Geraldina Colotti
Si può, a buon diritto, considerarlo un gesto “storico”, l’abbraccio tra i rappresentanti della Repubblica bolivariana del Venezuela e quelli del governo colombiano, alla frontiera tra i due paesi. Una frontiera lunga de 2219 km separa i territori di entrambe le nazioni, segnata da consuetudini e ferite di due paesi fratelli, che il Libertador Simon Bolivar avrebbe voluto unire nel sogno di una Patria Grande
Le ferite più recenti sono quelle inflitte al popolo venezuelano dalle misure coercitive unilaterali, che il governo di Ivan Duque, principale vassallo di Trump nella regione, spinse fino all’estremo, riconoscendo “presidente a interim” del Venezuela un pagliaccio autoproclamato come Juan Guaidó. Il 23 febbraio del 2019, si prestò anche al tentativo di invasione del Venezuela, mascherato da “aiuto umanitario” nel quale i golpisti capitanati da Guaidó, tentarono di entrare dai ponti di frontiera che uniscono il Nord di Santander, in Colombia, con lo stato Tachira, in Venezuela.
Molti dei protagonisti della resistenza popolare che respinse l’aggressione con l’unione di forze civico e militari, a cominciare dal governatore del Tachira, Freddy Bernal, erano presenti il 26 all’apertura della frontiera. E l’ingresso dei primi camion, sormontati dalle bandiere dei due paesi, hanno avuto un impatto simbolico analogo a quello provocato dalla bandiera di Bolivar, a cui Petro ha reso onore durante l’assunzione d’incarico da presidente, il 7 agosto del 2022.
Annunciando subito dopo la ripresa delle relazioni bilaterali con il Venezuela, Petro aveva definito “un grave errore da non ripetere” la chiusura della frontiera, decisa in un primo tempo, nell’agosto del 2015, dal governo bolivariano come misura provvisoria e protettiva contro i ripetuti tentativi destabilizzanti provenienti dalla Colombia. Allora, si era di fronte a una nuova escalation di attacchi, infiltrazioni paramilitari e uso della grande criminalità, sia nelle zone di frontiera che nelle grandi metropoli venezuelane, per compiere attentati.
Ai ripetuti gesti distensivi del governo Maduro, Duque ha poi risposto dichiarando “illegittimo” il governo bolivariano e trasformando quella che un tempo era considerata una delle frontiere più vive e dinamiche dell’America Latina, in un territorio di scontro e di traffici illegali, e impegnando il governo Maduro in una capillare opera di controllo e bonifica, che non è mai venuta meno. Intanto, sono ripresi i contatti tra i due ministri della Difesa, mentre le diplomazie dei due paesi sono già al lavoro. Il Venezuela ha accettato di essere nuovamente garante del processo di pace in Colombia, che Petro ha deciso di rilanciare con i guerriglieri dell’Eln, mantenendo una delle sue più importanti promesse elettorali.
Il nuovo ambasciatore colombiano in Venezuela, il navigato politico Armando Benedetti, già senatore e presidente del Senato, prima vicino a Uribe, poi a Santos e infine a Petro, ha sostenuto che la riapertura della frontiera potrebbe portare a un volume di scambi pari a 10 miliardi di dollari, con grande beneficio per gli oltre 8 milioni di colombiani che vivono al confine. Ha anche aggiunto, però, che le cose devono procedere con cautela, perché il disastro compiuto dalla banda dell’autoproclamato e di suoi complici colombiani è stato enorme, e si tratta “di ricostruire una relazione da zero”.
La nuova politica economica di Petro, spinto dagli esponenti più radicali della sua Coalizione – il Pacto Historico – tende a favorire la sovranità alimentare, sgravando i piccoli contadini dai costi derivati dall’importazione di prodotti, acquistati da alcune grandi imprese multinazionali che ne avevano il monopolio. La creazione di imprese miste a pari dignità con il Venezuela, che ha una grande industria petrolchimica, porterebbe invece a un abbassamento dei costi e a un vantaggio notevole per i colombiani. E, infatti, le inchieste dicono che l’80% dei cittadini ha salutato con favore la riapertura della frontiera, dalla quale sono già transitate, in un solo giorno, oltre 30.000 persone.
“L’interscambio e la cooperazione tra i nostri popoli ripartono col piede giusto”, ha detto Nicolás Maduro, che ha definito quella della riapertura della frontiera una giornata “storica, epocale”.
Ma lo scoglio maggiore resta quello delle “sanzioni”, non a caso denunciate anche da Petro alla 77 Assemblea ONU.
“Preferisco mille volte 20.000 medici cubani a un solo soldato statunitense. E tu?”, ha scritto Petro in un tweet, riassumendo lo spirito degli interventi effettuati all’ONU dai governanti progressisti dell’America Latina.