L’antichavismo affronta il grande ostacolo della depoliticizzazione

Franco Vielma

Le società di sondaggi venezuelane hanno concordato nella pubblicazione dei dati sulla disaffezione politica in Venezuela. Il denominatore comune tra le società è il risultato che la maggioranza degli elettori non sostiene “nessuno” dei candidati, o che si definiscono “indipendenti” o “né-né”, cioè né chavisti né oppositori.

Società di consulenza di opinione come Hinterlaces, Datanálisis, Delphos e altre hanno presentato dati dal 2020 e hanno considerato —sebbene con cifre variabili— che la maggioranza della popolazione non si sente identificata con le principali offerte politiche ed elettorali del Paese.

Le variazioni statistiche su questo segmento “non affiliato” o identificato vanno dal 38% al 56%. In tutte, questo gruppo politico continua ad affermarsi come “il più numeroso” del Paese.

Si riferiscono a questo come a un terreno elettorale “prigioniero” che potrebbe essere sfruttato dagli attori politici. La maggior parte deriva dalla scontentezza nei confronti del chavismo e dell’opposizione, soprattutto con quest’ultima.

Per quanto riguarda i chavisti disaffezionati, ci sono molte considerazioni, ma la maggior parte di esse si riferisce alla perdita di introiti dello Stato — che sono stati registrati pari al 99% nel 2020 — ha significato un calo nella gestione di governo, nei programmi sociali, bassi salari, servizi pubblici in crisi e, quindi, malcontento.

La registrazione di una “maggioranza” disaffezionata è salito alle stelle dal 2020 e potrebbe considerarsi che ha una spiegazione nell’aumento del blocco economico del Paese, che ha diminuito la base di appoggio del chavismo.

Ma il 2020 è anche l’anno in cui l’aspettativa creata dal “governo ad interim” ha cominciato a svanire fragorosamente. Oltre a ciò, il ritiro di diversi partiti di opposizione dalle principali elezioni, come le elezioni presidenziali del 2018 e le elezioni parlamentari del 2020, ha lasciato i loro elettori tradizionali senza un’offerta e li ha spinti all’immobilismo.

Ciò significa che, sebbene l’elettorato disaffezionato possa essere composto da membri del chavismo e dell’opposizione, la maggioranza di essi sono chiaramente membri dell’opposizione. Sarebbe un segmento depoliticizzato prodotto dalla stessa agenda sbagliata dell’antichavismo e dal suo eccessivo accumulo di fallimenti.

Dal 2018 si è cominciato a parlare in Venezuela della possibilità che un outsider possa dirigere l’opposizione venezuelana, e da allora le analisi e le liste di nomi non si sono fermate. Il dibattito su una candidatura outsider viene dagli stessi partiti, analisti e media antichavista, il che è chiaramente sintomatico di una crisi di direzione tra loro.

UOVA ROTTE, SENZA FRITTATA

In termini puramente sociologici, la deriva politica dell’opposizione venezuelana si è basata sulle sue intenzionali rotture del “contratto sociale”.

Lo schedario è molto vasto: colpo di stato nel 2002, sciopero padronale e petrolifero del 2002 e 2003, guarimbas del 2007, 2014 e 2017, ma anche operazioni fallite di violenza paramilitarizzata come l’Operazione Gedeon del 2020, e la più risibile di tutte: l’Operazione Libertà del 2019.

Ma la lista comprende anche altri elementi chiave, come il ritiro dalle elezioni negli anni 2010, 2017, 2018 e 2020.

Inoltre, la richiesta pubblica di un blocco economico, politico e diplomatico contro il Paese, attuato dal 2015 e incrementato negli anni successivi.

Tutti questi elementi sono, in sintesi, azioni a favore della rottura del contratto sociale, la maggior parte di esse sono stati eventi anticostituzionali e, nel caso dell’astensionismo che hanno applicato, questo ha privato molti dei loro elettori della loro offerta politica, in chiaro sabotaggio delle elezioni e, quindi, delle istituzioni.

Quello che è successo è una serie di attentati contro la “zoón politikon”, un tentativo di spoliazione della nostra natura di “animali politici”. Hanno cercato di dissolvere le carte di navigazione della politica venezuelana, come la diatriba sui margini costituzionali, le elezioni e il buon sviluppo delle contraddizioni naturali nello spazio politico.

Purtroppo per gli organizzatori dell’opposizione, le operazioni per smantellare il chavismo dal potere politico sono fallite. Ma l’altissimo costo politico delle avventure fallite sì è stato consumato. È come rompere le uova, ma non c’è frittata.

Il sociologo tedesco Ulrich Beck ha sostenuto, nel 1998, che il neoliberalismo e tutta la sua architettura ideologica hanno costruito un complesso menu di istanze “para-politiche” che hanno ridotto lo spazio di manovra della società e delle sue grandi maggioranze, e hanno sostituito il loro potere con quello di fattori e gruppi – molti di loro al di fuori della politica – sotto forma di corporazioni, società civile, attori pagati da società private (lobbiste), tra altri.

Nell’opposizione venezuelana potremmo considerare che si è svolto un processo simile, anche se con altre denominazioni.

Sembra che un’opposizione guidata dal capitale venezuelano e straniero, da burocrati USA e da politici che operano come lobbisti per gruppi di interesse, hanno finito per guidare i grandi partiti di opposizione ed i loro sostenitori da un labirinto all’altro.

Hanno funzionato come istanze “para-politiche” privatizzate, agendo chiaramente a favore dei profitti di gruppi e voltando le spalle agli interessi della società e dei lori seguaci. L’opposizione venezuelana è modellata dall’architettura ideologica neoliberale, quindi c’è completa congruenza con Beck. Sono un corpo “para-politico”.

Secondo questo autore, c’è un fenomeno di “depoliticizzazione” della politica. Questa semplicemente cessa di esistere. È sostituita da criteri di gruppi di interesse ed agende particolari.

Abbiamo bisogno di esempi per spiegarlo. Nel 2020, secondo Hinterlaces, l’80% della popolazione rifiutava le sanzioni economiche contro il Paese. Nell’ottobre 2022, Datanálisis ha riportato la stessa analisi, ma con una cifra del 76% della popolazione che rifiutava queste misure. È chiaro che una maggioranza nazionale di questa portata non è composta solo da chavisti.

Gli oppositori e gli ora “depoliticizzati” hanno una posizione avversa al blocco, e finora i vertici dell’opposizione che lo hanno richiesto, riuniti nella Piattaforma Unitaria, non hanno chiesto pubblicamente la fine delle misure, in quanto ciò è contrario a interessi esterni e gruppi di interesse, come il “governo ad interim” e il cosiddetto “governo parlamentare” via Zoom, che ha il sostegno del Dipartimento di Stato USA.

Nel 2020 il 66% si dichiarava disposto a votare alle elezioni parlamentari di quell’anno, ma l’astensionismo dei partiti del G4 ha lasciato i propri elettori alla deriva e non si sono mobilitati. Il risultato è stato fatale per gli antichavisti.

La singolarità della crisi politica dell’opposizione risiede nella sua natura strutturale. La “para-politica” che la governa attenta costantemente contro il patto sociale e inabilita la propria base di opinione, senza consentirle di far valere i propri sentimenti comuni.

Dando per scontato che il risultato sia stato un fallimento, la derivazione è quella di una chiara frustrazione.

Bisogna cercare di mettersi nella psiche dei seguaci dell’opposizione. Sicuramente loro ritengono che il Paese abbia sofferto un saldo mostruoso per niente. Che i loro dirigenti gli hanno imposto un “interim” e il Paese è stato “sanzionato” in cambio di nulla. Che i loro dirigenti si sono astenuti alle elezioni per niente.

Dirigenti che non si uniscono, dirigenti che sbagliano, dirigenti che cambiano opinione al variare dei loro interessi, sono sicuramente un fattore di delusione e i seguaci dell’opposizione hanno dovuto tollerarli, anche per niente.

Quindi, tutta questa sommatoria solo può che portare all’affaticamento, alla stanchezza, all’immobilismo e alla delusione. La snaturazione della politica implica questi effetti apatici e demoralizzanti e le dirigenze antichaviste hanno costruito continuamente questo saldo in modo continuo.

Gli oppositori potrebbero scommettere che una popolazione spiritualmente oscillante possa tornare all’ovile politico e ritrovare l’ottimismo. In politica tutto è possibile, ma è impossibile nei termini attuali cancellare l’accumulazione di saldi.

NUOVE PROMESSE CONTRO SCETTICISMO

La fabbricazione del clima politico da outsider è ora la nuova promessa di fronte all’elettorato antichavista. Da notare l’articolazione dei sondaggisti, che hanno pubblicato sondaggi che collocano María Corina Machado come la prima nell’intenzione di voto per le primarie dell’opposizione. Datoworld la dà il 20%, ConsuCampo Consultores il 31%, Delphos il 37,5%, More Consulting il 36%, Datincorp il 17% e Meganálisis il 16%.

Gli stessi sondaggi danno anche Benjamín Rausseo, noto a livello nazionale per il suo personaggio comico “Er Conde del Guácharo”, al secondo posto, relativamente vicino o lontano, a seconda del sondaggista, della dirigente di Vente Venezuela (VV).

Il “consenso generalizzato” dei sondaggisti su un Machado in prima linea nell’intenzione di voto è un modo artificiale di proiettare che detta gerarchizzazione corrisponda all’outsider che l’elettorato sta cercando. Il fatto che, da parte sua, Rausseo sia al secondo posto in quasi tutti i sondaggi rafforza questa premessa fabbricata.

Si noti inoltre che la maggior parte di queste soscietà di sondaggi sono “nuove” o non fanno parte del gruppo di sondaggisti tradizionali che hanno sempre dominato lo spettro della misurazione -e costruzione- dell’opinione pubblica come aziende specializzate.

E’ probabile che si stia sviluppando un altro esercizio di “para-politica”. María Corina Machado ha proposto di privatizzare PDVSA e i beni statali e questa è un’offerta per le società private a che si uniscano alla sua candidatura. Cerca anche l’interesse del governo USA e delle multinazionali statunitensi. Qui applica la categoria del lobbismo e dell’interesse di gruppo. In realtà la “nuova promessa” della politica sembra viziata, benché Machado insista che lei “è diversa” dagli altri oppositori.

Su Rausseo c’è poco da dire poiché ha presentato come “nuova” la promessa di creare scuole tecniche, benché queste esistano già da 60 anni nel Paese.

Quello su cui dirigenti, media e sondaggisti concordano è la creazione di aspettative per promuovere, da più fronti, l’innalzamento dello “spirito” degli elettori nel quadro delle primarie. Si tratta di un “agglutinare forze”, hanno detto.

Ma le nuove offerte politiche dei “nuovi nomi” competono nelle primarie dell’opposizione senza chiarezza sull’orizzonte politico oltre il 22 ottobre, quando si terranno queste interne.

Né Machado né Rausseo possono ora contare sulla garanzia che i partiti del G4 sosterranno la loro candidatura dopo ottobre. Nel caso di Machado, a causa del duro scontro accumulato con quei partiti; nel caso di Rausseo per essere considerato un paracadutista.

Tuttavia, qualsiasi candidato dell’opposizione dovrà affrontare l’imponente muro dello scetticismo antichavista, generato dalla depoliticizzazione strutturata e dall’accumulo di fallimenti. Troppe uova rotte senza frittata.

In questo item, né Machado né Rausseo né altri attori politici nei primi posti nei sondaggi tra gli oppositori, come Manuel Rosales, Henrique Capriles e Juan Guaidó, possono invertire il ciclo di frustrazione e sedimentazione organica dei partiti.

Inoltre, l’antichavismo difficilmente potrebbe vincere lo scetticismo della base elettorale senza rinunciare ai suoi metodi “parapolitici”.

Sono gruppi di interesse, con agende particolarizzate e il solo lobbismo di uomini d’affari e statunitensi non basta a risolvere la disputa interna che ha portato alla loro crisi organizzativa e al saldo creato. Per ora sembra impossibile che possano rinunciare al proprio corpo politico.

Lì c’è il suo errore d’origine e non è stato risolto in 23 anni.


EL ANTICHAVISMO LIDIA CON EL GRAN OBSTÁCULO DE LA DESPOLITIZACIÓN

Franco Vielma

Encuestadoras venezolanas han coincidido en la publicación de datos sobre la desafiliación política en Venezuela. El denominador común entre las firmas es el resultado de que los electores mayoritariamente no se filian por “ninguno” de los candidatos, o que se definen como “independientes”, o “ni-nís”, es decir, ni chavistas ni opositores.

Las firmas consultoras de opinión como Hinterlaces, Datanálisis, Delphos y otras han presentado datos desde el año 2020 y han considerado —aunque con variación de cifras— que una mayoría de la población no se siente identificada con las principales ofertas políticas y electorales del país.

Las variaciones estadísticas sobre este segmento “no afiliado” o identificado van desde 38% a 56%. En todas se sigue afirmando sobre ese grupo político como “el más grande” del país.

Refieren ello como un terreno electoral “cautivo” que podría ser capitalizado por los actores políticos. La mayoría de ellos proviene del descontento con el chavismo y con la oposición, especialmente con esta última.

Sobre los chavistas desafiliados hay muchas consideraciones, pero la mayoría de ellas refieren que la pérdida de ingresos del Estado —que se registraron en 99% en 2020— ha significado una caída en la gestión de gobierno, programas sociales, bajos salarios, servicios públicos en crisis y, por ende, descontento.

El registro de una “mayoría” desafiliada se disparó desde el año 2020 y podría considerarse que tiene explicaciones en el auge del bloqueo económico al país, que incidió para que menguara la base de apoyo al chavismo.

Pero 2020 también es el año cuando la expectativa creada desde el “gobierno interino” comenzó a esfumarse de manera estrepitosa. Aunado a ello, el retiro de varios partidos opositores de grandes elecciones, como las presidenciales de 2018 y las parlamentarias de 2020, dejó sin oferta a sus electores tradicionales y los empujaron a la inmovilización.

Esto quiere decir que, aunque el electorado desafiliado pueda componerse de integrantes del chavismo y la oposición, la mayoría de ellos es claramente opositora. Sería un segmento despolitizado fabricado por la misma agenda errática del antichavismo y su excesiva acumulación de fracasos.

Desde el año 2018 comenzó a hablarse en Venezuela de la posibilidad de un outsider para dirigir la oposición venezolana, y desde entonces los análisis y listas de nombres no han parado. El debate sobre una candidatura outsider proviene de los mismos partidos, analistas y medios antichavistas, lo que claramente es sintomático de una crisis de liderazgo entre ellos.

HUEVOS ROTOS, SIN OMELET

En términos puramente sociológicos, la deriva política de la oposición venezolana se ha fundado sobre sus intencionadas rupturas del “contrato social”.

El registro es muy amplio: Golpe de Estado en 2002, paro patronal y petrolero de 2002 y 2003, guarimbas de 2007, 2014 y 2017, pero además operaciones fallidas de violencia paramilitarizada como la Operación Gedeón de 2020, y la más risible de todas: La Operación Libertad de 2019.

Pero en el listado también figuran otros elementos claves, como el retiro de elecciones en los años 2010, 2017, 2018 y 2020.

Adicionalmente, la solicitud de manera pública de un bloqueo económico, político y diplomático contra el país, que se instrumentó desde 2015 y remontó en los siguientes años.

Todos estos elementos son, en sumatoria, acciones a favor de la ruptura del contrato social, la mayoría de ellos fueron eventos inconstitucionales y, en el caso del abstencionismo que aplicaron, despojaron con ello de oferta política a muchos de sus electores, en claro sabotaje a las elecciones y, por ende, a las instituciones.

Lo que ha ocurrido es una serie de atentados contra el “zoón politikón”, un intento de despojo a nuestra naturaleza como “animales políticos”. Pretendieron disolver las cartas de navegación de la política venezolana, como la diatriba en los márgenes constitucionales, las elecciones y el buen desarrollo de las contradicciones naturales en el espacio político.

Para desgracia de los organizadores de la oposición, las operaciones para desmantelar el chavismo del poder político han fracasado. Pero el altísimo costo político de las aventuras fallidas sí ha sido consumado. Es lo mismo a quebrar los huevos, pero no hay omelet.

El sociólogo alemán Ulrich Beck alegó en 1998 que el neoliberalismo y toda su arquitectura ideológica construían un complejo menú de instancias “para-políticas” que reducían el margen de maniobra de la sociedad y sus grandes mayorías, y sustituían su poder por el de factores y grupos —muchos de ellos fuera de la política—, en forma de corporaciones, sociedad civil, actores pagados por las empresas privadas (lobbystas), entre otros.

En la oposición venezolana podríamos considerar que se dio un proceso similar, aunque con otras denominaciones.

Pareciera que una oposición capitaneada por el capital venezolanoy extranjero, por burócratas estadounidenses y por políticos que operan como lobbystas de grupos de interés, terminaron guiando a los grandes partidos de la oposición y a sus seguidores de un laberinto a otro.

Han funcionado como instancias “para-políticas” privatizadas, actuando claramente en favor de provechos de grupos y dando la espalda a los intereses de la sociedad y de sus propios seguidores. La oposición venezolana está moldeada por la arquitectura ideológica neoliberal, de ahí que hay plena congruencia con Beck. Son una instancia “para-política”.

De acuerdo con este autor, existe un fenómeno de “despolitización” de la política. Esta sencillamente deja de serlo. Es reemplazada por criterios de grupos de interés y agendas particulares.

Necesitamos ejemplos para explicarlo. En 2020, según Hinterlaces, 80% de la población rechazaba las sanciones económicas contra el país. En octubre de 2022, Datanálisis refirió el mismo análisis, pero con una cifra de 76% de la población que rechazaba esas medidas. Es evidente que una mayoría nacional de tal magnitud no está compuesta únicamente por chavistas.

Los opositores y los ahora “despolitizados” tienen una postura adversa al bloqueo, y hasta ahora la alta dirigencia opositora que lo pidió, aglutinada en la Plataforma Unitaria, no ha exigido públicamente el fin de las medidas, pues ello contraviene intereses externos y de grupos de interés, tal como el “gobierno interino” y el llamado “gobierno parlamentario” vía Zoom, el cual cuenta con apoyo del Departamento de Estado estadounidense.

En 2020 66% se declaraba dispuesto a votar en las elecciones parlamentarias de ese año, pero el abstencionismo de los partidos del G4 dejó a la deriva a sus electores y estos no se movilizaron. El resultado fue fatídico para los antichavistas.

La singularidad de la crisis política opositora está en su carácter estructural. La “para-política” que la rige atenta constantemente contra el pacto social e inhabilita a su propia base de su opinión, sin permitirles hacer valer sus propios sentidos comunes.

Dando por descontado que el resultado ha sido el fracaso, la derivación es la de una clara frustración.

Hay que intentar situarse en la psiquis de los seguidores de la oposición. Seguramente ellos consideran que el país ha sufrido un saldo monstruoso a cambio de nada. Que sus dirigentes les impusieron a un “interino” y se “sancionó” al país a cambio de nada. Que sus dirigentes se han abstenido en elecciones a cambio de nada.

Dirigentes que no se unen, dirigentes erráticos, dirigentes que cambian de opinión conforme a la variación de sus intereses, definitivamente son un factor de decepción y los seguidores de la oposición han tenido que tolerarlos, también a cambio de nada.

De ahí que toda esta sumatoria solo puede propiciar el cansancio, el hartazgo, la inmovilización y la decepción. La desnaturalización de la política implica estos efectos apáticos y desmoralizantes y las dirigencias antichavistas han construido este saldo de manera continua.

Los opositores podrían apostar a que una población anímicamente oscilante pueda volver al redil político y recuperar el optimismo. En política todo es posible, pero es imposible en los términos actuales borrar la acumulación de saldos.

NUEVAS PROMESAS VERSUS ESCEPTICISMO

La fabricación del clima político outsider es ahora la nueva promesa frente al electorado antichavista. Nótese la articulación de encuestadoras, que han publicado sondeos que ubican a María Corina Machado como primera en intención de voto para las primarias opositoras. Datoworld le da 20%, ConsuCampo Consultores 31%, Delphos 37,5%, More Consulting 36%, Datincorp 17% y Meganálisis 16%.

Los mismos sondeos también dan a Benjamín Rausseo, conocido a escala nacional por su personaje de comedia “Er Conde del Guácharo”, en segundo lugar, relativamente cerca o lejos, dependiendo de la encuestadora, de la lideresa de Vente Venezuela (VV).

El “consenso generalizado” de las encuestadoras sobre una Machado a la vanguardia en la intención de voto es una forma artificial de proyectar que dicha jerarquización se corresponde con el outsider que busca el electorado. Que, por su parte, Rausseo esté de segundo lugar en casi todos los sondeos refuerza esa premisa fabricada.

Nótese también que la mayoría de estas encuestadoras son “nuevas”, o no forman parte del grupo de encuestadoras tradicionales que siempre han dominado el espectro de la medición —y construcción— de opinión pública como firmas especializadas.

Es probable que se esté desarrollando otro ejercicio de “para-política”. María Corina Machado ha propuesto privatizar PDVSA y los activos del Estado y ello es una oferta para empresas privadas para que se unan a su candidatura. También busca con ello el interés del gobierno estadounidense y a las trasnacionales norteamericanas. Aplica aquí la categoría de lobbysmo e interés de grupo. En realidad la “nueva promesa” de la política parece viciada, aunque Machado insista en que ella “es diferente” a los demás opositores.

Sobre Rausseo no hay mucho que decir pues ha presentado como “nueva” la promesa de que crearía escuelas técnicas, aunque estas ya existen en el país desde hace 60 años.

En lo que sí coinciden dirigentes, medios y encuestadoras es en la fabricación de expectativas para promover desde diversos frentes el levantamiento del “ánimo” de los electores en el marco de las primarias. Se trata de un “aglutinamiento de fuerzas”, han dicho.

Pero las nuevas ofertas políticas de los “nuevos nombres” concurren en las primarias opositoras sin una claridad en el horizonte político más allá del 22 de octubre, cuando se realicen esas internas.

Ni Machado ni Rausseo pueden contar hoy con una garantía de que los partidos del G4 apoyen su candidatura luego de octubre. En el caso de Machado, por su acumulado de enfrentamiento duro con esos partidos; en el caso de Rausseo por ser considerado un paracaidista.

Sin embargo, cualquier candidato opositor tendrá enfrente el imponente muro del escepticismo antichavista, generado por la despolitización estructurada y por el acumulado de fracasos. Demasiados huevos rotos sin omelet.

En este ítem, ni Machado ni Rausseo ni otros actores políticos en los primeros puestos de encuestas entre opositores, como Manuel Rosales, Henrique Capriles y Juan Guaidó, pueden revertir el ciclo de frustración y sedimentación orgánica de los partidos.

Además, el antichavismo difícilmente podría vencer el escepticismo entre la base electoral sin renunciar a sus métodos “para-políticos”.

Son grupos de interés, con agendas particularizadas y el solo cabildeo de empresarios y estadounidenses no es suficiente para resolver la disputa interna que ha derivado en su crisis organizativa y el saldo creado. Por ahora, parece imposible que ellos puedan renunciar a su propio cuerpo político.

Ahí está su falla de origen y no ha sido resuelta en 23 años.

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