Ai fluidi e affettuosi vasi comunicanti tra i popoli spagnoli e quello cubano -ognuno dei popoli della Penisola ha lasciato in noi un’impronta che batte in tutti gli ambiti della vita insulare- c’è chi pretende, a questo punto, porre ostacoli, intorbidirli.
Chi a Cuba, Venezuela, Bolivia o Nicaragua non ha sentito parlare di “matrici di opinione”? Quelle che si montano attraverso i media e le reti sociali nei laboratori del nemico e attaccano i processi sociali trasformatori. Non è forse abbastanza comune nell’analisi della piazza, nelle colonne di opinione, nelle denunce pubbliche e nelle discussioni politiche commentare e denunciare “matrici di opinione” che si montano contro i governi e i popoli di questi paesi? Certamente è così.
Nel 1892, José Martí scrisse: “Gli uomini si dividono in due campi: quelli che amano e agiscono, e quelli che odiano e disfano”.
In tempi più tranquilli, le complessità della società umana possono rendere difficile distinguere tra essi, ma in momenti sociali decisivi può accadere che il confine tra le due parti sia tracciato molto nettamente, ed è inevitabile che ognuno finisca per scegliere da che parte stare.
Già la rete sociale del metaverso è iniziato. I media corporativi della realtà aumentata sono riusciti a convertire in avatar mezzo mondo per immergerlo in una Cuba virtuale da videogiochi
La Presidenza di Cuba ha denunciato, su Twitter, l’attivazione di una macchina tossica con bot che producono diversi tweet al minuto, che è la stessa risorsa del golpe in Bolivia per creare una falsa realtà.
Dopo diverse settimane sotto assedio, Cuba è ora sotto un attacco missilistico da parte dei social media, con Twitter che ancora una volta guida la carica contro la rivoluzione.
Il ministro degli Esteri cubano ha denunciato che la piattaforma virtuale VPN realizza una campagna di comunicazione gratuita per gli utenti dell’isola caraibica, mentre il resto del mondo deve pagare per promuovere i propri prodotti su quel sito.
Yotuel Romero, membro di Orishas, afferma che nel 2022 acquisterà la squadra di baseball degli Industriales. Dice che è un sogno che ha, e lo farà in modo che i giocatori di baseball non debbano emigrare e siano milionari a Cuba. In questo modo, il baseball cubano ritornerebbe in primo piano nel mondo.
El Estornudo, Periodismo de Barrio e Cuba Posible sono alcuni dei siti di “giornalisti indipendenti” che sono apparsi incitando le azioni dell’11 e 12 luglio a Cuba; così lo denuncia, recentemente, un’informativa del Club Argentino di Giornalisti Amici di Cuba.
A volte, parlando con amici che sono sopravvissuti agli anni bui del terrorismo di stato in Sud America, ci siamo chiesti come fosse possibile, o come fosse possibile, che alcune persone potessero voltarsi e unirsi ai postulati dei carnefici. È una storia che si ripete, che è accaduta dopo la seconda guerra e che è molto ben documentata nel libro “The CIA and the Cultural Cold War” di Frances Stonor Saunders. La domanda è: si sono trasformati davvero o sono sempre stati “intellettuali” – agenti – della classe dominante?
Il Parlamento europeo ha approvato una condanna di Cuba per “la violenza e repressione estrema contro manifestanti” pacifici nelle proteste avvenute a luglio (1).
“Brutale repressione” sull’isola, ci dice la stampa europea (2). Ma se guardiamo in dettaglio le decine di video pubblicati su quegli incidenti (3) (4) (5), e disconnettiamo il suono dalla narrazione, cosa vediamo realmente? Una polizia cubana poco addestrata che dà una tiepida risposta davanti alle aggressioni (6), e le cui espressioni più violente sono quasi infantili accanto alle azioni di molte polizie di tutto il mondo. Per cominciare, quelle della stessa Europa (7).
La Rivoluzione cubana è emersa rafforzata, ancora una volta, da un altro feroce assalto degli USA che cercava provocare un’esplosione sociale e il rovesciamento, con la forza, del progetto rivoluzionario. La canaglia mediatica ha parlato di proteste pacifiche ma molti video mostrano scene di violenza e saccheggio contro la proprietà pubbliche e privata. La scossa controrivoluzionaria ha fatto sì che molte persone oneste nel mondo si rendessero conto della grandezza dei multimilionari piani destabilizzanti anticubani concepiti, per anni, dagli USA.
Non intendo qui fare un’analisi completa degli effetti del blocco su Cuba, né della crisi mondiale, ma è sempre bene pensarci, ricordare, soprattutto in questi tempi in cui la guerra economica contro questo paese fratello è diventata anche mediatica, e ancora di più quando si tratta degli effetti che può avere un blocco che dura da più di sei decenni. È importante osservare le relazioni sociali che si intercettano in questo, soprattutto quelle che hanno a che vedere con le asimmetrie che il blocco stesso riproduce a livello del paese bloccato, del paese attaccato e dell’aggressore. Il blocco fa sprofondare gli attaccati nella povertà, mentre l’aggressore di solito gode di condizioni economiche favorevoli.
Il blocco USA va al di là dell’imposizione di restrizioni economiche, impedisce a Cuba l’uso di determinate tecnologie e servizi Internet, afferma un articolo che circola sui media digitali.
Secondo il testo giornalistico pubblicato su Progreso Semanal, oltre al numero di disposizioni legali che impongono “sanzioni implacabili su tutti gli aspetti della capacità di avanzamento economico di Cuba”, esso vieta all’isola normali relazioni commerciali con gli USA e il resto del pianeta.
Per più di 60 anni gli USA hanno iniziato una guerra contro Cuba, prima ancora di dichiararsi socialista, solo per decidere di non essere più una neo-colonia yankee, come era stato dal 26 febbraio 1901, quando il Senato di quel paese approvò il cosiddetto Emendamento Platt, appendice che gli USA imposero alla nascente Costituzione, insieme al Trattato Permanente, che incatenò l’indipendenza dell’isola sino al 1958.