Sheyla Delgado http://www.granma.cu
Quel giorno Roma era un formicaio di nervi nella pelle dei sindacalisti e dei movimenti sociali. Centinaia di italiani che idealizzavano per la sinistra si affollavano vicino alla sede della FAO in attesa della riunione che Fidel voleva concordare con loro e che non poté essere realizzato per le dinamiche del Vertice.
Per molti di loro la sua presenza a Roma significava il privilegio di coincidere nel tempo e nello spazio con il paradigma dell’uomo, con lo statista visionario e, anche, di saperlo non solo cubano ma universale. Era per molti la realizzazione di un sogno. Era il 16 novembre 1996.
“Se il mondo si commuove, giustamente, quando avvengono incidenti, catastrofi naturali o sociali, perché non si commuove allo stesso modo di fronte a questo genocidio che si svolge, ogni giorno, sotto i nostri occhi?”
Era questa domanda la chiave dell’intervento che quasi 19 anni fa marcò, nella capitale italiana, i modelli di tutta l’umanità per autosalvarsi. Preoccupazione non solo di un leader, di un arcipelago o di un emisfero, ma di quell’ 85% della popolazione mondiale che viaggia nella parte più oscura della barca -umanità-, ed il cui destino sembra sbattere contro l’ “iceberg” dell’autodistruzione.
Quasi due decenni più tardi, le sfide crescono ed obbligano ad accelerare le soluzioni umane, poiché la realtà descritta dal leader storico della Rivoluzione cubana di fronte al Vertice Mondiale dell’Alimentazione è cambiata poco.
Forse sono cambiati i nomi dei paesi, convertiti in bersagli di nuove guerre e qualche altra circostanza. Ma questa è estetica. L’essenza disegna un’umanità ansiosa di trovare le risposte alle domande di Fidel. Ed il suo discorso potrebbe dirsi appena pronunciato per la marcata attualità di ogni lettera e di ogni punto interrogativo.
Le “cure al mercurocromo” ancora non arrivano e quindi la meta -irrisoria quanto discreta – perché in 20 anni si avesse “400 milioni invece di 800 milioni di affamati” continua ad aumentare nei dibattiti, ma cogliendo pochi frutti. Tanto più che già questo lasso quasi si è consumato e -anche se si é salvato più di 216 milioni di persone da quel flagello- le cifre ancora allarmanti di quelli che non hanno avuto la stessa sorte continuano ad occupare i titoli della stampa.
La FAO, il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (FIDA) e il Programma Mondiale Alimentare (PAM) definiscono progetti e assegnano consistenti fondi per combattere la fame, ma la sua realizzazione dipende dalla volontà dei governi e dal concorso di sforzi condivisi, fondati su un progetto comune che trascenda gli spazi di eventi e forum.
In essi dipende la vita di decine di migliaia di persone -buona parte sono bambini- che muoiono ogni giorno, in media, per quella vergogna sociale che è la fame. Le cause restano inamovibili, ferme per l’inerzia mentale della minoranza che ha nelle sue mani il potere di decisione per rivendicare il diritto della maggioranza e chiudere così un capitolo oscuro di barbarità e apologia dell’ “io individuale”. Nelle loro mani è la preservazione della specie umana.
“E’ il capitalismo, il neoliberismo, le leggi di un mercato selvaggio, il debito estero, il sottosviluppo, lo scambio ineguale, quelli che uccidono così tante persone in tutto il mondo”, diceva Fidel allora e le sue parole sono ancora valide.
La relazione annuale ‘Lo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo’ 2015 -presentato pochi giorni fa, con la partecipazione della FAO, FIDA e PAM- chiama a non posticipare i dibattiti che definiscono il presente ed il futuro della nostra casa-mondo. Malgrado la riduzione della fame negli ultimi dieci anni, ci sono ancora 795 milioni di persone denutrite, mentre si spreca un terzo del cibo prodotto per il consumo umano e la cattiva distribuzione di questi prodotti genera divari abissali e quasi inconciliabili a breve e medio termine.
Hanno raggiunto l’obiettivo di dimezzare la proporzione di persone che soffrono la fame entro il 2015, 72 paesi (in via di sviluppo) dei 129 analizzati in questo senso. Senza contare le altre nove nazioni che sono, strettamente, vicine ad ottenere quel sogno. A questo si aggiunge il plausibile fatto che “29 paesi hanno raggiunto l’obiettivo più ambizioso fissato dal Vertice Mondiale sull’Alimentazione nel 1996, quando i governi si impegnarono a dimezzare il numero assoluto di persone denutrite entro il 2015”.
“Una ogni nove persone nel mondo continuano a patire la fame nel periodo 2014-2016. Il numero totale di persone sottonutrite è diminuito negli ultimi due anni. La loro proporzione, rispetto alla popolazione mondiale o la prevalenza della denutrizione, diminuì (…) al 10,9% “nello stesso periodo, trascende nel rapporto.
Mentre si avverte il buon ritmo dell’America Latina e dei Caraibi, per raggiungere gli obiettivi internazionali sul tema e si riconosce, nel caso di Cuba, l’impegno e gestione dello Stato nel raggiungimento di essere “uno dei paesi con maggior disponibilità di cibo, in termini calorici, pro capite della regione”, anche se rimane un lungo cammino verso la corrispondenza tra offerta e domanda in una nazione altamente importatrice di alimenti.
Tuttavia, nell’anno che segna la fine di un ciclo nel seguire i modelli stabiliti dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e la transizione verso una nuova fase, esorta tutti nell’imperativo di operare un cambiamento che superi -per dimensione e dispiegamento della sua agenda- i cambiamenti che il clima impone. Tanto più quando le ultime analisi dello stato della popolazione mondiale, riflettono una tendenza in crescendo in quanto al numero di abitanti nel mondo.
Quando, nel 1990, i leader mondiali convennero adottare la Dichiarazione del Millennio dell’ONU -contenente otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio- non in vano dedicarono il primo di essi al problema della fame, in particolare a dimezzare la proporzione di affamati ed il tasso di povertà. L’accordo segnava un impegno mondiale nel tentativo di fornire un giro di pagina a milioni di persone con una storia di vita permeata dalla povertà e malnutrizione.
E’ che -ora, come quando lo avvertiva il leader cubano- “le acque si inquinano, l’atmosfera si avvelena, la natura viene distrutta (…), l’ambiente si sta deteriorando ed il futuro promette si compromette ogni giorno di più”.
Nepal urla “aiuto” e vede, con incertezza, la ripresa economica. Il Medio Oriente si cuoce in conflitti sponsorizzati in dollari, dall’ Occidente, e alcuni paesi in Africa richiedono più aiuto reale e meno fanfare di aiuto virtuale.
E come per effetto domino, milioni di dollari fuggono nei casinò, armi e addestramenti militari. L’industria della guerra, vale a dire, l’affare macabro di uccidere persone, ingrossa le casse dei loro signori e “boss”, a scapito di milioni di stomaci.
Tutto questo in situazioni in cui la virtualità dei rapporti sostenuta dallo sviluppo tecnologico e iperbolizzazione della società del consumo sono la cosa più simile ad una radiografia del mondo di oggi. Ed in esso, la sicurezza e sovranità alimentare convivono con l’utopia, mentre i ricchi sono l’esigua eccezione e i poveri la regola.
Un’altra volta mi assale il dubbio: sarà il ritorno dell’uomo primitivo o che si disinibisce, a velocità preoccupante, il più primitivo dell’uomo? Solo perché uccidere persone è un crimine, non uccidere la fame lo è.
Prendiamo le parti, in questo momento, per saldare il debito ecologico invece del debito estero -come ha insistito in diversi scenari il nostro Comandante in Capo- e che “scompaia la fame, non l’uomo”.
Fidel lo ha affermato, e la storia gli ha dato ragione. “Le campane che oggi suonano per coloro che muoiono di fame, ogni giorno, suoneranno domani per tutta l’umanità, se non volle, non seppe o non poté essere sufficientemente saggia da salvare se stessa”.
DISCORSO PRONUNCIATO DA
SUA ECCELLENZA
FIDEL CASTRO RUZ,
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI CUBA,
AL VERTICE MONDIALE SULL’ALIMENTAZIONE FAO
ROMA 16 NOVEMBRE 1996.
Signor presidente,
Signor Direttore Generale ,
Eccellenze:
La fame, l’inseparabile compagna dei poveri, è la figlia della distribuzione ineguale delle ricchezze e delle ingiustizie di questo mondo. I ricchi non conoscono la fame.
Il colonialismo non è estraneo al sottosviluppo e alla povertà di cui soffre oggi una grande parte dell’umanità. Né sono distinte a questo tavolo la offensiva opulenza delle società consumiste delle antiche metropoli che hanno sfruttato un gran numero di paesi sulla terra. Milioni di persone sulla terra sono morte lottando contro la fame e l’ingiustizia.
Quale tipo di soluzione cosmetica andremo ad applicare per avere tra venti anni 400 milioni di affamati invece di 800? Questi obbiettivi sono, per la loro modestia , una vergogna.
Se 35 mila persone muoiono di fame ogni giorno, di cui la metà sono bambini, perchè nei paesi sviluppati le olive sono distrutte, si sacrificano le greggi , e grandi somme sono spese per mantenere la terra improduttiva?
Se il mondo giustamente si commuove dei disastri e dalle catastrofi naturali e sociali che tolgono la vita a centinaia o migliaia di persone, perchè non é ugualmente commosso da questo genocidio che si ripete ogni giorno davanti ai nostri occhi?
Delle forze di intervento sono organizzate per prevenire la morte di centinaia di migliaia di persone ad est dello Zaire. Che cosa faremo noi per evitare la morte per fame di un milione di persone nel mondo?
E’ il capitalismo, il neoliberismo, le leggi di un mercato selvaggio,il debito estero, il sottosviluppo, lo scambio ineguale che uccidono tante persone nel mondo.
Perchè investire 700 miliardi di dollari ogni anno in spese militari invece di investire una parte delle risorse per lottare contro la fame, per impedire l’impoverimento del suolo, la desertificazione e la deforestazione di milioni di ettari ogni anno, il riscaldamento
dell’atmosfera e gli effetti serra che provocano la gran parte dei cicloni, la mancanza o l’eccesso di pioggia, la distruzione dello strato di ozono e gli altri fenomeni naturali che colpiscono la produzione di alimenti e la vita dell’uomo sulla terra ?
Le acque sono contaminate, l’atmosfera inquinata la natura distrutta. Non si tratta solamente di mancanza di investimenti, di assenza di educazione e di tecnologie, di crescita accellerata della popolazione: ma é l’ambiente che si deteriora e il futuro che diventa più compromesso giorno dopo giorno.
Perchè continuare a produrre armi sofisticate una volta finita la guerra fredda? A che cosa servono queste armi se non a dominare il mondo? Perchè questa feroce concorrenza per vendere degli armamenti ai paesi sottosviluppati che non li renderà più potenti per difendere loro indipendenza invece di sopprimere la fame?
Perchè aggiungere a tutto questo delle politiche criminali , dei blocchi assurdi che includono alimenti e medicine per uccidere di fame e malattie delle intere popolazioni? Dov’è l’etica, la giustificazione , il rispetto dei più elementari Diritti dell’Uomo, dove si trova il vero senso di queste politiche?
Facciamo prevalere la verità e non l’ipocrisia e la menzogna..Noi dobbiamo prendere coscienza che l’egemonismo, l’arroganza e l’egoismo devono sparire dal mondo.
Le campane che oggi suonano per coloro che muoiono di fame, suoneranno domani per tutta l’umanità se essa non avrà voluto, o saputo, o potuto essere sufficientemente saggia da salvare se stessa.
Por quien doblan las campanas… del hambre
Sheyla Delgado
Ese día Roma era un hervidero de nervios en la piel de los sindicalistas y movimientos sociales. Cientos de italianos que soñaban por la izquierda se aglomeraban en las proximidades de la sede de la FAO esperando por el encuentro que Fidel quería concertar con ellos y que no pudo concretarse por la dinámica de la Cumbre.
Para muchos de ellos su presencia en Roma significaba el privilegio de coincidir en tiempo y espacio con el paradigma de hombre, con el estadista visionario y, también, de saberlo no solo cubano sino universal. Era para muchos la concreción de un sueño. Era el 16 de noviembre de 1996.
“Si el mundo se conmueve con razón cuando ocurren accidentes, catástrofes naturales o sociales, ¿por qué no se conmueve de la misma forma ante este genocidio que tiene lugar cada día delante de nuestros ojos?”
Era esta interrogante la clave de la intervención que hace casi 19 años marcó en la capital italiana las pautas de la humanidad toda para autosalvarse. Preocupación no solo de un líder, de un archipiélago o de un hemisferio, sino de ese 85 % de la población mundial que viaja en la parte más negra del barco —humanidad—, y cuyo destino parece ser chocar con el “iceberg” de la autodestrucción.
Casi dos décadas después, los retos crecen y obligan a acelerar soluciones humanas, pues la realidad descrita por el líder histórico de la Revolución Cubana ante la Cumbre Mundial de la Alimentación ha cambiado poco.
Tal vez han cambiado los nombres de países, convertidos en dianas de nuevas guerras y alguna que otra coyuntura. Pero eso es cosmética. La esencia dibuja una humanidad urgida por encontrar respuestas a las preguntas de Fidel. Y su discurso podría decirse acabado de pronunciar, por la marcada vigencia de cada letra y cada signo de interrogación.
Las “curas de mercurocromo” aún no llegan y la meta entonces —irrisoria cual discreta— para que en 20 años hubiese “400 millones en vez de 800 millones de hambrientos” sigue subiendo debates, pero bajando pocos frutos. Sobre todo, porque ese lapso ya casi se ha consumido y —si bien se ha rescatado a más de 216 millones de personas de ese flagelo—, las cifras aún alarmantes de los que no tuvieron igual suerte continúan ocupando titulares de prensa.
La FAO, el Fondo Internacional de Desarrollo Agrícola (FIDA) y el Programa Mundial de Alimentos (PMA) definen proyectos y destinan cuantiosos fondos para combatir el hambre, sin embargo, su consecución depende de la voluntad de los gobiernos y del concurso de esfuerzos compartidos, aterrizados en un proyecto común que trascienda los espacios de eventos y foros.
En ello le va la vida a decenas de miles de personas —buena parte son niños— que cada día mueren, como promedio, por esa vergüenza social que es el hambre. Las causas permanecen inamovibles, cuajadas por la inercia mental de la minoría que tiene en sus manos el poder de decisión para reivindicar el derecho de la mayoría y cerrar así un capítulo oscuro de salvajismo y apología del “yo individual”. En sus manos está la conservación de la especie humana.
“Son el capitalismo, el neoliberalismo, las leyes de un mercado salvaje, la deuda externa, el subdesarrollo, el intercambio desigual, los que matan a tantas personas en el mundo”, decía Fidel entonces y sus palabras mantienen plena vigencia.
El informe anual sobre El estado de la inseguridad alimentaria en el mundo-2015 —presentado hace apenas unos días con la participación de la FAO, el FIDA y el PMA— convoca a no dejar para luego debates que definen el presente y futuro de nuestra casa-mundo. Amén de la reducción del hambre en los últimos diez años, todavía persisten 795 millones de personas subalimentadas, mientras se desperdicia un tercio de los alimentos producidos para el consumo humano y la mala distribución de esos productos genera brechas abismales, y casi irreconciliables a corto y mediano plazos.
Han alcanzado la meta de reducir a la mitad la proporción de personas hambrientas para el año 2015, 72 países (en desarrollo) de los 129 analizados en este sentido. Sin contar otras nueve naciones que están, por estrecho margen, cerca de conseguir ese sueño. A ello se une el hecho plausible de que “29 países han cumplido el objetivo más ambicioso establecido en la Cumbre Mundial sobre la Alimentación en 1996, cuando los gobiernos se comprometieron a reducir a la mitad la cifra absoluta de personas subalimentadas para el 2015”.
“Una de cada nueve personas en el mundo sigue padeciendo hambre en el periodo 2014-2016. El número total de personas subalimentadas se redujo en los dos últimos años. Su proporción, en relación con la población mundial o la prevalencia de la subalimentación, disminuyó (…) a un 10,9 %” en ese mismo lapso, trasciende en el informe.
En tanto se advierte el buen ritmo de América Latina y el Caribe, al cumplir las metas internacionales en el tema y se reconoce, en el caso de Cuba, el compromiso y gestión del Estado en el logro de ser “uno de los países con mayor disponibilidad de alimentos en términos calóricos per cápita de la región”, aun cuando queda mucho camino en pos de hacer coincidir oferta y demanda, en una nación altamente importadora de alimentos.
Sin embargo, en el año que marca el fin de un ciclo en el seguimiento de las pautas establecidas por los Objetivos de Desarrollo del Milenio y la transición a una nueva etapa, apremia a todos el imperativo de operar un cambio que supere —por la dimensión y el despliegue de su agenda— a los cambios que el clima impone. Máxime cuando los últimos análisis del estado de la población mundial, reflejan una tendencia in crescendo en cuanto al número de habitantes en el orbe.
Cuando en 1990, los líderes mundiales convinieron adoptar la Declaración del Milenio de las Naciones Unidas —contentiva de ocho Objetivos de Desarrollo del Milenio—, no en balde dedicaron el primero de ellos al tema del hambre, específicamente a reducir a la mitad la proporción de hambrientos y el índice de pobreza. El acuerdo marcaba un compromiso mundial en el empeño de ofrecer un vuelco de página a millones de personas con una historia de vida permeada por la indigencia y la malnutrición.
Y es que —ahora, como cuando lo advertía el líder cubano— “las aguas se contaminan, la atmósfera se envenena, la naturaleza se destruye (…), el medio ambiente se deteriora y el futuro se compromete cada día más”.
Nepal grita “auxilio” y ve con incertidumbre la recuperación económica. El Oriente Medio se cuece en conflictos patrocinados en dólares, desde Occidente, y algunos países de África exigen más ayuda real y menos fanfarria de socorro virtual.
Y como por efecto dominó, millones de dólares se escapan en casinos, armamentos y trainings militares. La industria de la guerra, que es decir, el negocio macabro de matar gente, engorda más las arcas de sus misters y “capo”, en detrimento de millones de estómagos.
Todo ello en coyunturas donde la virtualidad de las relaciones estribadas del desarrollo tecnológico y la hiperbolización de la sociedad de consumo son lo más parecido a una radiografía del mundo actual. Y en él, la seguridad y soberanía alimentarias se codean con la utopía, en tanto los ricos son la exigua excepción y los pobres, la regla.
Otra vez me asalta la duda: ¿será que regresa el hombre primitivo o que se desinhibe, a velocidad preocupante, lo más primitivo del hombre? Justo porque matar personas es un crimen, no matar el hambre también lo es.
Tomemos partido en este minuto para saldar el débito ecológico en lugar de la deuda externa —como ha insistido en disímiles escenarios nuestro Comandante en Jefe— y que “desaparezca el hambre, no el hombre”.
Fidel lo aseveró y la historia le ha dado la razón. “Las campanas que doblan hoy por los que mueren de hambre cada día, doblarán mañana por la humanidad entera si no quiso, no supo o no pudo ser suficientemente sabia para salvarse a sí misma”.