Geraldina Colotti
Quando il ministro del Lavoro, Eduardo Piñate (ora ministro dell’Educazione) ha annunciato l’aumento del salario minimo e delle coperture sociali allegate, la piazza riunita per il 1° Maggio in Venezuela, in osservanza delle misure di prevenzione, ha risposto con slogan inneggianti al socialismo e pugni alzati. Cosciente e organizzata, la classe operaia sa che il presidente Maduro dice il vero quando afferma che, per ricavare questo aumento, si è dovuto “stringere i denti” per trovare le risorse in un paese sottoposto da anni al feroce blocco economico-finanziario dell’imperialismo Usa.
Si tratta di un aumento di quasi il 300% rispetto all’attuale ammontare del salario minimo che è di 1,8 milioni di bolivar e che, con l’aggiunta dei bonus alimentazione arriva a 10 milioni di bolivar. Un incremento che agirà anche sulle tabelle di altre categorie, in base alle convenzioni collettive già firmate o che – ha detto il ministro – si stanno per firmare. Equivale a 3,5 dollari. Un aumento che l’inflazione indotta e la guerra alla moneta, incrementata dalla banda di golpisti che ora preme affinché Biden mantenga le “sanzioni” in piena pandemia, si dedicherà a smontare. Prima che le “sanzioni” si indurissero, il Venezuela aveva il salario più alto di tutta l’America Latina.
I media egemonici, però, anche questa volta si sono subito scatenati per attribuire non alle misure coercitive unilaterali ma al modello socialista, la responsabilità della situazione. Peccato che, se a quegli “esperti” si domanda quale sarebbe la soluzione alternativa, restano nel vago, riproponendo le ricette neoliberiste: quelle stesse contro le quali sta lottando il popolo colombiano, cileno, honduregno… E mentre nei paesi al soldo di Washington ai lavoratori e alle lavoratrici che protestano per i propri diritti si risponde con il piombo e la repressione, in Venezuela questi sono il motore della ripresa economico-produttiva.
Il settore della classe operaia – ha detto Maduro il 1° Maggio – è stato il primo a presentare proposte ed è “pronto per installare il Primo Consiglio Presidenziale del Governo Popolare del settore Classe Operaia che si è preparato durante il Congresso Bicentenario dei Popoli”. Un impegno che, nonostante la pandemia e il blocco economico, ha potenziato la messa in campo in tutto il territorio nazionale di 2.450 Consigli Produttivi dei Lavoratori e delle Lavoratrici (CPTT). Organismi di autogoverno e pianificazione che, in un processo di formazione permanente, controllano e orientano la produzione e l’organizzazione del lavoro, e la difendono dai sabotaggi.
Strumenti per “governare dal basso cercando soluzioni con il popolo”, ha proseguito Maduro, annunciando per questa settimana la prima riunione operativa del Consiglio Presidenziale della classe operaia. “Questo è un potere, questa è una forza nelle mani della classe operaia”, ha detto ancora il presidente riferendosi alla Centrale dei Lavoratori Bolivariana del Venezuela, che ha “veri dirigenti in tutte le fabbriche e i luoghi di lavoro”.
Una realtà – ha affermato Maduro – totalmente diversa da quella che ha portato al golpe contro Chávez del 2002, organizzato anche dai vertici dell’allora confederazione sindacale (Ctv), di concerto con quella padronale (Fedecámara).