle accuse sul tema dei diritti umani, finirà irritando ancora più la situazione.
In tutto questo panorama, chi non compare è Guaidó.
Guaidó, un pesante fardello
Juan Guaidó è un’invenzione dei falchi, a cui Trump ha dato via libera ed è terminato totalmente logorato. Perpetuare le entrate di un governo parallelo debole ed inefficace nominato dal precedente governo repubblicano non sembra aver molto senso. Sebbene Biden non possa abbandonare i venezuelani di Miami, a causa della natura strategica del loro voto nelle prossime elezioni di medio termine nel 2022.
È molto probabile che il governo di Biden e Kamala Harris si caratterizzi per il suo pragmatismo, soprattutto quando decide sui beni del Venezuela gestiti dall’ambasciata del governo provvisorio di Guaidó a Washington, in particolare la compagnia petrolifera statale Citgo, che è in disputata tra detentori di obbligazioni per cui il governo venezuelano è in debito (e per cui ha posto la compagnia petrolifera come garanzia di pagamento).
Guaidó è colui che è stato influenzato negativamente dalla sconfitta del partito repubblicano. Già senza capacità di negoziazione interna e quasi senza margini di manovra, il suo “governo” si avvicina sempre di più all’asilo. Ha perso il suo unico supporto.
Il risultato che Biden ha raggiunto consentirà alla sua nuova gestione ripensare i rapporti con l’America Latina, ed è molto probabile che il governo venezuelano ed USA potranno stabilire un altro tipo di interazione, mediata da questi nuovi fattori e portata su un percorso più diplomatico, seppur ugualmente convulso.
Per ora, resta da vedere se la nuova amministrazione continuerà i piani dell’attuale amministrazione per bloccare l’accesso al carburante, e ciò dovrà essere deciso non appena assumerà il controllo del governo. Staremo vigili.
¿Qué se puede esperar de Biden con respecto a Venezuela?
Por Ociel Alí López, publicado en Rusia Today
Biden llega en un momento crucial para Venezuela en materia económica y sanitaria debido a que, según lo anunció el 30 de octubre Elliott Abrams, representante del gobierno para asuntos sobre Venezuela, la Casa Blanca trata de establecer un bloqueo efectivo al suministro de diesel, el combustible que utiliza el transporte público y privado de alimentos, medicinas y personas.
Es el último misil republicano contra Venezuela.
Será el gobierno de Biden al que le corresponda decidir si continúa la política de bloquear el suministro interno de combustible que, de incorporar el diesel, disparará aún más la crisis en el país.
Para decidir, Biden deberá ubicarse en un continente que no es el que dejó cuando salió de la vicepresidencia.
Otro continente espera
Cuando Biden era vicepresidente, su gobierno se había acercado a Cuba y tenía evidentes relaciones con Venezuela; además, los gobiernos progresistas de Brasil y Argentina estaban cayendo. En 2020, las cosas no son iguales.
Primero porque el propio EE.UU. vive una crisis interna inédita y profunda. Tanto la pandemia como las demandas de las revueltas antirracistas hacen de ese país un lugar inestable. La obsesión de la nueva gestión, por ende, tendrá que ubicarse en la política interna.
Luego porque América Latina ha cambiado. Va a tener que enfocar su política dentro de una nueva realidad. Colombia ya no es una “cabeza de playa” estable. Chile ha bajado la persiana como modelo económico exitoso y vive una verdadera rebelión constituyente.
Los progresismos están de vuelta en la región. Las presidencias de Argentina y México son excelentes interlocutores, que pueden traducirle a la nueva gestión las vías para desmontar la situación de conflictividad que están dejando los halcones en América Latina.
Muy posiblemente Biden querrá retomar las relaciones con Cuba, que promovió la gestión de Obama, como un acto de reconocimiento hacia América Latina.
El aparato de Biden, de manera programada, viene a establecer otro escenario a escala mundial, mucho más planetario y comprometido con conflictos como el de Medio Oriente, Ucrania, Taiwán, y mucho menos dispuesto a proliferar pugnas violentas en su frontera americana. También deberá decidir cómo replantear la intervención en los países invadidos desde su gestión con Obama, como Siria y Libia, y la de sus antecesores republicanos, como Irak y Afganistán. Todos ellos, teatros en situación de repliegue del ejército de EE.UU. por decisión del gobierno de Trump.
¿Volver a desplegarse o hacer una retirada definitiva? He allí una de las principales cuestiones a determinar, antes incluso de mirar hacia su ‘patio trasero’. Para saber a ciencia cierta cuál será la política real de Biden sobre Venezuela habrá que esperar cómo desarrolla su mirada hacia China y Rusia.
Para Trump, la política de sanciones hacia Venezuela no obedecía a la presión de las protestas opositoras o a la situación del país, sino a la intención de cercenar, con pinzas, los negocios de Rusia, China e Irán en el Caribe. Pero Biden probablemente establezca otra estrategia menos pugnaz (económicamente hablando) con estos países.
Venezuela entonces puede volver a ser minimizada como problema, en tanto se vienen un montón de otros problemas, otras exigencias y otros lobbies que Trump trató de ir cerrando, y que ahora pueden tender a activarse.
Lo que tendrán que tomar en cuenta tanto los opositores venezolanos como norteamericanos es que la foto de Biden con Maduro, que insaciablemente publicaron los algoritmos republicanos en campaña, ya ha perdido vigencia.
Si con esa foto sonreída Biden logró ventaja electoral, es porque una anterior relación con Maduro no es tan contundente como para voltear una elección en EE.UU. Florida ha perdido importancia, una vez que el triunfo de Trump en ese estado no significó el golpe definitivo que esperaban los comandos de campaña. Los lobbies cubanos pueden debilitarse en la toma de decisiones de la Casa Blanca.
Puede hacer peso también el pequeño giro en torno al tema que se atrevió a dar la Unión Europea, con Josep Borrell a la cabeza, considerando la posibilidad de acompañar el proceso electoral de las parlamentarias que han sido boicoteadas desde Washington. Aunque finalmente se haya abortado la acción, solo plantearlo era un desconocimiento de las líneas del departamento de Estado.
Biden y su equipo tienen la oportunidad de diseñar políticas post-Trump. Todo ello, sin olvidar el tipo violento de intervencionismo que suelen aplicar los gobiernos demócratas en diversos pleitos mundiales.
Superando la vocería bélica del Comando Sur, el discurso sobre narcotráfico y las bases iraníes en Venezuela, todas acusaciones sin prueba alguna y difundidas por los halcones, el nuevo gobierno comenzará a privilegiar el tema de los derechos humanos, los informes de la alta comisionada para los derechos humanos de la ONU, Michelle Bachelet, y el informe presentado por la misión internacional independiente de determinación de los hechos sobre la República Bolivariana de Venezuela, y se tenderá a delegar en organismos internacionales la aplicación de posibles medidas.
Para este escenario el gobierno de Venezuela se ha preparado, insistiendo en el diálogo con las instituciones internacionales y bajándole el volumen al rechazo automático de estos informes, como ocurrió en un primer momento con el documento de Bachelet, emitido en septiembre de 2019.
Ahora el lenguaje es mucho más diplomático con la alta comisionada y aceptan su interlocución.
Estos informes, además, cuentan con el apoyo de gobiernos progresistas, como el de Argentina, que estarán presionando no solo para que EE.UU. derogue las medidas tomadas, sino también para que haya cambios en la situación interna de Venezuela, tanto en el gobierno como en la oposición.
No deja de ser probable que la nueva agenda sobre Venezuela, basada en acusaciones en torno al tema de los derechos humanos, termine crispando aun más la situación.
En todo este panorama quien no aparece es Guaidó.
Guaidó, una pesada carga
Juan Guaidó es un invento de los halcones, al que Trump le dio luz verde y ha terminado totalmente desgastado. Perpetuar el rédito de un gobierno paralelo, débil e ineficaz, nombrado por el gobierno republicano anterior, no parece tener mucho sentido. Aunque Biden no puede abandonar a los venezolanos de Miami, debido a lo estratégico de su voto en las próximas elecciones de medio término de 2022.
Es muy probable que el gobierno de Biden y Kamala Harris se caracterice por su pragmatismo, especialmente a la hora de decidir sobre los activos de Venezuela que maneja la embajada del interinato de Guaidó en Washington, especialmente la petrolera estatal Citgo, que está siendo disputada entre tenedores de bonos a los que el gobierno venezolano adeuda (y para los que ha puesto a la petrolera como garantía de pago).
Guaidó es quien ha sido impactado negativamente con la derrota del partido republicano. Ya sin capacidad de negociación interna ni casi margen de maniobra, su ‘gobierno’ cada vez se acerca más al asilo. Ha perdido su único apoyo.
El resultado que logró Biden permitirá a su nueva gestión replantearse las relaciones con América Latina, y es muy probable que el gobierno venezolano y el estadounidense logren establecer otro tipo de interacción, mediada por estos nuevos factores y llevada por un camino más diplomático, aunque igualmente convulso.
Por lo pronto, queda por ver si la nueva administración continuará los planes de la actual gestión de bloquear el acceso a combustible, y eso deberá decidirse apenas tome el control del gobierno. Estaremos atentos.