Cosa ci lascia Fidel, con quali ambiti del suo lavoro dialoghiamo e cosa ci racconta del mondo in cui viviamo in questo momento? La chiave del legame tra i tempi sta nella continuità di quello che Fidel chiama “lo spirito rivoluzionario del nostro popolo” e “il compito in ogni momento”
di Victor Flowler Calzada
A un nuovo anno (quattro ormai) dalla scomparsa fisica di Fidel Castro, la domanda diventa più pressante, attraente, interessante, problematizzante e ricca di sfide: come ricordarlo? Cosa privilegiare, risaltare, mettere in evidenza, in primo piano di tutto un contributo che è stato enorme? Anche se quattro anni sono un periodo breve, è sufficiente che molte circostanze della realtà (nazionale e mondiale) siano diverse – almeno in superficie – da quelle che noi e Fidel abbiamo conosciuto mentre stavamo insieme. In una circostanza del genere, cosa ci lascia Fidel, con quali ambiti del suo lavoro dialoghiamo e cosa ci racconta del mondo che abitiamo in questo momento? Perché e per quale motivo chiederglielo?
Per quanto riesco a comprendere i problemi inerenti alla condizione di “vita” dell’eredità (che sarebbe lo stato ideale in qualsiasi processo di trasmissione della memoria), credo che quanto sopra contenga molti dei momenti essenziali da attraversare. L’eredità è un insieme che raccoglie, allo stesso tempo, caratteristiche di: archivio di comportamenti esemplari / con l’intenzione di creare esempio; insieme d’idee e concetti intrecciati; presenza monumentale (con l’attenzione alle dimensioni del soggetto o al suo contributo «grandioso»); accumulo di contenuti di natura simbolica. Quest’ultimo perché l’eredità trascende se stessa e identifica non più la persona alla quale corrisponde più direttamente per associarla, ma tutto il tempo in cui “nasce e sviluppata”, nonché il territorio in cui la sua “vita” si verifica; in altre parole, ricerca, analisi, lettura e, in generale, l’indagine sull’eredità ci parla e ci risponde della persona, del paese, dei suoi abitanti, del tempo in cui si trovavano, ma anche delle condizioni in cui si sono verificati questi eventi.
In base a quanto sopra, quando chiediamo di Fidel, lo facciamo per gli antenati dei nostri genitori, i nostri genitori stessi, noi stessi e anche per coloro che ci succedono subito dopo, ma anche per coloro che arriveranno in giorni che non possiamo nemmeno prevedere. È una domanda che supera la persona perché abbraccia l’intera popolazione (in realtà quindi le popolazioni del passato, del presente e del futuro) per affondare, da lì, nelle radici stesse dei destini del Paese. Questo legame tra i tempi fu ciò che lo stesso Fidel comprese e propose quando, nella serata commemorativa tenutasi il 10 ottobre 1968 a La Demajagua, in occasione della celebrazione del centesimo anniversario della rivolta guidata da Carlos Manuel de Céspedes, pronunciò una frase che collegava i tempi: «Allora noi saremmo stati come loro, loro oggi sarebbero stati come noi!».
In questa brillante proposta, la chiave del legame tra i tempi sta nella continuità di ciò che Fidel chiama “lo spirito rivoluzionario del nostro popolo” e “il compito in ogni momento”. Questa connessione sopra-temporale non significa un fatto mistico, determinato da qualche essenza mistica, ma è il prodotto di un movimento di coscienza sociale, come spiegato dalla seguente idea: “è stata a lungo l’evoluzione del nostro pensiero rivoluzionario”.
Per il pensatore politico che mette insieme questo discorso, non è solo importante tracciare il percorso di continuità tra i diversi punti di azione dello spirito rivoluzionario (“Bisogna dire che la lotta si ripete su una scala diversa, ma anche in condizioni diverse”, ha sottolineato in un altro momento), ma mette in guardia anche su alcune tentazioni, deviazioni o fratture che possono portare a dimenticare il passato: “È possibile che l’ignoranza dell’attuale generazione, o l’oblio dell’attuale generazione, o l’euforia dei successi attuali, possa portare a una sottovalutazione di quanto la nostra gente deve loro, di tutto ciò che la nostra gente deve loro, a questi combattenti”.
Da questo punto di vista, l’esistenza, l’accoglienza e la conservazione dell’eredità condizionano la nascita o l’instaurazione di un rapporto di amicizia e dialogo con la memoria, perché il ricordare fa parte dell’essere e dell’identità del soggetto rivoluzionario, parte della nazione. Questa memoria politica è un processo complesso, in cui la visita del passato ci mostra il lungo processo di fallimenti, dolori e piccoli successi dello spirito rivoluzionario; filosoficamente, un lungo cammino verso l’incontro con la libertà che, per voce del discorso, ci si presenta in un transito entro il quale “loro” (i combattenti rivoluzionari di diversi momenti della storia, in ordinata successione): ” … Dovevano affrontare le bevande più amare: la bevanda amara di Zanjón, la fine della lotta nel 1878; la bevanda amara dell’intervento yankee, la pillola amara della conversione di questo Paese in una fabbrica e in un pontile strategico – come temeva Martí -; la bevanda più amara di vedere gli opportunisti, i politici, i nemici della rivoluzione, alleati degli imperialisti, governare questo Paese. Hanno dovuto vivere l’esperienza più amara di vedere come questo Paese era governato da un ambasciatore yankee; o come un funzionario insolente, a bordo di una corazzata, si ancorava nella baia de La Habana per dettare istruzioni a tutti: ai ministri, al capo dell’esercito, al presidente, alla Camera dei rappresentanti, al Senato.
A tutte queste esperienze, il cui identificativo comune al di sopra dei tempi sono i segni dell’anti libertà e dell’anti nazionalismo, Fidel si oppone (e gli propone a complemento) le lotte di altro tipo che poi toccano il presente. Tra queste, forse le più importanti, “le lotte nel campo dell’ideologia”, “le esperienze del processo rivoluzionario”, “affrontare l’imperialismo yankee” e “i suoi blocchi, la sua ostilità, le sue campagne diffamatorie contro la rivoluzione” e, infine,” affrontare il tremendo problema del sottosviluppo”.
Dialogare e confrontarci (noi) con l’eredità implica sia porre la domanda sulla Storia avvenuta (cioè il nostro passato e le condizioni di lotta ed evoluzione di quello “spirito rivoluzionario” di cui parla Fidel), sia riprodurre l’interrogatorio, nella sua intensità e nelle sue connessioni, come parte della Storia che – con la nostra partecipazione e intorno a noi – si costruisce oggi, proprio adesso. In questo contesto, quanto sopravvive delle domande, guide, raccomandazioni, esempi, posizioni morali, preoccupazioni, concezioni teoriche che Fidel ci ha lasciato? In che modo capirlo ma chiedendo, allo stesso tempo, alla realtà in cui ci troviamo, quanto sopravvive dalla polarità tra la volontà di indipendenza nazionale, sovranità e autonomia nazionale in opposizione alla voracità imperiale o alle proposte (espresse o implicite) di restaurazione e riconquista politico-economica per il Paese cubano? Possiamo separare memoria e identità? Cosa succede quando smettiamo di sapere, riconoscere chi eravamo e chi siamo?
Come capire quella richiesta che ci ha fatto, che nessuna istituzione, scuola, centro di lavoro o strada porta il suo nome, ma in collegamento lineare con le seguenti parole di Martí nella sua lettera di addio all’amico Manuel Mercado, il 18 Maggio 1895?: «So come scomparire. Ma il mio pensiero non scomparirebbe, né la mia oscurità mi renderebbe aspro. E non appena avremo forma, agiremo, adempiremo, toccasse a me o ad altri». Non è questo lo stesso tremore interiore che accende la fiamma, dell ‘”energia rivoluzionaria”, nella sua voglia di trasformare? Un’immagine che ricorda quell’altra usata da Martí, nel discorso che – in ricordo dell’impresa di Céspedes – tenne il 10 ottobre 1887 al Masonic Temple, a New York, quando parlò di un “fuoco” che “non sa morire” .
L’eredità è “fatta” di una quantità praticamente incommensurabile di analisi, decisioni, calcoli, in diversi momenti della vita nazionale in molto più che i decenni di azione politica della persona che la incarna; è una sorta di punto di contrazione dello spazio-tempo, un limite al confine del futuro che richiede l’auto-revisione. Possiamo solo avanzare interpretandoci al suo interno, assumendone le domande e riconfigurandole per le condizioni del presente, e osando fare il vero balzo audace tra i tempi: fabbricare, con questi ideali che abbiamo celebrato, il futuro.
Fonte: Granma – Cuba https://amicuba.altervista.org
Sempre vivo, Comandante
Quando si ha conquistato l’anima di un popolo non esistono commiati possibili nè verbi al passato che limitano la legittima presenza di un uomo di luce in tutti i tempi.
È il merito guadagnato da chi ha saputo amare e fondare. Un uomo al disopra della sua epoca e della sua opera.
Un uomo che non entra in una cronaca nè in un libro. Un uomo che è un’Isola e un continente. Un uomo di verità e giustizia.
Un uomo che semplicemente non ammette elogi pesanti né racconti senza onore perché è da molto che ha smesso d’essere solo un uomo, per diventare storia, sovranità, aria, mare … futuro.
E anche se il calendario ci ricorda che sono già quattro novembre della sua assenza fisica, per le vene di questa nazione continua a transitare l’eredità genetica ribelle dell’Eroe della Moncada, del guerrigliero in verde ulivo, del Gigante dalla barba banca, della guida di tutti i cubani, che è come dire, il nostro padre maggiore.
Perchè non solo le prodezze tremende come quelle della sfida alla tirannia, il suo allegato di auto difesa, lo sbarco dello yacht Granma, la sua lotta di ribelle nella Sierra Maestra o la sua guida a Girón e più di 50 gennaio alla guida del paese gli hanno guadagnato l’affetto e il rispetto di milioni, dentro e fuori da Cuba.
No. Non sono state solo queste prodezze. Al nostro “Chisciotte americano” come lo battezzò il suo amico Hugo Chávez, con questa corazza di morale assoluta che i nemici non sono mai riusciti a intaccare, e un cuore di “caguairán” forgiato più da 90 alberi di cedri, che da 90 agosto, basterebbero per sapere che non è morto, che vive nella gratitudine dei contadini, nelle medaglie degli sportivi, nella dignità dei medici e nel sorriso dei nostri bambini.
Il suo cuore palpita ancora in terra africana, nelle colline di Caracas, nel pupille di coloro che sono tornati a vedere la vita a colori, nel sentire di chi viene a studiare medicina e se ne va amando un’Isola, di chi non dimentica di quando lui stava con loro nei solchi, in un uragano o nella trincea di qualsiasi tipo di combattimento.
Lui continua ad essere il nostro Comandante in Capo. L’epopea di un uomo che si è reinventato per la storia con il riscatto di un bambino di sette anni e il ritorno alla Patria dei suoi Cinque Eroi.
Grazie per tutto e per tanto. Quest’opera non terminata, imperfetta e umanista che è la Rivoluzione segue il tuo legato partendo da quello che oggi chiamiamo continuità. La continuità che tu volevi Comandante, questa che non smette di sognare, d’amare, di forgiare un paese migliore.
Per questo si dice che nel Mausoleo di Santa Ifigenia, molto vicino a Martí, dal 2016, una pietra enorme di granito custodisce nel suo «cuore» il tesoro dei cubani.
Lì è visibile per tutti, inciso in lettere di bronzo, il nome che è già eterno: Fidel.
Nell’unità di Cuba: Fidel
Sono molti quelli che sono andati all’incontro con Fidel sulla scalinata dell’Università de L’Avana, lo scenario ribelle e rivoluzionario che lo porta al presente, che da fede alla continuità nelle voci dei bambini, nella canzone impegnata, nel verso…
A quattro anni dal passaggio all’eternità del Comandante in Capo, guidati dal Presidente della Repubblica, Miguel Díaz-Canel Bermúdez, da altri membri del Burò Politico e della Segretaria del Comitato Centrale, del Governo e delle organizzazioni di massa, pionieri, giovani e lavoratori in rappresentazione di tutta Cuba, hanno espresso il loro impegno di resistere e rinnovare i loro voti con l’opera guidata da Fidel.
La cantautrice Marta Campos lo ha immortalato con il suo brano /AFidel/, e Corina Mestre lo ha evocato con la sua potente voce: «La storia racconterà i suoi fatti gloriosi. Preferisco ricordarlo in quello spazio del giorno, quando vide la sua terra e disse: sono la terra; in cui vide il suo popolo e disse: sono il popolo e abolì i suoi dolori, le sue ombre e le dimenticanze …».
È stata una veglia unica.
In questi tempo complessi, carichi di sfide importanti, andiamo da Fidel, ci nutriamo della sua sapiente riflessione e della sua opera carica di sogni e impegni, come ha detto bene, José Ángel Fernández Castañeda, presidente della Federazione Studentesca Universitaria.
«Da lui riceviamo la forza per andare avanti».
Il legato del Comandante ha ispirato anche coloro che si sono dati appuntamento nella veglia culturale che in nome delle Forze Armate Rivoluzionarie(FAR) e del Ministero degli Interni, gli ha reso omaggio.
Durante la gala, presieduta dal generale di Corpo d’Esercito Leopoldo Cintra Frías, membro del Burò Politico del Partito e ministro delle FAR, si è cantato a Fidel, all’uomo che «vivo illuminava e continua a brillare da morto».
Tra i molti grati che si sono dati appuntamento nella Sala Universale delle FAR, nella capitale, c’era il secondo vice ufficiale Reizon Caraballo Miranda, uno degli autisti che hanno partecipato al trasporto delle ceneri del Comandante sino a Santiago de Cuba.
Reizon Caraballo Miranda ha raccontato che quando la carovana è giunta a Camagüey, vari contadini montati sui loro cavalli, al bordo della strada, avevano lanciato nell’aria un gruppo di colombe bianche.
In coincidenza, una è rimasta per diversi minuti sul trasporto militare che portava l’urna come quella colomba che quando i barbudos entrarono vittoriosi a L’Avana l’8 gennaio del 1959, si posò sulla spalla del Comandante.
Nel cimitero di Santa Ifigenia non sono mancati i fiori davanti alla roccia che lo custodisce.
L’omaggio al leader storico della Rivoluzione da San Antonio a Maisí sintetizzato in questo altare della Patria, lo hanno guidato il primo segretario del Partito a Santiago di Cuba, Lázaro Expósito Canto, e il vice governatore Manuel Falcón Hernández