Venezuela: dove sono finiti i sostenitori delle sanzioni USA

DOVE SONO GLI ENTUSIASTI DELLE “SANZIONI” CONTRO IL VENEZUELA?

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Ci sono sempre meno sostenitori delle misure coercitive unilaterali che gli USA mantengono contro la stragrande maggioranza degli attori economici venezuelani, siano essi statali o privati.

Se all’inizio c’era chi all’interno del secondo settore sosteneva che le “sanzioni” fossero un buon meccanismo di pressione per forzare un cambio di regime nel governo del presidente Nicolás Maduro, oggi molti di loro fanno il bilancio degli effetti negativi che il blocco economico, finanziario e commerciale ha avuto nelle loro aziende, confermando quanto, da una posizione nazionale, è sempre stato detto dal chavismo e cioè che l’assedio viola i diritti fondamentali di un intero Paese, e non attacca solo una dirigenza politica.

GLI IMPRENDITORI VENEZUELANI AMMETTONO DI VEDERSI COLPITI DALLE SANZIONI

 

Di recente, l’economista Víctor Álvarez ha condiviso una serie di dati che fanno parte del suo progetto di Pedagogia Economica. Nella pubblicazione espone le conseguenze delle sanzioni USA sulle società private venezuelane, riflesse nella chiusura di conti o nella difficoltà di effettuare bonifici internazionali, di accedere ai finanziamenti e di operare con banche, agenti finanziari e fornitori esteri, per fare alcuni esempi.

L’indagine si basa su una consultazione svolta con i portavoce di società private in Venezuela. Il dato più rilevante riguarda la percezione dell’impatto delle sanzioni: il 63,6% dichiara che le proprie aziende si sono viste danneggiate dal provvedimento USA.

Molto più della metà (57,6%) degli attori economici consultati nel settore privato afferma di avere avuto “difficoltà a effettuare trasferimenti internazionali a fornitori e clienti”, il che non sorprende, tenuto conto delle numerose occasioni in cui lo Stato venezuelano ha denunciato la stessa situazione, con l’aggravante che in quest’ultimo caso, gli ostacoli al pagamento rendono impossibile che tutti i cittadini venezuelani abbiano accesso a beni e servizi fondamentali, siano essi in ambito alimentare, sanitario, dei trasporti, ecc.

Il settore privato identifica anche l’eccessiva osservanza delle sanzioni come uno dei maggiori problemi nell’interazione con il sistema finanziario e commerciale internazionale. Ciò implica tutte le azioni che i fornitori esterni intraprendono per non negoziare con società venezuelane, anche quando non siano direttamente collegate al governo, per paura di rappresaglie da parte del Dipartimento del Tesoro USA.

In questo senso vanno ricordate le parole della relatrice speciale delle Nazioni Unite, Alena Douhan, che già nel suo rapporto preliminare sulla situazione in Venezuela ha messo in guardia su questo fenomeno:

Il Relatore Speciale sottolinea che l’applicazione della giurisdizione extraterritoriale a cittadini e società di Stati terzi per la cooperazione con autorità pubbliche, cittadini e società del Venezuela, e le presunte minacce a detti Stati terzi, non si giustifica in virtù del diritto internazionale e aumenta i rischi di eccesso di adempimento delle sanzioni. Il Relatore Speciale osserva con preoccupazione le presunte minacce a società private e donatori, soci e organizzazioni umanitarie di paesi terzi.

Secondo l’indagine di Álvarez, a seguito di tale eccesso di adempimento delle sanzioni, il 63,6% delle società private venezuelane ha dovuto rispettare requisiti aggiuntivi per provare l’origine dei fondi davanti alle banche estere; il 42,4% ha sofferto ritardi o rinvii di ordini per prodotti e servizi; il 39,4% è stato oggetto di chiusure di conti internazionali e il 36,4% ha registrato cancellazioni di ordini di acquisto di materie prime.

DENUNCE CHE RISULTANO FAMIGLIARI

 

Ancora una volta, ciascuna di queste osservazioni è fin troppo familiare. Da anni le istituzioni e le società pubbliche venezuelane ne soffrono e le espongono al mondo.

Uno dei casi che ha risuonato di più è stato quello degli ostacoli imposti dalla banca portoghese Novo Banco (per la maggior parte di proprietà di capitali privati USA) per impedire che lo Stato venezuelano accedesse a parte degli 1,7 miliardi di dollari che ha congelati all’estero per acquistare vaccini e medicinali nel quadro della pandemia di covid-19. La transazione finanziaria è stata bloccata anche quando l’Organizzazione Panamericana della Sanità fungeva da intermediario per il Venezuela.

Adesso il settore privato lo ammette, molto probabilmente a causa della certezza dell’inefficienza delle sanzioni come strategia per uscire, incostituzionalmente, dal governo del presidente Maduro. Inoltre, le si deve essere reso insostenibile continuare a sopportare gli ostacoli e gli alti costi per fare affari a livello internazionale.

La pubblicazione di Álvarez conclude con alcune raccomandazioni dell’ex presidente della Fedecamaras, Jorge Botti, per correggere quelli che chiamano “effetti collaterali” delle sanzioni. Prima, Botti ammette che il mondo non è più unipolare e che i membri della crescente lista di economie nazionali sanzionate attualmente da USA ed Unione Europea collaborano tra loro per poter svolgere operazioni finanziarie attraverso canali alternativi al sistema controllato dal dollaro.

Tra le raccomandazioni che l’ex presidente Botti fa, evidenzia quella di chiedere all’alto comando del governo USA, nello specifico alla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato o al Dipartimento del Tesoro, che diano un chiaro messaggio “sulla volontà di allentare le sanzioni” e che riconoscono che si è avuto un “effetto indesiderato” delle sanzioni verso il settore privato. “Penso che manderebbe un messaggio a tutti gli attori economici e questo non l’abbiamo visto”, dice Botti.

Le altre due raccomandazioni hanno a che fare con la volontà di evitare che le società private venezuelane siano oggetto dell’eccessiva osservanza delle sanzioni.

SI IMPONGONO LE RICHIESTE DEL GOVERNO MADURO: TOGLIERE IL BLOCCO

 

I portavoce del settore privato arrivano in ritardo a una mediazione che il governo di Nicolás Maduro conduce quasi dal momento stesso in cui è iniziata la guerra economica contro il Paese. Questo 2022, in particolare, il Venezuela è riuscito a riprendere i contatti con gli USA e a stabilire un’agenda di colloqui nei suoi termini, dopo aver trascorso tre anni a disarmare il governo artificiale di Juan Guaidó, il cardine delle strategie della Casa Bianca per delegittimare le istituzioni venezuelane e che è servito a giustificare le sanzioni.

I negoziati con Washington si sono rafforzati quando quest’ultima si è vista danneggiata dall’aumento dei prezzi del carburante, prodotto della guerra che sta conducendo contro la Russia, e ha richiesto fare eccezioni sul fronte caraibico per ricevere forniture di petrolio.

Sebbene il sottosegretario per l’emisfero occidentale, Brian A. Nichols, lo abbia smentito, The Economist afferma che l’amministrazione Biden sosterrà un incontro con il governo venezuelano a Trinidad y Tobago per continuare i colloqui sulla revoca delle sanzioni. La pubblicazione sostiene che la vicepresidente Delcy Rodríguez e il ministro degli Esteri Félix Plasencia parteciperanno all’incontro e che un altro tema di discussione sarebbe la riapertura dell’ambasciata USA a Caracas.

Indipendentemente dal fatto che l’incontro abbia luogo, dobbiamo tenere presente che è stato il governo USA ad inviare una delegazione, in marzo, per proporre accordi energetici al presidente Maduro, ed è il governo USA che ha recentemente dichiarato a Juan Guaidó che i negoziati con il capo dello Stato venezuelano sono “la via migliore per il ritorno alla democrazia”.

Cambiare il panorama economico del Venezuela non è più solo una questione fondamentale per il governo Maduro. Le denunce delle società private venezuelane e l’urgenza dei funzionari USA nei negoziati dimostrano che non c’è modo di continuare a sostenere, per molto tempo, il regime delle sanzioni.


¿DÓNDE ESTÁN LOS ENTUSIASTAS DE LAS “SANCIONES” CONTRA VENEZUELA?

 

Cada vez son menos los defensores de las medidas coercitivas unilaterales que Estados Unidos mantiene contra la gran mayoría de actores económicos venezolanos, sean estos estatales o privados.

Si en un principio había quienes dentro del segundo sector sostenían que las “sanciones” eran un buen mecanismo de presión para forzar un cambio de régimen en el gobierno del presidente Nicolás Maduro, hoy muchos de ellos hacen balance de los efectos negativos que el bloqueo económico, financiero y comercial ha tenido en sus empresas, confirmando lo que desde una postura nacional siempre se ha dicho en el chavismo, y es que el cerco viola los derechos fundamentales de un país entero, y no solo ataca a una dirigencia política.

LOS EMPRESARIOS VENEZOLANOS ADMITEN VERSE GOLPEADOS POR LAS SANCIONES

Recientemente, el economista Víctor Álvarez compartió una serie de datos que forman parte de su proyecto Pedagogía Económica. En la publicación, expone las consecuencias de las sanciones estadounidense en las empresas privadas venezolanas, reflejadas en el cierre de cuentas o la dificultad para hacer transferencias internacionales, de acceder a financiamiento y de operar con los bancos, agentes financieros y proveedores del extranjero, por poner algunos ejemplos.

La investigación se sustenta en una consulta realizada a voceros de empresas privadas en Venezuela. El dato más destacado es sobre la percepción que tienen ellos del impacto de las sanciones: el 63,6 % declara que sus empresas se han visto afectadas por la medida estadounidense.

Mucho más de la mitad (57,6 %) de los actores económicos consultados en el sector privado dicen que han “tenido dificultades para realizar transferencias internacionales a proveedores y clientes”, lo cual no resulta extraño, teniendo en cuenta las múltiples ocasiones en la que el Estado venezolano ha denunciado la misma situación, con el agravante de que en ese último caso, los obstáculos para pagar significan la imposibilidad de que todos los ciudadanos venezolanos accedan a bienes y servicios fundamentales, ya sea en el área de alimentación, salud, transporte, etcétera.

El sector privado también identifica al sobrecumplimiento de las sanciones como uno de los mayores problemas en la interacción con el sistema financiero y comercial internacional. Esto implica todas las acciones que proveedores externos hacen para no negociar con empresas venezolanas, aun cuando no estén directamente relacionadas con el gobierno, por temor a represalias del Departamento del Tesoro de Estados Unidos.

En ese sentido, hay que recordar las palabras de la relatora especial de las Naciones Unidas, Alena Douhan, que en su informe preliminar sobre la situación en Venezuela ya advertía ese fenómeno:

El Relator Especial subraya que la aplicación de la jurisdicción extraterritorial a nacionales y empresas de terceros Estados por la cooperación con las autoridades públicas, nacionales y empresas de Venezuela, y las supuestas amenazas a dichos terceros Estados, no se justifica en virtud del derecho internacional y aumenta los riesgos de exceso de cumplimiento de las sanciones. El Relator Especial observa con preocupación las presuntas amenazas a empresas privadas y a donantes, socios y organizaciones humanitarias de terceros países.

Según la investigación de Álvarez, producto de dicho sobrecumplimiento de las sanciones, el 63,6 % de las empresas privadas venezolanas han tenido que cumplir con exigencias adicionales para demostrar el origen de los fondos ante bancos extranjeros; el 42,4 % ha sufrido demoras o diferimientos de pedidos de productos y servicios; el 39,4 % ha sido objeto de cierre de cuentas internacionales y el 36,4% ha registrado cancelaciones de órdenes de compra de materias primas.

DENUNCIAS QUE RESULTAN FAMILIARES

De nuevo, cada uno de esos señalamientos resulta demasiado familiar. Desde hace años que las instituciones y empresas públicas venezolanas las vienen padeciendo y exponiendo ante el mundo.

Uno de los casos que más resonó fue el de los obstáculos que impuso el banco portugués Novo Banco (en su mayoría propiedad de capital privado estadounidense) para evitar que el Estado venezolano accediera a parte de los 1,7 mil millones de dólares que tiene congelados en el extranjero para comprar vacunas y medicamentos en el marco de la pandemia de covid-19. La transacción financiera fue bloqueada aun cuando la Organización Panamericana de la Salud estaba sirviendo de intermediario de Venezuela.

Ahora el sector privado lo admite, muy probablemente debido a que tiene la certeza de la ineficiencia de las sanciones como estrategia para salir, inconstitucionalmente, del gobierno del presidente Maduro. Además, se le debe hacer insostenible seguir soportando las trabas y los altos costos para hacer negocios a nivel internacional.

La publicación de Álvarez concluye con unas recomendaciones de la mano del expresidente de Fedecámaras, Jorge Botti, para corregir lo que ellos denominan “efectos colaterales” de las sanciones. Antes, Botti admite que el mundo ya no es unipolar y que los integrantes de la creciente lista de economías nacionales actualmente sancionadas por Estados Unidos y la Unión Europea colaboran entre sí para poder hacer operaciones financieras a través de vías alternativas al sistema controlado por el dólar.

Entre las recomendaciones que el ex presidente Botti hace, destaca la de pedir a los altos mandos del Gobierno de Estados Unidos, específicamente la Casa Blanca, el Departamento de Estado o el Departamento del Tesoro, que den un mensaje claro “sobre el deseo de flexibilizar las sanciones” y que estos reconozcan que ha habido un “efecto indeseado” de las sanciones hacia el sector privado. “Creo que eso lanzaría un mensaje para todos los actores económicos y eso no lo hemos visto”, dice Botti.

Las otras dos recomendaciones tienen que ver con el deseo de evitar que las empresas privadas venezolanas sean objeto del sobrecumplimiento de las sanciones.

SE IMPONEN LAS EXIGENCIAS DEL GOBIERNO DE MADURO: LEVANTAR EL BLOQUEO

Los voceros del sector privado están llegando tarde a una mediación que el gobierno de Nicolás Maduro lleva en marcha casi desde el mismo momento en que comenzó la guerra económica contra el país. Este 2022 en particular, Venezuela logró retomar el contacto con Estados Unidos y establecer una agenda de conversaciones bajo sus términos, luego de pasar tres años desarmando al gobierno artificial de Juan Guaidó, plato fuerte del conjunto de estrategias de la Casa Blanca para quitarle legitimidad a las instituciones venezolanas y que sirvió de justificativo para las sanciones.

Las negociaciones con Washington cobraron mayor fuerza cuando este último se vio afectado por el alza de precios de combustibles, producto de la guerra que lleva contra Rusia, y requirió hacer excepciones en el frente caribeño para recibir suministros de petróleo.

Aunque el subsecretario para el hemisferio occidental, Brian A. Nichols, lo desmintió, The Economist dice que la Administración Biden sostendrá un encuentro con el gobierno venezolano en Trinidad y Tobago para seguir las conversaciones sobre el levantamiento de sanciones. La publicación sostiene que a la reunión acudiría la vicepresidenta Delcy Rodríguez y el canciller Félix Plasencia, y que otro tema de discusión sería la reapertura de la embajada de EEUU en Caracas.

Se cumpla o no con la reunión, hay que tener en cuenta que fue el gobierno estadounidense el que envió una delegación en marzo para proponer acuerdos energéticos al presidente Maduro, y es el gobierno estadounidense el que le dijo hace poco a Juan Guaidó que las negociaciones con el jefe de Estado venezolano son “el mejor camino para el retorno a la democracia”.

Cambiar el panorama económico de Venezuela ya no es solo un asunto fundamental para el gobierno de Maduro. Las quejas de las empresas privadas venezolanas y el apremio de funcionarios estadounidenses en las negociaciones demuestran que no hay forma de seguir sosteniendo el régimen de sanciones por mucho tiempo.

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