Geraldina Colotti
Il 3 di dicembre, con una vittoria schiacciante, il popolo venezuelano ha risposto cinque volte sì ai quesiti referendari in merito alla storica sovranità sul territorio della Guayana Essequiba. Al voto hanno partecipato in gran numero sia le popolazioni indigene che vivono nella Guayana Esequiba, che diversi partiti di opposizione. Dal 2015, e nonostante le ripetute proteste del governo bolivariano, quello della Repubblica cooperativa di Guyana ha permesso trivellazioni alla ExxonMobil nella zona in reclamazione, concedendo altresì agli Stati Uniti di svolgere esercizi militari e di esibire la presenza del Comando Sur.
Per comprendere la portata storico-politica della questione, condividiamo l’intervista al professor Edgardo Ramirez, effettuata alla vigilia del voto popolare.
“La nostra controversia per l’Esequibo è con gli Stati Uniti e le multinazionali, non con la Guyana che, purtroppo, è una nazione sotto tutela”. Con la passione del politico e il rigore dell’accademico, il deputato Edgardo Antonio Ramirez spiega le tappe di un contenzioso storico, alla vigilia del Referendum consultivo con cui il governo bolivariano ha chiamato il popolo a rispondere “cinque volte sì” ad altrettanti quesiti proposti. Ramirez, sociologo ed economista con un impressionante curriculum in diversi campi dell’insegnamento, è un militante di lungo corso, che ha partecipato alla lotta per il socialismo in Venezuela fin da quando era un dirigente studentesco e militava nella gioventù comunista.
Fu reclutato il 3 settembre 1989 per partecipare all’organizzazione e all’agitazione di massa a Barinas in occasione della ribellione del 4 febbraio, in una cellula di due persone, lui e un giovane soldato, ma ha sempre pensato “che Chávez fosse uno pseudonimo”, senza chiedersi molto di più. Finché, dopo aver partecipato come leader studentesco alla rivolta civico-militare del 4 febbraio 1992, lo vide in televisione pronunciare il suo storico “per ora”. Successivamente partecipò anche al secondo momento della ribellione, quello del 27 novembre, per cui venne perseguito con un mandato di cattura, ma riuscì a evitare il carcere.
Oggi è membro del Consiglio Politico del Partito Socialista Unito del Venezuela e della vicepresidenza della Formazione del PSUV. Come deputato, è presidente del Gruppo di Amicizia dei parlamentari venezuelani con Cuba, fa parte della Commissione di Politica Estera e Sovranità del Parlamento e della Commissione Speciale in difesa del territorio di Guayana Esequiba.
Come è nata la Commissione Speciale?
Dopo la tragedia provocata dalle ingerenze statunitensi e la farsa dell’autoproclamazione di Guaidó, il popolo ha votato per il recupero dell’Assemblea Nazionale, che oggi si identifica con la Costituzione. Al suo interno c’è un’opposizione che ha accettato le regole del gioco politico, che rispetta il Parlamento come uno dei cinque poteri pubblici e come patrimonio del dialogo nazionale quando si tratta, come nel caso di Essequibo, di difendere la sovranità e i valori fondanti della nostra costituzione. Quanto a noi deputati socialisti, la maggior parte delle leggi promosse è frutto del “parlamentarismo di strada”, come nel caso dell’importante riforma relativa alle Comunas. In questo clima favorevole, tre anni fa è nata la Commissione Speciale per la Difesa della Guayana Esequiba e della Sovranità Nazionale. È stata creata per contrastare la crescente presenza dell’imperialismo nel territorio conteso, respingere la minacciosa presenza del Comando Sud e le trivellazioni di multinazionali come Exxon Mobil, che oggi estraggono illegalmente più di 400.000 barili di petrolio al giorno dal nostro territorio. La Commissione Speciale ha un ruolo molto importante. È lì, e con il consenso di tutte le forze politiche, che ha preso forma la proposta di un referendum consultivo per il 3 dicembre. Un’ulteriore dimostrazione che il nostro socialismo si basa su una democrazia partecipativa e protagonista, costruita dal potere originario, il popolo, architrave del nostro Stato. Uno Stato che si fonda su tre elementi essenziali: il primo è determinato dal popolo che partecipa, che difende la sovranità e diventa soggetto corresponsabile, attraverso il potere popolare, che è il potere costituente. Il secondo è dato dalla legge, che è costruita secondo i principi del preambolo della Costituzione. E il terzo è il territorio. In questo contesto, la Commissione Speciale ha avviato un grande dibattito che non si esaurisce il 3 dicembre, ma è il punto di partenza per coinvolgere tutti i settori del Paese nella difesa del territorio, a partire dalla scuola primaria.
E qual è l’obiettivo?
Le ricerche dei professori Mario Sanoja e Iraida Vargas indicano la presenza di popolazioni aborigene che abitano l’Essequibo da 10.000 anni. Su un territorio di 159.000 chilometri quadrati, vivono sette popoli indigeni, discendenti di due principali gruppi etnici originari, gli Arawak e i Caraibi. La Commissione Speciale Essequibo gode del sostegno accademico e investigativo delle 68 università dell’Associazione Arbol dei Rettori Bolivariani. Partecipano storici, antropologi, avvocati, giuristi, ex giudici della Corte Suprema di Giustizia, e figure emblematiche come il generale Pompeo Torrealba. Il generale di brigata dedicò 35 anni della sua vita alla ricerca e alla conoscenza di Essequibo, sensibilizzando gli abitanti e fondando la città di Puerto Esquivel con la sua Plaza Bolívar nei pressi del fiume Venamo vicino all’Essequibo, stabilendo contatti diretti con le comunità. Ora, il presidente Nicolás Maduro lo ha promosso generale di brigata dell’Esercito Bolivariano. Ogni lunedì, dentro e fuori il Parlamento, abbiamo incontri con diversi settori sociali. In questi tre anni abbiamo avuto numerosi incontri con i popoli aborigeni, che tutelano un territorio straordinariamente ricco di risorse che vanno preservate, e che non possono certo essere lasciate in balia degli appetiti imperialisti che vogliono impadronirsi della regione.
La nostra Costituzione, promossa dal Comandante Chávez, è concepita per promuovere la creazione dell’Università di Guayana Esequiba e della Facciata Atlantica, che garantisce programmi nazionali di informazione sulle culture aborigene, ingegneria navale, sviluppo adeguato all’ecologia, risorse idriche, riforestazione degli habitat, risorse naturali strategiche rivolte a un uso sovrano e non di profitto… Non puoi vivere nell’Essequibo se non conosci gli aborigeni Wai Wai: circa 2.000 aborigeni in via di estinzione, che vivono isolati e in luoghi inospitali, sono un patrimonio da preservare. Nella zona di Rupununu, attuale regione dell’Alto Tacutu-Alto Essequibo, i Wapishana, guidati da una coraggiosa contadina di nome Valerie Hart, il 2 gennaio 1969, furono protagonisti di una rivolta per rivendicare la nazionalità venezuelana, ma vennero massacrati: circa 100 morti e denunce di violenze e torture, soprattutto tra i Makushi e i Wapishana. Il Venezuela, allora, ha concesso la nazionalità a 120 persone e le ha collocate nel sud dello stato di Bolívar. Ai massacri parteciparono anche mercenari francesi. I tempi sono cambiati, oggi è un altro Venezuela. Chiediamo quindi alla gente di esprimere la propria opinione in merito, attraverso la domanda numero 5, che dice: “Sei d’accordo con la creazione dello stato di Guayana Esequiba e lo sviluppo di un piano accelerato di assistenza globale per la popolazione attuale e futura di quel territorio che comporta, tra l’altro, la concessione della cittadinanza e della carta d’identità venezuelana, in conformità con l’Accordo di Ginevra e il diritto internazionale, incorporando di conseguenza detto stato nella mappa del territorio venezuelano?
La disputa sull’Essequibo affonda le sue radici nei secoli. Come marxista, quali strumenti pensi che dovrebbero essere utilizzati per intenderla nel presente?
Analizzare la questione in termini materialistici e in una prospettiva storica aiuta a capire perché il nostro contenzioso sull’Essequibo è con gli Stati Uniti e le sue multinazionali, non con la Repubblica Cooperativa della Guyana, che purtroppo è una nazione sotto tutela. La storia dell’Essequibo, una regione dello scudo della Guyana tra l’ovest del fiume Essequibo e la cima del monte Roraima, racconta la storia della colonizzazione e anche la storia della lotta per l’indipendenza. L’Essequibo è parte integrante della giurisdizione degli stati di Bolívar e Delta Amacuro. Le prime testimonianze risalgono alla fondazione del Capitanato Generale del Venezuela, creato da Carlo III nel 1777, che comprendeva i territori dell’ex provincia di Guayana, che occupava la regione dell’Esequiba. A chi, come me, era studente delle elementari negli anni ’60, a scuola gli si insegnava l’amore per la patria e la difesa dell’integrità territoriale, oltre all’apprendimento della cultura dei popoli aborigeni che abitano e amano l’Essequibo. Ci veniva spiegato come il territorio della Guayana Esequiba ci fosse stato tolto con l’inganno durante un processo in cui, come avvenne con il Lodo Arbitrale di Parigi del 1899, il Venezuela non era nemmeno presente. Ci rappresentavano due statunitensi… Secondo la legge, affinché una sentenza sia eseguita è necessario che si sia svolto un giusto processo, cioè la partecipazione delle parti in causa e l’imparzialità. Due condizioni che allora non furono soddisfatte, perché il Venezuela non era neanche rappresentato e perché la corte era composta da due giudici inglesi, due statunitensi e un presidente della corte, Federico de Martens, rappresentante della Russia zarista. Non vi fu quindi un giusto processo ma un eccesso di potere (ultra petita). E per questo, come stabilirà l’Accordo di Ginevra, nel 1966, quel lodo arbitrale era da considerare “nullo, irritante e illegale”. Una frode preparata nel 1897 con il Trattato di Washington, che stabilì la regola dell’arbitrato che sarebbe stata poi discussa a Parigi. Lì fu accettata l’obiezione degli inglesi che rifiutarono di sedersi al tavolo con quelli che consideravano barbari, i venezuelani. E i cinque giudici, rappresentanti delle potenze militari ed espansionistiche di Gran Bretagna, Stati Uniti e Russia zarista, alla fine del XIX secolo, nel Trattato di Washington del 1897, stabilirono regole adatte a compiere il furto di 159.500 chilometri quadrati di territorio venezuelano nel Laudo arbitrale di Parigi del 1899. Un territorio al centro dei loro piani di saccheggio, sia dal punto di vista marittimo – con il controllo della “foce dell’Orinoco” e la facciata atlantica – che delle miniere d’oro. Consapevoli di tutto ciò, abbiamo formulato il quesito referendario n. 4: “Sei d’accordo ad opporti, con ogni mezzo compatibile con la legge, alla pretesa della Guyana di disporre unilateralmente, illegalmente e in violazione del diritto internazionale, di un mare in attesa di delimitazione?”
Va anche detto che, mentre veniva firmato il lodo arbitrale, in Venezuela esisteva un vuoto di potere. Il presidente fuggì il giorno successivo perché il generale Cipriano Castro stava per prendere Caracas con le sue truppe andine. Allora c’era un Venezuela diviso da una guerra fratricida, che non somigliava più alla patria di Bolívar e Miranda, e dove governavano coloro che avevano tradito il Libertador e imposto il caudillismo. Il Libertador, nel 1817, aveva decretato gli haberes militaris, concedendo a tutti coloro che avevano combattuto per l’indipendenza una porzione di terra, assegnata in base al grado ottenuto e non in base al colore della pelle o al ceto di provenienza. E questo spiega il carattere popolare delle nostre Forze Armate. Paez, GJ e presidente del Venezuela, applica la Legge di aprile sul recupero crediti, approfittandone per confiscare i terreni a chi aveva debiti e non poteva pagarli, diventando il principale proprietario terriero. Così, i contadini si ribellarono a partire dal 1848. Ed emerse il generale Ezequiel Zamora, che riuscì a disporre del più grande esercito pro capite della storia del Venezuela in quel momento – 30.000 uomini a cavallo -, dando vita alla guerra federale. L’assassinio del generale Zamora, il 10 gennaio 1860, non impedì che la guerra popolare continuasse. Per questo motivo, nel 1861, l’oligarchia chiese al governo inglese un prestito per l’acquisto di armi per fermare la rivoluzione federale, con una lettera firmata, tra gli altri, da Nicomedes Zuloaga, Mendoza e Pedro Gual. Chiesero alla Gran Bretagna di intervenire come “nazione civile” a favore degli interessi dei ricchi in cambio della rinuncia all’Essequibo. Oggi, nelle diverse condizioni, si è ripetuta la stessa cosa contro la rivoluzione bolivariana, la stessa storia di quei traditori della patria. Successivamente, nel 1895, l’oligarchia invocò la Dottrina Monroe per affrontare la Gran Bretagna, una potenza in ascesa grazie allo sviluppo delle forze produttive dovuto alla rivoluzione industriale. Lo stesso atteggiamento adottato oggi da questa oligarchia apolide, come abbiamo visto negli ultimi anni e come abbiamo visto negli ultimi giorni, con l’intervento della signora Machado sulla pagina del Ministero degli Affari Esteri della Guyana.
E cosa è successo allora?
Il piano non venne realizzato, ma va sottolineato un altro fatto importante. Nel 1865 morì Robert Hermann Schomburgk, l’esploratore mercenario assoldato dagli inglesi nel 1835, responsabile di quattro linee di confine fraudolente per rubare porzioni del territorio Essequibo al Venezuela, due delle quali furono segnalate come sue anche quando era già morto. Le prove storiche che l’intero territorio dell’Essequibo apparteneva al Venezuela sono numerose. Nel 1895, il generale Domingo Antonio Sifontes affrontò gli inglesi che erano entrati nel territorio nazionale dalla Guyana inglese, l’attuale Guyana, in cerca di oro, e li sconfisse. Ma già nel 1821 Bolívar diede istruzioni di protestare contro la Gran Bretagna per le incursioni di soldati effettuate dalla Guyana verso il territorio dell’allora Gran Colombia. L’Inghilterra aveva acquistato L’Essequibo dall’Olanda, la potenza che allora beneficiava maggiormente dell’industria degli schiavi, nel 1814, per 3 milioni di sterline. L’Essequibo si chiamava allora Demerara e Berbice, e in seguito venne ribattezzata Guyana britannica. E, nel 1824, si scopre che la Gran Bretagna riconosce l’Essequibo come parte della Gran Colombia, e lo farà anche nel 1834, dopo l’assassinio di Sucre, la morte del Libertador, la separazione della Gran Colombia e la nascita della repubblica presieduta dal Generale in Capo José Antonio Páez. Il Regno di Spagna, nel 1845, riconobbe l’indipendenza del Venezuela includendo il territorio della Guayana Esequiba, 24 anni dopo la battaglia di Carabobo nel 1821. Pertanto, l’esploratore Schomburg, un mercenario degli inglesi, aveva tracciato false linee di confine: nel 1835 e nel 1840, e, cosa senza precedenti, nel 1887 e nel 1897, ovvero dopo la sua morte, avvenuta nel 1865. Senza dubbio gli inglesi falsificarono tutto per rubare al Venezuela i 159.500 chilometri quadrati che rappresentavano il 90% dei 203.310 chilometri quadrati che già avevano voluto rubare, con l’aiuto degli statunitensi, con la congiura del Laudo arbitrale di Parigi del 1899. E così continuano a fare oggi, rubandoci 29 tonnellate d’oro sequestrate presso la Banca d’Inghilterra e sottraendoci la raffineria Citgo, situata negli Stati Uniti.
Com’è nato l’Accordo di Ginevra?
Nel 1949, Severo Mallet-Prevost, avvocato scelto dagli Stati Uniti per rappresentare il Venezuela nel lodo arbitrale, morì, lasciando al suo notaio un memorandum che chiese fosse pubblicato, in cui rivelava tutti gli imbrogli e le falsificazioni dei due giudici inglesi e dei due giudici statunitensi, convalidati dal presidente della corte, lo zarista russo Martens. Ciò avvenne 4 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e la liberazione dal nazifascismo. Il Venezuela aveva fornito carburante agli alleati. E quando i sottomarini di Hitler affondarono due petroliere che trasportavano carburante per le forze alleate antifasciste, il presidente generale della Repubblica, Isaías Medina Angarita, che aveva concesso ai comunisti la libertà di partecipare alla politica secondo quanto pattuito nell’ambito dell’alleanza antifascista tra gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica, chiese anche che venisse garantita la sicurezza delle petroliere, l’uguaglianza di ricavi del 50/50 nel settore petrolifero, e l’installazione di un impianto di raffinazione del petrolio in Venezuela. Per questo, sei mesi prima della fine del suo mandato, gli organizzano un colpo di stato. Nel 1948 arrivò Marco Pérez Jiménez, poi nel 1958 fu sconfitto e subentrarono i governi delle democrazie rappresentative e la Costituzione del 1961. Sull’Essequibo si aprì un interessante dibattito nella socialdemocrazia che governava allora, sulla base delle prove fornite da Prevost. Un ministro degli Esteri, Marcos Falcón Briceño, presentò una relazione sulla vicenda all’ONU per dimostrare la nullità del lodo arbitrale. Bisogna tenere conto del contesto del tempo. Il Venezuela era allora la nave ammiraglia degli Stati Uniti, in nome dei quali lanciava attacchi contro Cuba socialista, ne chiedeva l’espulsione dall’OSA e faceva pressione sui paesi dell’America Latina affinché la bloccassero. Così, nel 1962, i socialdemocratici riuscirono a formare una commissione tra Gran Bretagna e Venezuela che culminò nell’Accordo di Ginevra del 1966, in cui si stabilì che il Lodo arbitrale di Parigi era “nullo, irritante e illegale”. Ma dobbiamo ricordare un altro fatto molto importante. Nel 1960, l’ONU approvò la nomina di una commissione per promuovere la decolonizzazione. Solo due paesi votarono contro: Stati Uniti e Gran Bretagna. Il Venezuela, che faceva parte del gruppo del 24 pro-decolonizzazione, ha onorato il suo impegno di accettare l’indipendenza della Guyana tre mesi dopo la firma dell’Accordo di Ginevra, ma ha fatto mettere a registro la sua riserva a proposito dei 159.500 chilometri quadrati della Guayana Esequiba come territorio venezuelano. L’accordo di Ginevra stabilisce nel suo articolo 1 la soluzione pratica e soddisfacente per entrambe le nazioni attraverso la negoziazione diretta, come stabilito nell’articolo 4 paragrafo 2 basato sull’articolo 33 dei negoziati sulle controversie delle Nazioni Unite, che stabilisce 8 modalità di negoziato consecutive da entrambe le parti. Il Comandante Chávez, visitando la Repubblica Cooperativa della Guyana, propose lo sfruttamento comune delle risorse naturali strategiche, la formazione professionale del personale in materia di idrocarburi e la costruzione dell’autostrada da Tucupita a Georgetown, nel quadro del processo di integrazione bolivariana e in conformità con l’accordo di Ginevra e, allo stesso tempo, la vendita di petrolio nel quadro di Petrocaribe. Il governo della Guyana si è invece rivolto unilateralmente alla Corte internazionale di giustizia nel 2018 violando l’accordo di Ginevra. Ciò mette in pericolo la pace della regione, perché consente alla ExxonMobil la licenza per l’esplorazione e lo sfruttamento del petrolio. A questo, si uniscono le esercitazioni militari e la presenza del Comando Sud nelle acque dei Caraibi. Vorrei anche ricordare che, nel 1982, quando l’Argentina occupò le Malvinas, territorio che le era stato strappato nel 1833, nel Consiglio di Sicurezza, la Guyana, nella prima discussione – nella seconda si astenne – votò a favore dell’Inghilterra. Da allora, tra stalli e ripartenze, la questione è nelle mani dell’Onu, che dovrebbe nominare un buon officiante e lavorare per far rispettare gli Accordi di Ginevra, e non favorire l’intervento della Corte internazionale di giustizia. Il presidente Maduro ha già scritto tre lettere ufficiali, una all’ex segretario generale dell’ONU Ban-ki Moon nel 2015, per ricordargli che deve garantire gli accordi di Ginevra e promuovere il dialogo, una seconda all’attuale segretario Antonio Guterres, nel 2018, e una terza nel 2021 dello stesso tenore.
E come spiega il sostegno della Caricom alla Guyana?
La Caricom ha un protocollo diplomatico secondo il quale, dopo una discussione, quando viene presa una decisione, i 14 paesi devono rispettarla, questo non significa che non ci siano differenze interne. Il Venezuela ha firmato un accordo con Trinidad e Tobago per l’estrazione di gas e petrolio nelle zone marittime, per svolgere insieme il commercio di idrocarburi. Il Primo Ministro di Trinidad e Tobago ha recentemente espresso la posizione pro-Guyana di Caricom, ma ha anche mostrato preoccupazione per una possibile escalation del conflitto. Il Venezuela continua a monitorare la sovranità delle sue frontiere marittime e il loro sbocco verso la costa atlantica. Il Venezuela è firmatario della dichiarazione della Celac, che definisce l’America Latina e i Caraibi come Zona di Pace, che è messa in pericolo dalle esercitazioni militari della Guyana e degli Stati Uniti, oltreché alla presenza militare del Comando Sud nei Caraibi. Allo stesso modo, il Suriname sta protestando contro la militarizzazione della zona di frontiera in reclamazione del Tigri da parte del governo della Guyana, che è un esempio delle differenze tra i paesi Caricom. Infine, invito tutti i venezuelani a riaffermare la nostra sovranità sulla Guayana Esequiba, votando 5 volte sì nel referendum consultivo del 3 dicembre.