Non sbagliamoci ancora: la nostra fragile democrazia continua da essere a rischio. Ricordo il governo di João Goulart nei primi anni ’60 e le sue dichiarazioni che avrebbe attuato riforme fondamentali. Le leghe Contadine sollevavano i nord-orientali. I sindacati difendevano con ardore i diritti acquisiti durante la presidenza Vargas. L’Unione Nazionale degli Studenti era temuta per il suo potere di mobilitazione della gioventù.
Era ovvia l’inquietudine dell’élite brasiliana. Cominciò a cospirare presso l’Istituto Brasiliano di Azione Democratica, l’Istituto di Ricerche e Studi Sociali e altre organizzazioni fino a quando esplose nelle Marce della Famiglia con Dio per la Libertà. Tuttavia, il Partito Comunista Brasiliano rassicurava coloro che sentivano l’odore del colpo di stato: si credeva che Jango facesse affidamento su una piattaforma militare nazionalista.
Ma nel marzo 1964 ci fu il colpo di stato militare. Jango fu deposto; la Costituzione, in frantumi; le istituzioni democratiche, messe a tacere; e Castelo Branco assunse il potere senza che i golpisti sparassero un colpo. Dov’erano “le masse” impegnate nella difesa della democrazia?
Conosco bene l’establishment militare. Vengo da una famiglia di militari da parte di mio padre. Il bisnonno ammiraglio, il nonno colonnello, due zii generali e il padre giudice del tribunale militare (fortunatamente si pensionò a causa del golpe).
I militari vivono in un mondo a parte. Escono dalla loro casa, ma non dalla caserma. Frequentano gli stessi locali (militari), gli stessi ristoranti, le stesse chiese. Molti si considerano superiori ai civili, anche se non producono nulla. Il loro paradigma sono le forze armate USA e la loro ideologia un ferreo anticomunismo. Per questo non rispettano i limiti loro imposti dalla Costituzione, che gli attribuisce la responsabilità di difendere la patria dai nemici esterni. Sono più preoccupati dai “nemici interni”, i comunisti.
Benché l’Unione Sovietica si sia disintegrata, il Muro di Berlino caduto al suolo, la Cina abbia abbracciato il capitalismo, tutto ciò che sa di pensiero critico è sospetto di comunismo. Perché nei ranghi militari regna la disciplina più dispotica, il senso critico non è ammesso e l’autorità incarna la verità.
Il Brasile ha commesso l’errore di non depurare i crimini della dittatura militare e di punire rigorosamente i colpevoli di torture, rapimenti, sparizioni, omicidi e attentati terroristici, a differenza di quanto hanno fatto i nostri vicini in Uruguay, Argentina e Cile. Andate a vedere il film Argentina, 1985, con protagonista Ricardo Darín e diretto da Santiago Mitre. Questo è quello che avremmo dovuto fare. Il risultato di questa grave omissione, alla quale è stato impresso il nome di “amnistia reciproca”, è l’impunità e l’immunità che sono sfociate nel deleterio governo Bolsonaro.
Non sono d’accordo con l’opinione che la destra brasiliana solo sia “uscita allo scoperto” negli ultimi anni. Senza tornare al periodo coloniale, con più di tre secoli di schiavitù e massacri di indigeni e popolazione paraguaiana in una guerra ingiusta, basti ricordare la dittatura di Vargas, lo Stato Nuovo, l’Integralismo, la TFP (Tradizione, Famiglia e Proprietà) e il golpe del 1964.
L’altisonante silenzio dei militari di fronte agli atti terroristici perpetrati dai golpisti, l’8 gennaio, deve portarci a riflettere. La complicità non si consuma solo con l’azione; lo fa anche per omissione. Ma non sono mancate azioni, come gli accampamenti intorno alle caserme protetti dai comandanti militari e l’atteggiamento del colonnello della guardia presidenziale, che ha aperto le porte del Planalto ai vandali e ha persino recriminato contro la polizia militare che ha cercato di contenerli.
“Il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza”, recita un aforisma che sento fin dall’infanzia. Noi difensori della democrazia non possiamo abbassare la guardia. Il bolsonarismo ha propagato una cultura necrofila traboccante di odio che non darà tregua alla democrazia e al governo Lula.
La nostra reazione non deve essere quella di rispondere con la stessa moneta né rifugiarci nella paura. Ci spetta il compito di rafforzare la democrazia, soprattutto i movimenti popolari e sindacali e gli orientamenti identitari, nonché difendere la Costituzione e le istituzioni, per impedire che le vedove della dittatura tentino di resuscitarla.
Il passato non è ancora passato. La memoria non lo seppellirà mai. L’unico che può farlo è la Giustizia.
La democracia en riesgo
Por: Frei Betto
No nos volvamos a engañar: nuestra frágil democracia sigue en riesgo. Recuerdo el gobierno de João Goulart a inicios de la década de 1960 y sus declaraciones de que llevaría a cabo reformas de base. Las Ligas Campesinas levantaban a los nordestinos. Los sindicatos defendían con ardor los derechos adquiridos durante la presidencia de Vargas. La Unión Nacional de Estudiantes era temida por su poder de movilización de la juventud.
Era obvia la inquietud de la elite brasileña. Empezó a conspirar en el Instituto Brasileño de Acción Democrática, el Instituto de Investigaciones y Estudios Sociales y otras organizaciones hasta hacer eclosión en las Marchas de la Familia con Dios por la Libertad. No obstante, el Partido Comunista Brasileño tranquilizaba a los que sentían olor a cuartelazo: se creía que Jango se apoyaba en una plataforma militar nacionalista.
Pero en marzo de 1964 vino el golpe militar. Jango fue depuesto; la Constitución, destrozada; las instituciones democráticas, silenciadas; y Castelo Branco asumió el poder sin que los golpistas dispararan un tiro. ¿Por dónde andaban “las masas” comprometidas con la defensa de la democracia?
Conozco bien el estamento militar. Vengo de una familia castrense por el lado paterno. Bisabuelo almirante, abuelo coronel, dos tíos generales y padre juez del tribunal militar (felizmente, se jubiló a raíz del golpe).
Los militares viven en un mundo aparte. Salen de su casa, pero no del cuartel. Frecuentan los mismos clubes (militares), los mismos restaurantes, las mismas iglesias. Muchos se consideran superiores a los civiles, aunque nada producen. Su paradigma son las fuerzas armadas de los Estados Unidos, y su ideología, un férreo anticomunismo. Por eso no respetan el límite que les impone la Constitución, que les atribuye la responsabilidad de defender la patria de enemigos externos. Les preocupan más los “enemigos internos”, los comunistas.
Aunque la Unión Soviética se desintegró, el Muro de Berlín cayó por tierra, China acogió el capitalismo, todo lo que suena a pensamiento crítico es sospechoso de comunismo. Porque en las filas militares reina la más despótica disciplina, no se admite el sentido crítico y la autoridad encarna la verdad.
Brasil cometió el error de no depurar los crímenes de la dictadura militar y castigar con rigor a los culpables de torturas, secuestros, desapariciones, asesinatos y atentados terroristas, a diferencia de lo que hicieron nuestros vecinos de Uruguay, Argentina y Chile. Vayan a ver el filme Argentina, 1985, protagonizado por Ricardo Darín y dirigido por Santiago Mitre. Ahí está lo que debíamos haber hecho. El resultado de esa grave omisión, a la que se le estampó el nombre de “amnistía recíproca” es la impunidad y la inmunidad que desembocaron en el deletéreo gobierno Bolsonaro.
No concuerdo con la opinión de que la derecha brasileña solo “salió del clóset” en los últimos años. Sin remontarnos al período colonial, con más de tres siglos de esclavitud y las masacres de indígenas y de la población paraguaya en una guerra injusta, no hay más que recordar la dictadura de Vargas, el Estado Nuevo, el Integralismo, la TFP (Tradición, Familia y Propiedad) y el golpe de 1964.
El altisonante silencio de los militares ante los actos terroristas perpetrados por golpistas el 8 de enero nos debe llevar a la reflexión. La complicidad no se consuma solo por la acción; también lo hace por omisión. Pero no faltaron acciones, como los campamentos alrededor de los cuarteles amparados por mandos militares y la actitud del coronel de la guardia presidencial, que les abrió las puertas del Planalto a los vándalos e incluso recriminó a los policías militares que pretendían contenerlos.
“El precio de la libertad es la eterna vigilancia”, reza un aforismo que escucho desde la infancia. Los defensores de la democracia no podemos bajar la guardia. El bolsonarismo propagó una cultura necrófila rebosante de odio que no le dará tregua a la democracia y al gobierno Lula.
Nuestra reacción no debe ser responder con la misma moneda ni refugiarnos en el miedo. Nos corresponde la tares de fortalecer la democracia, en especial los movimientos populares y sindicales y las pautas identitarias, así como defender la Constitución y las instituciones, para impedir que las viudas de la dictadura intenten resucitarla.
El pasado aún no ha pasado. La memoria jamás lo sepultará. La única que puede hacerlo es la Justicia.