di Miguel Criz Suárez
Dopo 60 anni d’attesa e con tutti i tentativi, che vanno dal sabotaggio, la guerra biologica, l’aggressione mercenaria a Playa Girón (Baia dei Porci per l’informazione occidentale-ndr.), le bande contro rivoluzionarie e tutti i meccanismi che si possono immaginare, guidati dal blocco più lungo e genocida della storia moderna, molti hanno creduto che domenica 11 fosse giunto il momento tanto atteso, il premio a tanti nefasti sforzi.
I nemici di sempre si fregano le mani; i grandi media si servono il manicaretto, che è moltiplicare, magnificare e fare pressioni su Cuba, senza imparzialità, con una forza e un’immediatezza mai applicate con Colombia, Cile o altri paesi, con fin troppi esempi di repressione e morte per le loro strade; gli uni e gli altri stracciandosi i vestiti ed ergendosi a paladini o portavoce nell’ora di condannare la risposta alle provocazioni molto ben orchestrate, suggerite e finanziate da poderosi centri del potere.
Alcuni, nel mezzo di un’ingenuità abbastanza dubbia per la sua grandezza, applaudono il disordine, le mostre di violenza, l’intenzione di creare il caos e anche la possibilità reale, che circostanze tanto estreme provochino la morte, che sarà sempre in fatto terribile come è.
O forse che un intervento militare riempia questo paese con la più profonda desolazione e il lutto irreversibile che lasciano sempre le bombe.
Cuba non è un paese qualsiasi, senza che la frase comprenda sciovinismo o autosufficienza.
Qui non si cerca un pacifico cambio di regime o la semplice rinuncia di un presidente.
Non si pretende un tavolo di dialogo, un processo costruttivo per il bene di tutti, e nemmeno un finale amichevole carico di un immediato benessere per il popolo.
Per quest’Isola il piano è un altro, radicale, senza limiti all’ora di una rivincita tanto attesa e desiderata.
Le isolate, pero indignanti immagini di auto bruciate e vetri rotti, sono solamente un timido passo avanti di qualcosa di più profondo e lacerante: la fine della nostra ben riconosciuta e necessaria tranquillità cittadina.
Nessuno immagina una scena diversa e non si pensi che coloro che hanno scommesso sulla caduta di Cuba si adatteranno con una o un’altra concessione.
Andranno oltre le fondamenta e non precisamente per costruire un’opera nuova, ma per ridurre in cenere qualsiasi vestigia di un paese che ha fatto tanto per la sua gente, nonostante tutto.
Nessuno pretende –e tanto meno la direzione del paese – negare le carenze, le ore senza luce, gli scaffali vuoti, il picco della pandemia, ma supporre che questi problemi obbediscono strettamente a deficienze o dissidi dello Stato, è quanto meno meschino.
Denunciare questi mali e collocarli sulla punta delle lance, mentre si tace sul blocco e sui noti piani contro Cuba, è collocare lo stivale sulla testa del ferito mentre si strizza l’occhio ai boia, da parte di coloro che vogliono radere al suolo la Patria con la prepotenza imperiale.
Fonte: Granma – Cuba