Sergio Rodríguez Gelfenstein, Internationalist 360°,
Il Nicaragua è un piccolo Paese dell’America centrale con una popolazione 50 volte e un’area 75 volte più piccola degli USA. Il PIL degli USA (nel 2019) fu 1772 volte quello del Nicaragua. Gli USA hanno 5113 testate nucleari, 11 portaerei e 18 sottomarini nucleari, il Nicaragua niente. Qualcuno sano di mente può credere che il Nicaragua minacci gli USA?
Se il problema è la democrazia, quanto sono preoccupati gli USA della democrazia in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti o nella nostra regione in Paraguay, Brasile, Honduras, Venezuela, Haiti o Cile, dove hanno pianificato, organizzato e sostenuto colpi di Stato contro la democrazia? Per non parlare del passato in cui sostenevano ogni dittatura della regione. Nello stesso Nicaragua, gli USA furono mentore di Somoza che, secondo il presidente Roosevelt, era “un figlio di puttana”, ma era “il nostro figlio di puttana”. Allora da dove viene l’odio furioso che i successivi governi degli USA hanno provato e provano per il Nicaragua? Senza dubbio dalla sua storia. Alcun Paese dell’America Latina e dei Caraibi inflisse agli USA tante sconfitte come la patria di Ruben Dario e Augusto C. Sandino.
Considerate questo. La posizione geografica nella cintura centroamericana gli valse fin dall’inizio lo sguardo ambizioso delle potenze. Così, a metà del XIX secolo, il filibustiere nordamericano William Walker (oggi lo chiameremmo mercenario) con la tacita approvazione del governo degli Stati Uniti, invase il Nicaragua con una forza militare che infine lo spinse (supportato da un settore degli onnipresenti immeritevoli e indegni che compaiono in ogni processo politico) alla Presidenza della Repubblica. Le forze patriottiche furono costrette a una guerra nazionale per resistere all’invasione straniera. Dopo avanzate e ritirate tentando di consolidare il controllo sul Paese, Walker subì una clamorosa sconfitta il 14 settembre 1856 nella battaglia di San Jacinto per mano dei patrioti nicaraguensi che furono rafforzati e guidati dal Colonnello José Santos Estrada. Fu l’inizio della fine, tra molti altri tentativi che Walker fece per tenere il potere, fu perseguito e molestato nel 1860. Il tentativo degli Stati Uniti di infine impadronirsi del Nicaragua fu eseguito per la prima volta. Poco più di mezzo secolo dopo, nel 1912, dopo diversi tentativi falliti, il Nicaragua fu nuovamente occupato dagli Stati Uniti. L’obiettivo era lo stesso: mettere in sicurezza il territorio in modo che gli Stati Uniti costruissero un canale prima che lo potesse fare un qualsiasi concorrente. Nel 1916 fu firmato il Trattato Bryan-Chamorro tra Stati Uniti e Nicaragua, che trasformò il Paese in un protettorato yankee. Nell’ambito del controllo di esso, nel 1928 gli Stati Uniti crearono la Guardia Nazionale come forza di occupazione nativa del proprio Paese al servizio della potenza nordamericana.
Nel 1927, contro la presenza statunitense che ammontava a 5mila soldati e 500 ufficiali e anche contro il tradimento (come si vede, sempre presente) del generale José María Moncada che firmò cogli Stati Uniti il cosiddetto “Pacto del Espino Negro”, il Generale Augusto C. Sandino insorse con lo slogan “Non mi vendo né mi arrendo. Voglio una patria libera o la morte”, scatenando una guerra regolare fin quando aerei nordamericani bombardarono cittadine disarmate infliggendo pesanti perdite alla popolazione civile, lo convinsero del bisogno di usare la guerriglia, comandando un esercito di contadini che la poetessa cilena Gabriela Mistral battezzò “piccolo esercito pazzo per la volontà di sacrificio”. La guerra dilagò su tutto il territorio nazionale man mano che i successi di Sandino crescevano fin quando l’esercito nordamericano fu costretto a ritirarsi sconfitto dal Nicaragua nel gennaio 1933. Questa fu la seconda sconfitta degli Stati Uniti in Nicaragua, di natura militare, che a sua volta fu la prima subita dagli Stati Uniti in America Latina. Anche se l’assassinio di Sandino paralizzò temporaneamente la lotta del popolo nicaraguense, non ne fermò lo slancio libertario. Le idee di Sandino si generalizzarono, presero vita tra i giovani e nel 1961 divenne organizzazione e struttura quando fondata sotto la guida del Comandante Carlos Fonseca Amador, il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) che dopo una lunga lotta di 18 anni con la massiccia partecipazione del popolo nicaraguense sconfisse il “figlio di puttana degli Stati Uniti” che lo difesero fino all’ultimo proteggendone la fuga e senza che pagasse i crimini contro il popolo. Un’altra sconfitta degli Stati Uniti, questa volta politica, perché in Nicaragua si insediò un governo popolare e rivoluzionario che per la prima volta nella storia istituzionalizzò il Paese creando un solido esercito a garanzia della sovranità e dell’integrità territoriale, e che inoltre, sempre per la prima volta, non doveva rendere conto a nessuna potenza straniera. Solo la fatica prodotta dall’essere costretti a vivere sotto una brutale guerra interventista, che secondo alcune fonti causò circa 150000 vittime tra morti, feriti e disabili, estromise per via elettorale l’FSLN dal potere. Tuttavia, nell’interregno del giugno 1986, la Corte internazionale di giustizia (ICJ) dell’Aia emise a favore del Nicaragua una sentenza nella causa intentata contro gli Stati Uniti per la guerra e l’instabilità negli anni del governo sandinista. Ennesima sconfitta degli Stati Uniti col Nicaragua, questa volta diplomatica e giuridica, che rese evidente a livello internazionale il carattere imperialista e interventista della loro politica estera.
Dal 1990 in poi, nel Paese si insediò una serie di governi neoliberisti che riportavano gli indici di sviluppo sociale ai livelli della dittatura. Ma l’FSLN con alla testa il Comandante Daniel Ortega non si perse d’animo anche se la sconfitta elettorale produsse nuove e gravi diserzioni e tradimenti come, ripeto, è sempre accaduto in ogni momento. L’FSLN iniziò quindi a costruire una nuova storia sotto la perseveranza di Daniel, prevalendo per 17 anni contro la riluttanza, con la fiducia nel popolo contro il sospetto sulle sue capacità, con la volontà contro la fatica, con la fermezza contro l’ambiguità, l’FSLN tornò al potere nello stesso modo con cui lo perse: per via elettorale. Una nuova sconfitta degli Stati Uniti, di natura politica, che non compresero come furono cacciati i governi neoliberisti che “amministrarono” il Paese dal 1990 al 2007 nonostante il sostegno imperialista. Il governo sandinista si dedicò alla ricostruzione del Paese. Addirittura lanciò una nuova campagna di alfabetizzazione (il Nicaragua è l’unico Paese al mondo dichiarato due volte libero dall’analfabetismo dall’Unesco). La popolazione riottenne accesso all’assistenza sanitaria pubblica dopo che il Paese fu riportato ai livelli sanitari prerivoluzionari per mortalità infantile, posti letto per abitante, budget, vaccinazione infantile, mortalità materna, eliminazione di malattie endemiche e altro. Ancora una volta, la sicurezza sociale tornò nell’interesse del governo e furono aumentati i budget sociali per l’intrattenimento, la cultura, lo sport e altro. Il Paese uscì letteralmente dal buio, quando subiva 12 ore di black-out al giorno, creando una rete nazionale di approvvigionamento elettrico sviluppando energie alternative come alcun altro Paese dell’America Latina. E tutto questo in un quadro di pace cittadina, di convivenza democratica, con un modello esemplare di economia mista in cui gli imprenditori investirono nel loro Paese grazie alla stabilità che il governo generò. Nel settembre 2008, solo un anno dopo il ritorno al potere dell’FSLN, a conclusione dell’analisi dei risultati economici del Paese, il Comitato Esecutivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI) stabilì che “le politiche macroeconomiche del Nicaragua rimangono prudenti e che il programma della riduzione della povertà è soddisfacente”. Quasi otto anni dopo, nell’aprile 2016, la stessa organizzazione finanziaria internazionale, dopo una visita della Commissione nel Paese, stabilì che “L’economia nicaraguense continua a registrare alti tassi di crescita e politiche macroeconomiche sostenibili. Nel 2015 il Prodotto Interno Lordo (PIL) crebbe del 4,9% e la media degli ultimi cinque anni (5,2%) è una delle più alte della regione”. Nuova sconfitta per gli Stati Uniti, questa volta di natura economica ma con impatto politico: il governo dell’FSLN dimostrò che il suo modello politico di crescita sostenibile era praticabile e credibile nel tempo.
Questo era più di quanto gli Stati Uniti potessero sopportare, e capirono che si sviluppa un modello replicabile ad altre latitudini: un piccolo Paese con scarse risorse sa costruire un esperimento sovrano di economia mista e sviluppo sociale nel quadro di democrazia e pace civile. Il presidente neo-insediato Donald Trump ordinò l’accelerazione di tutti i piani eversivi sempre presenti nel portafoglio delle agenzie di intelligence ed ordinò il rovesciamento del governo, contando sull’appoggio sempre presente di forze locali, soprattutto affaristi scontenti della ricchezza che hanno e bramosi di maggiori profitti, settori di destra tradizionale che pensano in inglese, la gerarchia cattolica contrapposta a Papa Francesco e gruppi di ex-sandinisti staccatisi dal tronco originario per vari motivi, validi o meno, ma che comunque non giustificano l’accomodarsi al servizio di una potenza straniera e diventarne dipendenti. Nell’aprile 2018 si scatenò un brutale tentativo di golpe, che i media nazionali e internazionali si precipitarono a decretare vittorioso senza contare sulla volontà di resistenza del popolo nicaraguense, sulla forza istituzionale del Paese, in particolare sull’esercito e la leadership dell’FSLN e del Comandante Daniel Ortega. Il tentativo provocò 200 morti, tra cui 20 poliziotti, oltre a gravi danni all’economia nazionale.252 edifici pubblici e privati furono distruttivi, 209 chilometri di strade o autostrade, 278 macchinari e attrezzature per l’edilizia e 389 veicoli furono dati alle fiamme. Alla fine, l’offensiva insurrezionale dell’opposizione, a cui l’ambasciata nordamericana partecipò pubblicamente, fu ancora una volta sconfitta, però i danni arrecati all’economia frenarono il progresso di alcuni anni che decise il chiaro miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Tuttavia, nel pieno della pandemia, il 21 febbraio 2020, il Comitato esecutivo del Fondo monetario internazionale (FMI) tenne una nuova consultazione in Nicaragua. Nel suo rapporto concluse che “Dall’aprile 2018, i disordini sociali e le sue conseguenze hanno eroso la fiducia e portato a grandi deflussi di capitali e depositi bancari, influendo negativamente sull’attività economica del Nicaragua. Si stima che il PIL reale subirà un’altra contrazione nel 2019 del 5,7% (la crescita del 2018 è stata del -3,8%) a causa della domanda aggregata, del fisco e delle sanzioni”. A questo punto consiglio al lettore di tornare indietro e guardare il rapporto dell’agenzia del 2016 per fare dei confronti, così come si dovrebbe includere nell’analisi l’ultimo fattore citato: le sanzioni che iniziarono a gravitare sullo sviluppo del Paese nell’aggressione imperialista degli Stati Uniti. Il rapporto aggiunse che: “Sebbene il rallentamento economico portò a un avanzo delle partite correnti nel 2018 e nel 2019, il miglioramento fu interamente neutralizzato dall’invertimento del saldo finanziario. Le autorità concessero politiche monetarie e finanziarie meno restrittive nel 2018-19 al fine di evitare una spirale economica al ribasso”. Questa è una chiara dimostrazione della capacità istituzionale del Paese di fronteggiare le prove della rinnovata agenda interventista di una potenza straniera come dimostrano le azione illustrate dalle autorità del Paese. Una nuova sconfitta per gli Stati Uniti, che non poterono né rovesciare il governo né la sua via alla normalizzazione, non solo in piena aggressione, ma anche in piena pandemia. Ma non bastò, ora in prossimità delle elezioni presidenziali, gli Stati Uniti ancora una volta scatenavano le proprie truppe per delegittimare le istituzioni del Paese, metterne in discussione l’ordine costituzionale e provare con mezzi esteri ciò che una opposizione screditata e divisa non può raggiungere coi propri sforzi. Come non può non fare un Paese che si rispetti, il Nicaragua rafforzava il peso della legge su stabilità e pace del Paese.
Di fronte a ciò si scatenò un nuovo coro per tentare l’ennesima aggressione al Nicaragua. La migliore prova che ciò che fa il governo nicaraguense è giusto è il rifiuto delle misure dell’OSA, del suo segretario generale Luis Almagro e dei governi di Stati Uniti e Spagna, tra gli altri. Questi sono chiari segnali che la strada giusta è stata imboccata. In questo caso il coro è accompagnato dalla destra socialdemocratica e social-cristiana internazionale e da certa sinistra salottiera che fa discorsi radicali ma non va oltre le solite analisi da democrazia rappresentativa. È necessario sapere quanto un giorno, ogni giorno, una settimana, ogni settimana, un mese, ogni mese, un anno, ogni anno significhi vivere una vita sotto vessazione con aggressioni, interventi militari, sanzioni economiche, blocchi, tentativi di assassinare leader e innumerevoli azioni terroristiche dell’agenda politica imperialista. Con tutto il rispetto, vorrei dire che bisogna viverci per sapere di cosa si tratta. Senza toccare nessuno, quelli di noi che hanno avuto la fortuna di vivere il tempo dei fucili e usarli, nel tempo della politica onesta e delle matite e dei computer da usare nella stessa lotta, conosciamo la differenza tra l’uno e l’altro. E in questi momenti, scusate se mi ripeto, ricordo sempre il comandante Tomás Borge quando mi diceva: “Se sei confuso, guarda sempre dov’è Fidel. È lì che devi essere. E Fidel ci ha saputo dire che bisognava sapere in quale trincea si trova l’imperialismo per essere nella trincea di fronte”. Per me, sulla lunga strada della rivoluzione, questi sono bussola e guida.
Nella storia ci sono sempre stati traditori e disertori. Dov’è il generale Rafael del Pino, eroe di Playa Girón? Dov’è Dariel “Benigno” Alarcón, compagno del Che in Bolivia? Chi serve oggi Joaquín Villalobos, ex-capo dell’Esercito Rivoluzionario Popolare di El Salvador? Cosa sono diventati certi ministri e funzionari del governo di Salvador Allende, che per più di 30 anni si sono arricchiti amministrando il modello neoliberista cileno difendendo la Costituzione di Pinochet? Tutti coloro che accompagnarono il comandante Chávez il 4 febbraio 1992 seguono oggi le sue idee? Se qualcuno è interessato all’argomento, controlli la Costituzione venezuelana del 1999, veda chi la firmò e dove è oggi. Anche Eduardo Galeano e José Saramago misero in discussione e ruppero con la rivoluzione cubana essendo contrari alle misure estreme che il Paese adottò di fronte alla persistente aggressione degli Stati Uniti. Da uomini intelligenti, alla fine compresero la situazione e morirono in pace con Fidel e il popolo cubano. Boaventura de Souza fu un critico permanente e forte del processo bolivariano. Bisogna saper distinguere tra critica e tradimento. Infine, deve prevalere la massima del Comandante Camilo Cienfuegos: “Chi combatte, non importa dove, è nostro fratello”. Chi non commette errori? È possibile superare in breve tempo 25 secoli di società di classe? I costruttori della nuova società non portano con sé vizi e piaghe del passato? Dov’è il manuale per la costruzione di questa nuova società e il modello da seguire? Non esiste, perché questo è un processo vivo, dialettico, basato su errori e sbagli. Sono esseri umani in carne ed ossa, non esenti da errori, quelli che propongono l’assalto al potere per consegnarlo al popolo. Il precetto cristiano dice: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Nel caso del Nicaragua, nessuno può raccontarmi la storia. Fui ingiustamente ed ignominiosamente espulso dal Paese quando ero ambasciatore del Venezuela del comandante Hugo Chavez. Non è l’oggetto di questo scritto, solo un riferimento per dire che non può essere l’ambito proprio che motiva l’azione di un rivoluzionario. E nemmeno il risentimento, il desiderio di preminenza e la sopravvalutazione individuale possono essere ciò che ne smuove la vita a favore del popolo. Noi rivoluzionari non siamo quelli che pongoo il dilemma del tutto o niente. Gli slogan “Patria o morte”, “Vinceremo” e “Libera patria o morte” furono adottati da Fidel e Sandino dopo che le circostanze glielo imposero. Va ricordato il brutale decreto di Guerra all’ultimo sangue che Bolivar fu costretto a firmare nel 1813 nel pieno della lotta per l’indipendenza contro la Spagna e in cui non furono accettate mezze misure. Ad un certo punto, a Cuba e Nicaragua diminuì l’uso di quegli slogan che identificavano la loro vocazione rivoluzionaria come modo per allentare le tensioni, ma l’aggressione non cessò. Era l’imperialismo che poneva il “tutto o niente”.
E in queste condizioni, purtroppo, non c’è spazio per terze opzioni. O stai coll’imperialismo o con la Patria. Ognuno scelga la sua trincea. Non ho dubbi su quale sia la mia.
Traduzione di Alessandro Lattanzio