Estratti del discorso di LUIS MORLOTE RIVAS Presidente dell’Uneac, al 60° anniversario dell’organizzazione dell’avanguardia artistica e letteraria cubana, presieduta da Miguel Díaz-Canel Bermúdez, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba e Presidente della Repubblica, che ha avuto luogo venerdì scorso nei giardini della sede nazionale nel quartiere Vedado della capitale.
Il primo giorno di aprile 2008, l’Uneac ha ricevuto l’ultimo messaggio di Fidel: una lettera ai delegati del settimo congresso ha coronato un rapporto di lunga data in cui il dialogo ha sempre prevalso su qualsiasi inciampo o disaccordo.
Fedele a questa prospettiva, è poi tornato a scuoterci con l’obiettivo di impedirci di allontanarci dalle “questioni spinose” che secondo lui l’Uneac non poteva non affrontare. “Tutto ciò che rafforza eticamente la rivoluzione è buono, tutto ciò che la indebolisce è cattivo”, ci disse, come se fosse certo che l’etica sarebbe stata al centro delle sfide che la cultura e la politica rivoluzionarie avrebbero dovuto affrontare per garantire la continuità del socialismo cubano.
Sottolineò l’urgente necessità di volgere il viso verso la dimensione umanista del socialismo; quella che si esprime nella giustizia più universale; quella che esige la conquista di tutta la verità, tutta la felicità, tutta la giustizia possibile, e non una parte di esse, Fidel evocò l’etica e la creatività come le risorse principali in quella battaglia, così come servirono come muscolo dell’unità delle forze patriottiche che in diverse epoche hanno combattuto per il bene della Nazione.
Il dilemma centrale del nostro tempo è precisamente un dilemma etico. Di fronte al grave inventario di problemi che si sono accumulati nell’attività culturale e ideologica, è inesorabile rivalutare le modalità di partecipazione, espressione e mobilitazione dell’intellighenzia cubana nella lotta per superare la filosofia “ognuno per sé” che sta prendendo piede insieme all’ignoranza e alla calunnia.
Convinti del valore dell’educazione, della creazione artistica, del lavoro nella comunità e soprattutto della formazione politica e della morale civica, è obbligatorio rafforzare le essenze, bandire i pregiudizi e reimparare a lavorare, come diceva Haydée Santamaría, “con il meglio di ogni essere umano”. Non sto parlando di abbandonare il terreno e tornare indietro; contrariamente al pensiero di alcuni, affrontare le distorsioni, la stanchezza e lo scetticismo richiede sempre una dose di rispetto per l’alterità, la capacità di gestire le differenze, la volontà di ristabilire le alleanze e da lì di rafforzare il consenso dove può essere stato danneggiato.
Per una cultura che si assume di essere legittimamente rivoluzionaria, l’unica possibilità storica è quella di scatenare idee, sentimenti, azioni e potenziale umano. È stare dalla parte dei più deboli, dei più umili, di coloro che compongono la fibra più genuina e più intima della nazione; disputare uno spazio centrale nei modelli di felicità, di benessere, nelle aspettative e aspirazioni comuni di coloro che, per la loro condizione storica o la loro realtà sociale, sentono più profondamente di altri il marchio del colonialismo e del sottosviluppo, di tutti coloro che sentono il peso del pregiudizio; anche se nel loro immaginario la prosperità, la pienezza e il futuro hanno un altro volto.
Siamo obbligati a pensare e ad agire con grande fretta, ma con serenità, senza improvvisazione. In tutta la sua estensione e complessità, il lavoro culturale richiede trasformazioni radicali. Non si tratta solo dell’atto artistico e della sua lettura. Abbiamo debiti con aree di creazione e di pensiero sociale che oggi potrebbero rendere impossibile avere interpretazioni e soluzioni più vicine alle aspettative del nostro popolo.
Le scienze sociali e la critica artistica e letteraria, l’educazione e il lavoro culturale comunitario, la formazione ideologica e la cultura politica, i media e la comunicazione pubblica, il design e l’urbanistica, l’architettura e l’uso pubblico degli spazi, sono al centro di un uragano di sfide tanto potenti ed espansive quanto la capacità che la Rivoluzione ha generato in sei decenni per superare, trovare soluzioni, mobilitare le riserve del patriottismo popolare, come abbiamo visto nelle ultime settimane.
Lavoro e pensiero, passione e responsabilità, abbiamo contribuito alla difesa e alla trasformazione rivoluzionaria della società per 60 anni. L’Uneac si è formata il 22 agosto 1961, al termine del Primo Congresso Nazionale degli Scrittori e degli Artisti, risultato di un ardente e fruttuoso processo di gestazione. Da allora, un lungo itinerario ha dimostrato che è possibile espandere tutti gli orizzonti, ospitare la speranza, come chiedeva Martí, sull’ala di un colibrì, guarire la ferita, per quanto acuta possa essere, se l’amore e la perseveranza, se l’onestà e la vocazione di servizio sono i nostri mobilitatori.
Nicolás Guillén, il poeta che, come nessun altro, cantò gli aneliti popolari e l’identità dell’isola con un linguaggio assolutamente innovativo e un volo lirico raffinato, guidò i primi decenni dell’Uneac, insieme ad altri notevoli creatori. Anche noi rendiamo loro omaggio in queste celebrazioni. Insieme ai vertici politici, sono stati gli instancabili lavoratori del dialogo. Hanno messo l’Unione nel cuore dei cittadini. Hanno aiutato con il loro lavoro a superare la solitudine, a trovare un pubblico, a far sì che il buono, il bello e l’utile fossero visti attraverso gli occhi del popolo, come aveva già chiesto Fidel nelle sue Parole agli intellettuali.
A tal fine, l’Uneac si espanse in tutto il paese. Ha concepito spazi basati sul movimento artistico e intellettuale di ogni territorio. Ha creato riviste come La Gaceta de Cuba e Unión; ha concepito una rete di pubblicazioni, tra cui Ediciones Unión, Caserón e Cauce; ha sostenuto e promosso progetti personali e collettivi che sono diventati paradigmatici nella nostra cultura. Ha organizzato concorsi che sono tra i più antichi e prestigiosi del paese, come i premi Uneac e David.
Ha saputo mantenere una relazione con i giovani creatori, evidenziata dalla creazione della Brigata Hermanos Saíz, l’antesignana dell’Associazione, che quest’anno celebra il suo 35° anniversario. Ha creato e arricchito un sistema di eventi e borse di studio in letteratura, musica, arti dello spettacolo, arti visive e audiovisive, alcune di portata internazionale, che hanno stimolato la creazione e contribuito a stabilire gerarchie artistiche.
Nella difesa della nostra identità, della nostra sovranità e dei valori umanisti della Rivoluzione, siamo cresciuti insieme alle persone a cui siamo debitori: un ricordo commosso va ai partecipanti dell’urgente laboratorio creativo che mobilitò scrittori e artisti nei giorni della Crisi d’Ottobre e a coloro che, in mezzo a un’ostilità come quella a cui resistiamo oggi, si impegnarono nel 2003 nella gestazione della Rete in Difesa dell’Umanità e diffusero la verità di Cuba “agli amici che sono lontani”.
Sarebbe impossibile ignorare il ruolo dell’avanguardia artistica e intellettuale nello smantellamento degli effetti della globalizzazione neoliberale, la banalità dei messaggi delle industrie culturali egemoniche, l’avanzata delle tendenze neofasciste e l’aggressione alle identità dei popoli della regione.
Il generale Raúl Castro ha insistito nel suo messaggio per il 55° anniversario della nostra organizzazione: “Siamo doppiamente minacciati nel campo della cultura: da progetti sovversivi che cercano di dividerci e dall’onda colonizzatrice globale. L’Uneac di oggi continuerà ad affrontare queste sfide complesse con coraggio, impegno rivoluzionario e intelligenza.
I nostri membri sono ora più di 8.000. La promozione del suo lavoro, la sua proiezione sociale, il suo inserimento nel tessuto culturale della nazione, sono tra gli sforzi più consistenti e le preoccupazioni più impegnative dell’Uneac, fin dalla sua fondazione. Tra questi impegni e preoccupazioni, ha anche mantenuto un rapporto di contrappunto attivo e di complementarietà con il sistema delle istituzioni culturali e le altre istanze della vita socio-economica, con l’obiettivo di contribuire alla formulazione, al rinnovamento e all’applicazione della politica culturale rivoluzionaria.
Quando stavamo preparando l’intenso programma di attività che ha celebrato, e continuerà a celebrare durante quest’anno, i sei decenni di vita dell’Uneac, abbiamo deciso di usare come asse di tutta questa mobilitazione l’idea che “Nell’Unione c’è forza”: Nell’Unione c’è la forza. Da lì, evochiamo il meglio di una tradizione di accompagnamento critico del nostro movimento culturale alla Patria, partiamo dalla forza che il lavoro di creatori indispensabili apporta alla nostra spiritualità. Uneac è stato un punto di confluenza, un porto per l’incontro dei diversi, per la formazione di un territorio comune, per la visualizzazione e la lotta per il futuro.
Significa continuare a lavorare a partire dall’universalità di Alicia e Carpentier, dalla metafora di Lezama, dal tratto profondo di Portocarrero, dalla modernità di Porro e dal lavoro musicologico innovativo di Argeliers, dalla profondità intellettuale di Lisandro Otero, dalla poetica impegnata di Retamar e Pablo Armando Fernández. Loro, e altri, hanno messo tempo ed energia, da quel primo Comitato Direttivo presieduto da Guillén, per plasmare la nostra forza; la forza di coloro che successivamente in questi 60 anni, eletti e con l’appoggio e la fiducia dei loro colleghi, hanno integrato gli organi di governo dell’Uneac; la forza della cultura che la Rivoluzione ha creato e ampliato per essere la sua arma principale nella lotta per l’emancipazione, per una nuova coscienza, per un mondo diverso.
Nell’Unione è la forza, è anche la responsabilità di continuare a stimolare i vasi comunicanti tra la direzione del Partito, dello Stato e del Governo, tra il nostro Ministero della Cultura, i Ministeri dell’Educazione, l’ICRT, e gli scrittori e gli artisti, affinché né l’uno né l’altro di noi si privino “volontariamente del piacere e dell’utilità” di trovare nuove vie per la Patria.
L’unione è la forza; significa mettere nella sua giusta dimensione l’immenso capitale di notevoli creatori che hanno dato vita e ragione a questa casa di scrittori e artisti, di 17 e H. Significa continuare a lavorare perché i loro immensi contributi, insieme a quelli delle nuove generazioni, diventino il corpo di quella cultura che “deve essere salvata per prima”: quella che ci rende più liberi, più pieni, quella che rompe con il peso della dipendenza, quella che dice basta a qualsiasi lacerazione del progetto collettivo, quella che è nemica dell’antipatriottismo e attacca il dogmatismo con la forza della ragione. La cultura che non accetta i burocratismi del momento perché capisce che minacciano anche il lavoro rivoluzionario.
La nostra forza è quella di lottare per la continuità, quella che emerge dallo sforzo collettivo del popolo, quella che ha al centro l’essere umano, quella che si impegna per il destino della cultura nazionale. La forza che usa la conoscenza per crescere, per fornire al paese le risorse essenziali, per aprire la strada allo sviluppo a partire dalla spiritualità, la forza che stimola l’emancipazione “da noi stessi e con i nostri sforzi”.
Alla chiusura del nostro nono congresso, Díaz-Canel ci ha chiesto di affrontare i “mulini a vento, tanto vecchi quanto dannosi” che limitano il lavoro culturale di cui ci sentiamo protagonisti. Ci ha chiesto di “rendere l’organizzazione più proattiva alla base”. Ci ha lasciato con due domande su cui dobbiamo continuare a riflettere: “Da quali posizioni?”, “Con quali leadership?”.
Quelle stesse domande si sono moltiplicate solo poche settimane fa, quando commemorando il 60° anniversario delle Parole agli intellettuali ci ha sfidato chiedendo: “Quale sarebbe il ruolo dell’arte e degli artisti per rimanere rivoluzionari in un contesto universale che sembra muoversi sempre in direzione opposta?” “Cosa intendiamo oggi per unità, continuità, sostenibilità, prosperità? Cosa per libertà, sovranità, antimperialismo, anticolonialismo, emancipazione? Quanto può contribuire l’intellighenzia artistica e letteraria all’improrogabile scopo di dare contenuto e bellezza, sostanza e appeal a tutti questi concetti, liberi dalla zavorra del pamphlet? In quali nuovi modi raccontare il quotidiano: il sacrificio, la resistenza, la creatività? Come affrontare la guerra culturale di simboli ed essenze che precede, come i bombardamenti ammorbidenti, le invasioni vere e proprie?”
Ora che arriviamo ai primi sei decenni di vita, un anniversario che, per essere utile e vero, deve continuare a spingerci tra le braccia della gioventù, permearci della sua ribellione, della sua disinvoltura; e raggiungere così quell’abbraccio di generazioni in cui si riverisce e si riconosce il contributo di chi ci ha portato fin qui, e si apprezza e si sostiene lo slancio e l’iniziativa dei nuovi arrivati. Più importante che mai sarà conservare il “profondo spirito democratico”, il “vero spirito fraterno” che Fidel ha riconosciuto in quel congresso fondatore. Senza l’uno o l’altro, potremo contribuire poco al nostro tempo presente, così pieno di sfide e opportunità.
Per un’Unione “ferma” e “profonda”, “spontanea” e “sincera”, con “spirito di dedizione”; per un’Unione con “coscienza del valore del compito che corrisponde a ciascuno di noi”, senza “egoismi”, “personalismi” o “ambizioni”, continueremo a lavorare, come ci chiese Fidel in quel momento. Cuba lo merita, il nostro popolo ne ha bisogno, è il miglior tributo a coloro che ci hanno condotto fin qui; è il nostro impegno di continuità.
Fonte: www.juventudrebelde.cu
Traduzione: Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba