Abbiamo il continente coperto da Netflix, una fenomenale macchina antipolitica dove si produce e distribuisce una logica di pensiero che insegna a diffidare sistematicamente di tutto ciò che implichi organizzarsi con altri, lavorare in comunità…
La disputa per il senso è una delle chiavi di tutti i conflitti esistenti nel mondo tra le vere voci collettive, quelle che lottano per i diritti popolari, e il discorso dei loro carnefici, ha spiegato il filosofo e comunicatore messicano Fernando Buen Abad, durante un incontro con il suo Il collega venezuelano Miguel Ángel Pérez Pirela, nel programma Desde donde sea.
“Ecco perché abbiamo bisogno di una semiotica dell’emancipazione che ci permetta di condurre quella lotta per il senso nella grande patria”, ha segnalato Buen Abad, il quale ha affermato che proprio come il potere USA ha basi militari al di fuori del suo territorio, ha anche installato basi mediatiche, che condividono lo stesso scopo: garantire l’egemonia imperiale.
Pérez Pirela ha segnalato che Buen Abad è un ospite di lusso e ha delineato il suo curriculum indicando che ha una laurea in Scienze della Comunicazione, con un master e un dottorato in Filosofia, specialista in filosofia dell’immagine e della comunicazione, critica della cultura, estetica e semiotica. È anche regista laureato alla New York University e rettore fondatore dell’Università di Filosofia, nonché Rettore Internazionale dell’Università di Comunicazione e professore all’Università di Lanús. Ha pubblicato 17 libri tra opere individuali e collettive in Messico, Venezuela, Spagna e Argentina, tra cui: Filosofía de la Comunicación (2001), Filosofía de la imagen (2003), Imagen, Filosofía y Comunicación (2004), Semiótica para la emancipación (2009), Filosofía de la responsabilidad en la comunicación socialista (2012), Filosofía del humor y de la risa (2013).
Miguel Ángel Pérez Pirela (MAPP): Fernando Buen Abad è uno dei più importanti semiotici dell’America Latina, che intende la guerra comunicativa non come un fatto astratto, fantastico, teorico, bensì come una lotta che si combatte giorno per giorno nelle basi sociali, nelle comunità. Come definiresti la guerra simbolica e cosa implica vincerla o perderla?
Fernando Buen Abad (FBA): Ho per mano un esempio attuale che ci permette di affinare, specificare e correggere le definizioni. In Argentina, a nord del suo territorio, il governo della provincia chiamata Jujuy, con un governatore di estrema destra, si è approvata una legge, avallata da un corpo legislativo servile a quel governatore, per proibire e criminalizzare ogni protesta sociale. In quel luogo ci sono popoli indigeni che da tempo lottano per i loro diritti fondamentali, tra cui cibo, istruzione e lavoro. Il governatore ha represso quel popolo con la violenza fisica, ma anche simbolica. Ha detto che la provincia è infestata da infiltrati che hanno manipolato la gente per portarla sulla via del comunismo. Quindi, con questo argomento, giustifica un’operazione repressiva per ripulire il popolo da questi presunti infiltrati, con tutto ciò che questo implica di sottovalutazione e minaccia. Questo è stato sostenuto dal Grupo Clarín, che è un emporio mediatico mafioso in Argentina. Così come ci sono basi militari al servizio dell’impero, ci sono anche basi mediatiche per attaccare, permanentemente, tutto ciò che non sia di suo affare, piacere e di sua egemonia ideologica, economica e politica.
Questo è un esempio di ciò che è in disputa, cioè chi costruisce il senso della realtà, se lo fanno i popoli che sono nei territori, nelle loro lotte, con la loro storia, la loro identità, il loro essere e il loro modo di essere o se è costruito dalla mafia mediatica. Siamo di fronte a uno scenario in cui il clamore della lotta è stato soffocato ed è per questo che nella Patria Grande non s’informa né si denuncia ciò che sta accadendo a quel popolo con tante persecuzioni, sangue, violenze e calunnie di ogni genere.
Così, oggi, attraverso le mal chiamate reti sociali si filtra ciò che un apparato comunicativo con una mediana struttura etica dovrebbe star facendo. Ciò che fa, questo macchinario, è mantenere sotto silenzio il tema o sostituirlo con false informazioni, con fake news. Quelle sono le offensive simboliche, semantiche, di significato.
Questa costruzione di senso è il centro delle lotte in tutto il mondo. Lo stesso si può dire del conflitto in Ucraina o della situazione dei migranti ai confini messicani con il Guatemala e gli USA. In tutti i casi, la coincidenza è che si tace, calunnia e degrada la ragione profonda della lotta per imporre una concezione borghese o piccolo borghese dalla realtà. Da una parte ci sono le genuine voci collettive che lottano per i diritti popolari, e dall’altra c’è il discorso dei loro carnefici.
MAPP: In America Latina, cosa ci stiamo disputando quando lottiamo per qualcosa di così importante come il senso?
FBA: Stiamo disputando uno scenario ricco di diversità e complessità con molte sfumature. All’Istituto di Cultura e Comunicazione dell’Università di Lanús, che dirigo, stiamo progettando una mappa delle soggettività dell’America Latina, basata sulla presenza di oltre 600 popoli indigeni in tutta la regione. Abbiamo dalle 56 etnie del Messico, quelle di tutto il Centro America e Sud America. Sono popoli vivi e attivi e esigono rispetto per la loro identità e per la diversità. Quella base storica e culturale della patria grande è il primo livello della disputa sul senso. C’è un campo di battaglia molto complesso per le lingue, tradizioni, costumi, legami con la terra, le colture e gli ecosistemi.
Hanno voci e sensi diversi da quelli che prevalgono nei centri urbani e, al loro interno, nei settori di interesse commerciale. Poi, nello studio delle soggettività, abbiamo un piano infestato da chiese di tutti i tipi immaginabili, dalle più antiche alle più nuove, da quelle tradizionali a quelle che funzionano su Internet, che sono digito-religioni. Attraverso queste religioni si espande una forma di potere politico. Lo abbiamo appena visto in Brasile: Lula Da Silva, per essere presente in alcune zone, ha dovuto chiedere il permesso a ben cinque chiese diverse perché hanno un reale potere egemonico.
Lì c’è la lotta per il senso. La concezione di queste chiese è fondamentalmente mercantile, come corporazioni o fondazioni, mentre l’interesse di un dirigente come Lula ha una dimensione di risoluzione umanistica, sociale e politica. Poi abbiamo il continente imbottito di Netflix, una fenomenale macchina antipolitica dove si produce e distribuisce una logica di pensiero che ci insegna a diffidare, sistematicamente, di tutto ciò che implichi organizzare con gli altri, lavorare in comunità, di ciò che significhi la gerarchia dello Stato per risolvere problemi comuni… insomma criminalizza tutto ciò che è comunitario, sotto ogni genere di invenzioni, alcune delle quali molto divertenti. A tutto questo dobbiamo aggiungere il dispiegamento di concetti universitari, molti dei quali fortemente influenzati dal positivismo, dal mercantilismo, dall’europeismo o statunitensi, afflitti dal creazionismo e persino da quel suprematismo che è scatenato.
Le università di tutto il continente hanno le loro biblioteche infestate da questi modelli ideologici. Si tratta quindi di un poliedro di unità di pensiero, conoscenza e pratica quotidiana. Per comprendere questa complessità e quella di tutte le lotte sociali di cui siamo protagonisti, occorre, nella Patria Grande, una semiotica per l’emancipazione che entri nel nocciolo duro di questo problema, che è, appunto, la disputa sul senso…
La guerra comunicacional latinoamericana: “disputa por el sentido”
Por La Iguana TV
Tenemos al continente tapizado de Netflix, una fenomenal máquina de antipolítica donde se produce y distribuye una lógica del pensamiento que enseña a desconfiar sistemáticamente de todo lo que implique organizarse con otros, trabajar en comunidad…
La disputa por el sentido es una de las claves de todos los conflictos existentes en el mundo entre las voces colectivas genuinas, las que luchan por los derechos populares y el discurso de sus verdugos, explicó el filósofo y comunicador mexicano Fernando Buen Abad, durante una tertulia con su colega venezolano Miguel Ángel Pérez Pirela, en el programa Desde donde sea.
“Por eso necesitamos una semiótica de la emancipación que nos permita librar esa lucha por el sentido en la patria grande”, señaló Buen Abad, quien afirmó que así como el poder estadounidense tiene bases militares fuera de su territorio, también ha instalado bases mediáticas, que comparten el mismo propósito: garantizar la hegemonía imperial.
Pérez Pirela señaló que Buen Abad es un invitado de lujo y de luz y plasmó su currículum indicando que es licenciado en Ciencias de la Comunicación, con máster y doctorado en Filosofía, especialista en filosofía de la imagen y de la comunicación, crítica de la cultura, estética y semiótica. También es director de cine egresado de la Universidad de Nueva York y rector fundador de la Universidad de la Filosofía, así como rector Internacional de la Universidad de la Comunicación y profesor de la Universidad de Lanús. Ha publicado 17 libros entre obras individuales y colectivas en México, Venezuela, España y Argentina, entre ellos: Filosofía de la Comunicación (2001), Filosofía de la imagen (2003), Imagen, Filosofía y Comunicación (2004), Semiótica para la emancipación (2009), Filosofía de la responsabilidad en la comunicación socialista (2012), Filosofía del humor y de la risa (2013).
Miguel Ángel Pérez Pirela (MAPP): Fernando Buen Abad es uno de los más importantes semióticos de América Latina, que entiende la guerra comunicacional no como un hecho abstracto, fantasmático, teórico, sino como una lucha que se brega en el día a día en las bases sociales, en las comunidades. ¿Cómo definiría la guerra simbólica y qué implica ganarla o perderla?
Fernando Buen Abad (FBA): Tengo a la mano un ejemplo actual que nos permite afinar, precisar y corregir definiciones. En Argentina, al norte de su territorio, el gobierno de la provincia llamada Jujuy, con un gobernador de ultraderecha, se aprobó una ley, avalada por un órgano legislativo servil a ese gobernador, para prohibir y criminalizar toda protesta social. En ese lugar hay pueblos originarios que vienen luchando desde hace mucho tiempo por sus derechos fundamentales, incluyendo la alimentación, la educación y el trabajo. El gobernador ha reprimido a ese pueblo con la violencia física, pero también con la violencia simbólica. Ha dicho que la provincia está infestada de infiltrados que han manipulado a la gente para llevarla al sendero del comunismo. Entonces, con ese argumento justifica una operación represiva para limpiar al pueblo de esos supuestos infiltrados, con todo lo que eso implica de subestimación y de amenaza. Esto ha sido apoyado por el Grupo Clarín, que es un emporio mediático mafioso de Argentina. Así como hay bases militares al servicio del imperio, también hay bases mediáticas para atacar de manera permanente todo aquello que no sea su negocio, su placer y su hegemonía ideológica, económica y política.
Este es un ejemplo de lo que está en disputa, que es quién construye el sentido de la realidad, si lo hacen los pueblos que están en los territorios, en sus luchas, con su historia, su identidad, su ser y su modo de ser, o si lo construye la mafia mediática. Estamos ante un escenario en el que se ha sofocado el clamor de la lucha y por eso en la patria grande no se informa ni se denuncia lo que está pasándole a ese pueblo con tanta persecución, sangre violencia y calumnias de todo género.
Entonces, hoy, a través de las mal llamadas redes sociales se filtra lo que un aparato comunicacional con mediana estructura ética debería estar haciendo. Esa maquinaria lo que hace es mantener silenciado el tema o suplantarlo con falsas informaciones, con fake news. Esas son las ofensivas simbólicas, semánticas, de significado.
Esta construcción de sentido es el centro de las pugnas en todo el mundo. Lo mismo puede decirse del conflicto de Ucrania o de la situación de los migrantes en las fronteras mexicanas con Guatemala y Estados Unidos. En todos los casos la coincidencia es que se silencia, se calumnia y se degrada la razón profunda de la lucha para imponer una concepción burguesa o pequeñoburguesa de la realidad. Por un lado están las voces colectivas genuinas, que luchan por los derechos populares, y por el otro está el discurso de sus verdugos.
MAPP: En América Latina, ¿qué nos estamos disputando cuando nos disputamos algo tan importante como el sentido?
FBA: Estamos disputando un escenario plagado de diversidades y complejidades con muchos matices. En el Instituto de Cultura y Comunicación de la Universidad de Lanús, que dirijo, estamos diseñando un mapa de las subjetividades de América Latina, que tiene como piso y fundamento la presencia de más de 600 pueblos originarios en toda la región. Tenemos desde las 56 etnias de México, los de toda Centroamérica y Suramérica. Son pueblos vivos y activos y exigiendo respeto por su identidad y por la diversidad. Esa base histórica, cultural de la patria grande es el primer plano de la disputa por el sentido. Allí hay un campo de batalla complejísimo por las lenguas, las tradiciones, las costumbres, la vinculación con la tierra, los cultivos y los ecosistemas.
Tienen diversas voces y sentidos distintos a los que prevalecen en los núcleos urbanos y, dentro de ellos, los sectores de interés mercantil. Después, en el estudio de las subjetividades, tenemos un plano plagado por iglesias de todos los tipos imaginables, desde las más viejas hasta las más nuevas, desde las tradicionales hasta las que funcionan por internet, que son digitorreligiones. A través de esas religiones se expande una forma del poder político. Acabamos de verlo en Brasil: Lula Da Silva, para tener presencia en algunas zonas, tuvo que pedirles permiso a no menos de cinco iglesias distintas porque tienen poder hegemónico real.
Ahí está la lucha por el sentido. La concepción de estas iglesias es fundamentalmente mercantil, como corporaciones o fundaciones, mientras el interés de un dirigente como Lula tiene una dimensión de resolución humanística, social y política. Luego tenemos al continente tapizado de Netflix, una fenomenal máquina de antipolítica donde se produce y distribuye una lógica del pensamiento que enseña a desconfiar sistemáticamente de todo lo que implique organizarse con otros, trabajar en comunidad, de lo que signifique jerarquía del Estado para resolver problemas comunes… en fin, criminaliza todo lo que sea comunitario, bajo todo género de invenciones, algunas de ellas muy entretenidas. A todo eso debemos agregarle el despliegue de conceptos universitarios, muchos de ellos de fuerte influencia positivista, mercantilista, europeísta o estadounidense, plagados de creacionismo e incluso de ese supremacismo que está desatado.
Las universidades de todo el continente tienen sus bibliotecas infestadas de esos modelos ideológicos. Se trata entonces de un poliedro de unidades de pensamiento, conocimiento y práctica diaria. Para poder entender esa complejidad y la de todas las luchas sociales que estamos protagonizando, se necesita en la patria grande una semiótica para la emancipación que entre al núcleo duro de este problema, que es, justamente, la disputa por el sentido…