Lula, dove il popolo ha bisogno di lui

Díaz-Canel si è congratulato con Lula dopo la vittoria alle elezioni presidenziali in Brasile, che ha descritto come una vittoria per l’unità, la pace e l’integrazione latinoamericana e caraibica.

Il Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba e Presidente della Repubblica, Miguel Díaz-Canel Bermúdez, si è congratulato con il neoeletto Presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, e ha celebrato questa grande vittoria a favore dell’unità, della pace e dell’integrazione latinoamericana e caraibica.

“Cuba si congratula con te, caro compagno. Hanno ritardato la tua vittoria con metodi atroci, ma non hanno potuto impedirti di vincere con il voto del popolo. Torna il Partito dei Lavoratori del Brasile, torna la giustizia sociale”, ha scritto Díaz-Canel su Twitter.

È stata un finale combattut0, ma Luiz Inácio Lula da Silva, il leader dei lavoratori con un sostegno a favore dei più poveri, dell’onestà e della perseveranza, ha superato innumerevoli ostacoli per raggiungere il primo posto dove il popolo ha bisogno di lui.

Dopo un primo turno in cui ha superato il suo rivale, l’attuale presidente Jair Bolsonaro, di cinque punti, nel percorso finale per raggiungere questo 30 ottobre ha consolidato la sua posizione, in circostanze in cui il suo avversario ha usato tutte le risorse che poteva trovare, indipendentemente dal fatto che fossero legali o illegali.

Bolsonaro, in dirittura d’arrivo, ha inventato un programma per aiutare i più poveri, che ha chiamato Auxilio Brasil (Aiuto Brasile), che è diventato uno strumento politico per cercare voti e ha rafforzato la sua immagine all’interno del settore più conservatore della Chiesa evangelica.

Nell’ultimo dibattito faccia a faccia, Lula ha rimproverato il suo avversario, chiedendo spiegazioni sul perché usasse il meccanismo degli aumenti salariali all’ultimo minuto, quando, in realtà, nei quattro anni del suo governo non c’è stato alcun aumento del salario minimo, aspetto ben diverso da quando Lula era presidente, e c’è stata una “crescita reale del 74%”.

Bolsonaro, con le sue ultime misure, ha attirato una buona parte di nuovi elettori, che hanno trasformato lo scontro finale in uno scenario più polarizzato, e in cui alcuni sondaggi lo davano addirittura per vincitore.

Il trionfo di Lula porta il leader sindacale nel luogo dove il popolo lo vuole e dove l’America Latina e il mondo hanno bisogno di lui.


“Il Brasile è tornato”, Lula batte Bolsonaro. Vince il mondo multipolare

La Redazione de l’AntiDiplomatico

Luiz Inácio Lula da Silva sarà di nuovo presidente del Brasile dal 1° gennaio del prossimo anno, dopo aver vinto il secondo turno delle elezioni tenutesi oggi. Secondo i dati diffusi dal Tribunale Supremo Elettorale (TSE), il 77enne leader del Partito dei Lavoratori (PT) ha ottenuto il 50,9% dei voti contro il 49,1% del suo avversario, l’attuale presidente Jair Bolsonaro, che correva come candidato del Partito Liberale. Al primo turno, tenutosi il 2 ottobre, Lula aveva ottenuto il 48,43% e Bolsonaro il 43,2%.

In questo modo, Lula tornerà a occupare la carica che ha ricoperto nel 2003 e nel 2010, quando ha governato il gigante sudamericano dopo aver vinto due elezioni consecutive.

A 77 anni, l’esponente della sinistra sarà il presidente più anziano a entrare in carica e il primo brasiliano a entrare nel Palazzo del Planalto per la terza volta, dopo aver guidato il Paese tra il 2003 e il 2010.

Sebbene la vittoria di Lula consolidi la svolta a sinistra dell’America Latina, il margine ridotto, il più ristretto dal ritorno della democrazia in Brasile, riflette un Paese profondamente diviso.

Come previsto l’attuale presidente Bolsonaro era inizialmente in testa ai conteggi, ma con l’arrivo dei voti provenienti dagli Stati poveri del nord e del nord-est Lula è passato in vantaggio e ha ottenuto una vittoria molto importante per il Brasile e non solo.

L’astensione si è attestata al 20,55%.

La campagna elettorale è stata anche scossa all’ultimo minuto da un incidente registrato in video sabato, in cui una deputata pro-Bolsonaro ha inseguito un giornalista di colore sotto la minaccia di una pistola dopo una discussione sulle elezioni.

Ma oggi, oltre a decidere la presidenza, in Brasile sono stati eletti dodici governatori. Nello Stato di San Paolo, l’ex ministro delle infrastrutture del governo di Bolsonaro, Tarcísio Gomes de Freitas, membro del partito di destra dei Repubblicani, ha vinto sul candidato del PT, Fernando Haddad. Nel frattempo, l’esponente di centrodestra Eduardo Leite, membro del Partito della socialdemocrazia brasiliana, ha battuto un altro ex ministro di Bolsonaro, Onyx Lorenzoni, ex capo di gabinetto dell’attuale governo, nello Stato di Rio Grande do Sul.

Nel frattempo, nello Stato di Bahia, il petista Jerónimo Rodrigues ha battuto Antonio Carlos Magalhaes Neto, che correva per la coalizione di destra Union.

La vittoria di Lula non solo chiude quattro anni di governo di Bolsonaro, ma simboleggia anche la sua spettacolare rinascita, dopo che nel 2018 era stato imprigionato e gli erano stati negati i diritti politici, in seguito alla sua condanna per corruzione nell’ambito dell’Operazione Lava Jato, una sorta di Mani Pulite in salsa brasiliane, pesanti ombre comprese.

È ormai lontana l’immagine del leader del Partito dei Lavoratori (PT) che si rifugia nel sindacato dei metalmeccanici di Sao Bernardo do Campo, alla periferia di San Paolo, al quale si è iscritto a soli 22 anni e che ha finito per presiedere.

Migliaia di persone accorsero allora presso la sede sindacale a sostegno di uno dei più grandi leader politici dell’America Latina, al grido di: “Non arrenderti, non arrenderti”.

Lula poi decise di consegnarsi alla giustizia poiché ha sempre difeso la sua innocenza e denunciato una cospirazione per impedire il suo ritorno al Planalto nelle elezioni di quell’anno, in cui era il grande favorito. Con il leader di sinistra in carcere, Bolsonaro riuscì ad ottenere la presidenza sconfiggendo il delfino di Lula, Fernando Haddad.

Lula fu condannato dall’allora giudice Sergio Moro, che lo estromise nel 2018 dalla partecipazione alle elezioni in cui era il grande favorito. Dopo la vittoria, Bolsonaro nomino ministro della Giustizia proprio il giudice Sergio Moro.

L’ex leader sindacale ha sempre negato le accuse e ha sostenuto di essere vittima di un complotto ordito per impedirgli di candidarsi alle elezioni. La sua tesi è stata confermata quando il sito web The Intercept Brazil ha diffuso le conversazioni private tra Moro e i pubblici ministeri nel caso Lava Jato.

Nel novembre 2019 è stato rilasciato per una questione procedurale e, recuperati i diritti politici, ha preparato la sua sesta candidatura presidenziale mentre la giustizia lo assolveva o annullava i quasi 20 processi a suo carico.

“Vogliamo tornare perché nessuno osi più sfidare la democrazia e perché il fascismo sia riportato nelle fogne della storia, da dove non sarebbe mai dovuto uscire”, ha affermato Lula lo scorso maggio quando ha confermato la sua candidatura.

Ripercussioni internazionali

Il ritorno di Lula alla presidenza del Brasile, gigante sudamericano e membro fondatore del gruppo BRICS, ha un significato che travalica i confini del paese e avrà ripercussioni a livello internazionale. Come testimonia ad esempio il messaggio di congratulazioni inviato dal presidente boliviano Luis Arce che evidenzia come questa vittoria “rafforza la democrazia e l’integrazione latinoamericana”.

Con Lula infatti vince il mondo multipolare. Quindi in America Latina ci sarà un nuovo impulso all’integrazione regionale su basi paritarie e solidaristiche come ai tempi di Chavez, Fidel Castro e Nestor Kirchner, a cominciare dalla riattivazione della Celac.

Ma non solo. Il Brasile potrebbe compiere una definitiva svolta filo-russa. Questo è quanto sostiene Paulo Sergio Wrobel, professore di relazioni internazionali alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro: “Lula è stato piuttosto critico nei confronti dell’Ucraina e di Zelensky ed ha espresso simpatia per il presidente Putin. Penso che il governo di Lula possa compiere svolta filo-russa. Dipenderà da chi guiderà la politica estera brasiliana”.

In un’intervista rilasciata qualche mese fa alla rivista Time, Lula espresse parole nette sull’Ucraina che non lasciano spazio ad alcuna ambiguità: “Zelensky voleva la guerra. Se non avesse voluto la guerra, avrebbe negoziato un po’ di più”.

Oltre alle responsabilità del regime di Kiev Lula criticava anche Biden per non “aver preso la decisione giusta”. “Gli Stati Uniti hanno un peso molto grande e avrebbero potuto evitare questo conflitto, non incoraggiarlo. Avrebbe potuto dire di più, avrebbe potuto partecipare di più, Biden avrebbe potuto prendere un aereo e atterrare a Mosca per parlare con Putin. Questo è l’atteggiamento che ci si aspetta da un leader”.

Nel quadro dell’intervista, Lula evidenziava che “anche gli Stati Uniti e l’UE sono colpevoli”. “Qual è stato il motivo dell’invasione dell’Ucraina? NATO? Quindi USA ed Europa avrebbero dovuto dire: ‘L’Ucraina non aderirà alla NATO’. Questo avrebbe risolto il problema”, denunciava, aggiungendo che l’UE avrebbe potuto far notare che “ora non è il momento per l’Ucraina di unirsi” al blocco comunitario. “Non dovevano incoraggiare il confronto”, sosteneva Lula che aveva evidentemente inquadrato le motivazioni che hanno condotto all’attuale situazione con il mondo a rischio di una guerra nucleare.

Lula ritiene quindi “urgente e necessario” creare una nuova governance mondiale perché “l’ONU di oggi non rappresenta più nulla, non è presa sul serio dai governanti”.

In ultima analisi, rispetto ai rapporti del Brasile con gli altri paesi, Lula intende recuperare una politica estera sovrana e attiva in un’ottica di integrazione regionale, nonché con i Paesi BRICS, i Paesi africani, l’Unione Europea e gli Stati Uniti, per espandere il commercio estero e la cooperazione tecnologica.

Con Lula al Planalto il gigante sudamericano torna sulla scena internazionale.

“Il Brasile è tornato, il Brasile è un Paese troppo grande per relegarlo al triste ruolo di paria nel mondo. Riconquisteremo la credibilità e la stabilità del Paese. (…) Il Brasile è la mia causa, il mio popolo e combattere la miseria è la ragione per cui lotterò per il resto della mia vita”, ha tuonato Lula nel comizio tenuto dopo la vittoria.


Lula, il Brasile ricomincia

Fabrizio Casari

Ignacio Lula Da Silva ha vinto il ballottaggio elettorale contro il presidente uscente, Jair Bolsonaro. Lula è stato votato da 80 milioni di brasiliani e la comunità internazionale ha immediatamente espresso le sue felicitazioni, oltre che aver tirato un sospiro di sollievo per l’uscita dal Planalto di un pazzo fascista e negazionista. Bolsonaro, peraltro, non sembra ancora deciso a riconoscere l’esito del voto, ufficialmente per verificare il conteggio, ma in realtà discute con i militari se vi siano o no opzioni golpiste possibili. Difficile che la cupola castrense acceda ad un intervento che costerebbe caro sotto tutti i punti di vista, anche perché la sua ipoteca sul Paese può essere messa in discussione fino a un certo punto da Lula, i cui margini di manovra restano limitati anche nei confronti dello schieramento parlamentare dove  Bolsonaro dispone di 99 seggi contro i 79 di Lula).

Quella di Lula è stata una campagna elettorale difficile, caratterizzata da numerose aggressioni sistematiche della destra nei confronti degli elettori del PT, al punto dall’aver reso complicata l’iniziativa elettorale nelle diverse province. Anche sotto il profilo delle risorse la sfida era disperata: sotto la guida di Steve Bannon, il guru fascista di Trump, che ha riempito di fake news la propaganda elettorale, cosciente che non era possibile rivendicare le porcherie di Bolsonaro, che ha fermato la crescita economica del Brasile dal 2014 ed ha inondato il mercato degli ultimi con altri 70 milioni di disoccupati, per non parlare del triste record di paese primo al mondo per morti di Covid causati dalla politica ignorante e negazionista del suo presidente. Per la vittoria di Bolsonaro sono stati ben investiti dieci miliardi di dollari, ma non sono stati sufficienti a produrre altro se non una sconfitta di misura per l’ormai ex-presidente. Anche per questa evidente sproporzione di mezzi e questi due modi opposti di intendere il confronto politico, quella di Lula è una vittoria storica sotto tutti i punti di vista.

I riflessi della vittoria

La sua elezione è un fatto di straordinaria importanza per il Brasile, per l’intera America Latina e persino per gli equilibri internazionali. Per il Brasile perché restituisce la speranza ad un paese flagellato da anni di bolsonarismo che hanno comportato una autentica tragedia economica e sociale. Dal 2014 l’economia brasiliana, una delle più importanti del mondo, non cresceva. Oltre settanta milioni di brasiliani sono stati licenziati, espulsi dal circuito lavorativo ed hanno finito per aumentare poderosamente il numero dei brasiliani al di sotto della soglia di povertà. Tutto questo in un paese che, insieme al Sudafrica, presenta la più grande distanza tra chi possiede tutto e chi non ha nulla, dove nell’indifferenza generale vivono e prosperano 200 miliardari brasiliani che cumulano un reddito pari a quello di 210 milioni di loro compatrioti.

Per la rinascita del paese Lula ripropone le assi che risultarono strategiche per il successo dei primi suoi due mandati presidenziali, nei quali ridusse di otto milioni il numero delle persone senza cibo e senza casa. Lo farà assegnando un ruolo primario alle politiche pubbliche, alla guerra alla povertà che vedrà a tal fine anche la concertazione con le forze economiche, le organizzazioni sociali e i partiti, ma senza che questo possa impedire l’attivazione del nuovo contratto sociale che Lula propone, ovvero tetto, cibo, salari, uguaglianza di genere, cultura e fine della violenza. Una crescita economica condivisa tra tutta la popolazione, perché è così che dovrebbe funzionare l’economia, come strumento per migliorare la vita di tutti, non per perpetuare le disuguaglianze.

Nette e senza possibilità di errori d’interpretazione le sue parole al riguardo appena proclamato vincitore: “La ruota dell’economia tornerà a girare, con la creazione di posti di lavoro, la rivalutazione dei salari e la rinegoziazione del debito delle famiglie che hanno perso il loro potere d’acquisto. La ruota dell’economia girerà di nuovo con i poveri come parte del bilancio. Con il sostegno ai piccoli e medi produttori rurali, responsabili del 70% del cibo che arriva sulle nostre tavole. Con tutti gli incentivi possibili per i micro e piccoli imprenditori affinché mettano il loro straordinario potenziale creativo al servizio dello sviluppo del Paese”.

E’ una notizia importantissima anche per il continente latinoamericano. Perché un Brasile in mano a Lula può assumere un ruolo di motore politico per una nuova stagione dell’integrazione latinoamericana. Il Brasile è in grado – per peso politico, economico e militare, per importanza geostrategica e per rilievo internazionale – di rappresentare un forte elemento di coesione per i governi socialisti e progressisti latinoamericani e, in contemporanea, uno stop al golpismo strisciante che sembra animare senza sosta le politiche statunitensi verso il continente.

Lula può infondere nella cosiddetta sinistra light di Arce, Fernandez, Petro, Castillo coraggio politico e visione d’insieme, offrendogli l’opportunità di trattare congiuntamente e non da soli la relazione possibile con le pretese imperiali che gli consenta di concentrare le loro attenzioni sull’agenda dei loro rispettivi paesi e su quella continentale e non sulle richieste di posizionamento politico contro i governi socialisti che vengono da Washington. Intanto, come primo effetto, la sua elezione celebra il definitivo funerale del Gruppo di Lima mentre rappresenta un segnale importante per il rafforzamento della CELAC e dell’UNASUR.

L’elezione di Lula è una notizia importante anche per gli assetti internazionali. Il peso specifico politico ed economico del Brasile sarà esercitato con maggior vigore politico per potenziare il processo di unità dei BRICS, il che comporta un maggiore peso dei paesi emergenti sullo scacchiere globale e, di converso, una ulteriore riduzione per le politiche occidentali che, con sanzioni e mercati alterati da decisioni politiche a tutto vantaggio di USA e Europa, tentano di impedire il necessario passaggio dall’unipolarismo al multipolarismo. Allo stesso tempo un ruolo propositivo del gigante carioca favorirà nuove adesioni alle alleanze regionali, soprattutto in America Latina ma anche in Africa, dove Brasilia fino all’arrivo del vergognoso Bolsonaro aveva sostenuto un ruolo importante.

Per dirla con le parole del neopresidente brasiliano, “abbiamo nostalgia di quel Brasile sovrano, che parlava alla pari con i Paesi più ricchi e potenti. E che allo stesso tempo ha contribuito allo sviluppo dei Paesi più poveri. Il Brasile che ha sostenuto lo sviluppo dei Paesi africani attraverso la cooperazione, gli investimenti e il trasferimento di tecnologia. Questo ha funzionato per l’integrazione del Sud America, dell’America Latina e dei Caraibi, ha rafforzato il Mercosur e ha contribuito a creare il G-20, l’Unasur, la CELAC e i BRICS… oggi diciamo al mondo che il Brasile è tornato. Che il Brasile è troppo grande per essere relegato in questo triste ruolo di paria mondiale”.

La nuova rotta

Un forte cambio di rotta, dunque,  che annuncia un nuovo protagonismo di Brasilia, come sottolineato nel suo primo discorso da Presidente: “Ci batteremo ancora una volta per una nuova governance globale, con l’inclusione di un maggior numero di Paesi nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la fine del diritto di veto, che mina l’equilibrio tra le nazioni”.

Infine, ultimo ma non da ultimo, il voto di ieri è, seppure in un quadro di Paese diviso, il trionfo della giustizia popolare sulla persecuzione politico-giudiziaria che gli toccò subire con oltre 500 giorni di carcere. Venne attuata dal giudice Moro, ma costruita su input della Casa Bianca e dei fazenderos brasiliani, ansiosi di mettere le mani sull’Amazzonia, di liberarsi del leader più amato a livello popolare e delle politiche egualitarie e perequatrici del suo governo che sottrassero 8 milioni di brasiliani alla fame. L’ex giudice Moro è ora riparato al Senato, eletto dalla destra bolsonarista come risarcimento per lo sporco lavoro fatto.

Da ieri il Brasile ha voltato pagina. La democrazia espelle il virus del bolsonarismo e si ricolloca in forma armonica tra il Planalto e il Cristo del Corcovado. Per un paese grande come un continente comincia un’altra storia per un’altra fase, con altri protagonisti e altri sogni. L’indecenza, da ieri, indossa l’abito dell’ex.

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