Ricordando gli Accordi di Ginevra
Geraldina Colotti
#ElesequiboEsDeVenezuela. Con questo hashtag, in Venezuela ha ricordato il 17 febbraio del 1966. Allora, dopo varie tornate di negoziati, e poco prima di concedere l’indipendenza all’allora colonia Guayana Britannica (oggi Repubblica Cooperativa di Guyana), l’Inghilterra firmò l’Accordo di Ginevra. Riconosceva così il reclamo del Venezuela sull’Essequibo. Un territorio di 159.500 chilometri quadrati, sottratti dal Lodo Arbitrale di Parigi, siglato il 3 ottobre 1899 a scapito del Venezuela.
Si trattò della sentenza emessa in quella sede da un tribunale di arbitraggio, creato due anni prima in base al Trattato Arbitrale di Washington nel quale figuravano da una parte gli Stati Uniti, in rappresentanza del Venezuela, e dall’altra il Regno Unito, in quanto proprietario della colonia della Guayana Britannica. Entrambe le parti avevano stabilito, di comune accordo, di sottoporre la disputa alla decisione di un arbitraggio internazionale.
Un contenzioso relativo alla frontiera a ovest della colonia britannica e all’est del Venezuela indipendente, che adduceva il principio Uti possidetis iure, in base ai territori della ex Capitaneria Generale del Venezuela, posseduti al momento dell’indipendenza, nel 1810, che aveva come frontiera delimitante il fiume Essequibo. La sentenza fu però a favore del Regno Unito, seppur in base a mappe discutibili.
Il Venezuela contestò immediatamente il lodo arbitrale, ma fu solo nel 1962 che, in base a nuovi documenti, riuscì a portare il contenzioso all’Onu e a invalidare quella sentenza. Un importante passo avanti che portò all’Accordo di Ginevra, il 17 febbraio del 1966, ma che finora non ha avuto una conclusione definitiva soddisfacente per entrambe le parti, pur restando valido quell’accordo a tutti gli effetti.
Si tratta, infatti, di una lunga vertenza anti-coloniale, che la Repubblica bolivariana ha ripreso con forza, sostenendo le sue argomentazioni in tutte le sedi internazionali. Al riguardo, è stata istituita la Commissione Speciale per la Difesa del Territorio della Guyana Essequiba, presieduta dal deputato Hermánn Escarrá e con William Fariñas come Primo vicepresidente.
Nell’Essequibo, gli interessi in gioco sono giganteschi, sia dal punto di vista della biodiversità e delle risorse naturali – bauxite, oro, diamanti, manganesio, e anche uranio, petrolio, riserve di gas – che da quello geopolitico. Il Venezuela ha ripetutamente protestato per l’avvio delle trivellazioni, decise arbitrariamente da alcune multinazionali nordamericane come la Exxon Mobil.
Ha anche respinto i tentativi unilaterali della Guyana, ispirata dai grandi interessi imperialisti, di spostare la vertenza alla Corte Penale Internazionale, lasciando senza esito la richiesta inoltrata dal Venezuela all’Onu affinché venisse nominato un mediatore, come previsto dagli Accordi di Ginevra. A suo tempo, il governo venezuelano ha smascherato il tentativo dell’opposizione golpista, guidata dall’autoproclamato Juan Guaidó, di negoziare con il governo britannico la cessione dell’Essequibo in cambio di sostegno alla farsa dell’autoproclamazione.
Tuttavia, nell’ambito della diplomazia di pace, a giugno del 2022, la vicepresidente esecutiva, Delcy Rodriguez, ha presentato alla Corte Penale Internazionale un pacchetto di argomenti storici e giuridici per sollecitare una soluzione amichevole del conflitto. Fra le inoppugnabili prove esibite per smontare la truffa coloniale del Lodo Arbitrale, il Venezuela ha esibito le mappe originali, scoperte nel 2018 da un avvocato italo-inglese, Ugo Giuliani, occultate e falsificate dall’imperialismo di allora.
A fine settembre dell’anno scorso, Delcy è poi volata all’Haya per controbattere l’intervento della Guyana alla 77° Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel quale erano state riproposte le argomentazioni del Lodo arbitrale del 1899, che il Venezuela considera “nullo e provocatorio”.
Intanto, la Commissione speciale prosegue il suo lavoro, sia sul piano giuridico internazionale, che su quello territoriale: sia per far conoscere l’importanza del tema mediante il “parlamentarismo della strada”, sia per sensibilizzare le popolazioni limitrofe all’Essequibo, negli Stati Bolivar e Sucre. In attesa del pronunciamento della Corte Penale Internazionale, la Commissione speciale assicura che non riconoscerà alcuna decisione che contraddica la Ley Fundamental de Colombia que promulgò a suo tempo il Libertador Simón Bolívar, basata sulle mappe della Capitaneria Generale del Venezuela.
Su questa base, il 17 febbraio, il ministero degli Esteri venezuelano ha emesso un comunicato per riaffermare la piena attualità degli Accordi di Ginevra e per ribadire che “il sole del Venezuela nasce nell’Essequibo”.
Venezuela. La lunga marcia della gioventù bolivariana
Geraldina Colotti
“Se qualcosa è stato realizzato in questi 24 anni di rivoluzione, è includere i giovani nel processo decisionale del Paese, è tener conto dei giovani. I giovani di oggi valgono, i giovani di oggi sono ascoltati. ” Così ha detto il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, rivolgendosi alla folla di giovani che, domenica 12 febbraio, ha sfilato a Caracas verso il Palazzo Miraflores, per celebrare la Giornata della Gioventù. Per l’occasione – il 209° anniversario della Battaglia della Vittoria -, il presidente ha annunciato la creazione di un programma sociale dedicato ai giovani, che mirerà a “fare di più” nei settori dell’istruzione, dell’economia, della casa, dello sport, dell’imprenditoria e della cultura. “Tutta la gioventù venezuelana – ha detto – è convocata al grande congresso giovanile l’11 e 12 marzo, qui a Caracas, per fondare la Grande Missione Giovanile Venezuela”.
Un compito che spetterà al vicepresidente del governo per il socialismo sociale e territoriale, Mervin Maldonado, e alla giovane deputata Grecia Colmenares, che definiranno i temi fondamentali del prossimo incontro. L’appello – ha aggiunto il Capo dello Stato – dovrà essere il più ampio possibile, e aprirà la strada alla generazione di posti di lavoro per i giovani, al sostegno all’imprenditoria e al sostegno ai talenti. “Questo è il momento della gioventù antimperialista – ha detto Maduro -. Con l’unione dei giovani coltiveremo i valori fondanti la nostra Patria, con amore e ribellione, contro il flagello della corruzione. I giovani devono aspirare a una coscienza superiore”.
Un tale livello di partecipazione giovanile alla vita politica non si vede in Europa. I giovani europei non hanno motivo di sostenere governi che, al di là della retorica, offrono loro ben poco spazio. Le carenze strutturali di paesi come l’Italia e la subalternità dei governi ai diktat dell’impresa non favoriscono il loro inserimento nel mondo del lavoro, rallentandone l’autonomia socioeconomica, condizione essenziale per il pieno e consapevole esercizio dei diritti politici e civili. La tardiva acquisizione della stabilità sociale ed economica incide sulla costituzione dell’identità degli individui, e determina la scarsa propensione a partecipare a una politica dove i giovani possono votare, ma non decidere.
In Italia, la diffusione delle forme di lavoro atipico ha contribuito a un peggioramento della qualità complessiva dell’occupazione, che ha portato anche a un ulteriore abbassamento dei livelli salariali medi. La combinazione di basse retribuzioni orarie e intensi contratti di lavoro a breve termine, si traduce in livelli salariali annui significativamente inferiori. Secondo il rapporto Istat 2022, circa 4 milioni di occupati del settore privato sono sottopagati, percepiscono cioè una retribuzione annua lorda teorica inferiore a 12.000 euro, che non basta per far fronte all’alto livello del costo della vita.
Circa 1,3 milioni di dipendenti ricevono una paga oraria bassa, inferiore a 8,41 euro. Per 1 milione di dipendenti, i due elementi di vulnerabilità si sommano. Tra i più penalizzati, i giovani sotto i 34 anni, le donne e gli stranieri, con basso titolo di studio, i residenti nel Mezzogiorno e gli occupati nel settore dei servizi. Salari bassi, deterioramento della qualità dell’occupazione, fuga di cervelli, caratterizzano sia l’UE che l’Eurozona. A novembre 2022, il tasso di disoccupazione tra i minori di 25 anni ha raggiunto il 15,1%.
La creazione di nuovi e migliori posti di lavoro per i giovani è anche una grande sfida in America Latina e nei Caraibi. La crisi del Covid-19 nei mercati del lavoro ha fatto salire il tasso di disoccupazione dei giovani oltre il 20%, una percentuale che triplica il tasso degli adulti ed è più del doppio del tasso di disoccupazione medio complessivo della regione. In numeri assoluti, sono più di 10 milioni i giovani che cercano lavoro senza trovarlo. D’altra parte, 6 giovani su 10 che trovano lavoro sono costretti ad accettare lavori nell’economia informale, che implica condizioni di lavoro precarie, senza tutele o diritti, con bassi salari e ritmi eccessivi. Si stima che circa 20 milioni di giovani della regione non studino e non lavorino, in gran parte a causa della frustrazione e dello scoraggiamento dovuti alla mancanza di opportunità nel mercato del lavoro.
Al contrario, il Venezuela ha il 92% di scolarizzazione e l’85% dei giovani studia nelle università pubbliche. C’è ancora del lavoro da fare – ha detto il presidente – ma i giovani sono stati e sono il centro di resistenza al bloqueo, all’ingerenza e alla propaganda dell’imperialismo e dei suoi burattini locali. Tuttavia, ha chiesto di “fare di più”, e di dotarsi di “uno spirito di ribellione permanente per andare verso il nuovo”.
Spetta ai giovani “liberare la Patria”, cioè liberarla dal bloqueo, dalle sanzioni che “hanno cercato di soffocare e uccidere la nostra economia e la nostra identità, di porre fine e di distruggere lo Stato Sociale che il socialismo ha fondato con le Missioni e le Grandi Missioni”.
Dal Venezuela che, nonostante il blocco criminale dell’imperialismo ha mantenuto la gratuità dell’istruzione, e non ha privatizzato né la salute né i servizi pubblici, e non ha affatto cambiato le leggi sulla garanzia del posto di lavoro, arriva quindi un messaggio importante. E appare anche rilevante il riferimento alla storia: in questo caso alla Battaglia della Victoria, quando, nel 1814, giovani studenti e seminaristi inesperti risposero all’appello del generale José Félix Ribas, impedendo all’esercito monarchico di prendere la piazza della città di Victoria, nello stato di Aragua.
E anche questo è un messaggio per i giovani d’Europa, perché tornino a ispirarsi alle proprie radici e agli ideali di chi ha cercato di cambiare le cose nel 20° secolo, pagando costi elevati: per trasformarli in uno strumento di lotta e in nuovi progetti, per il presente e per il futuro.
(Articolo pubblicato su Cuatro F)