Intervista
apparsa sul quotidiano Granma in data 5 e 6 agosto 2002 a firma
F.V.Gonzàlez.
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Questo nuovo capitalismo sta creando nuove ingiustizie. L'abuso nella lotta contro il terrorismo va a detrimento della libertà individuale e dei diritti umani.
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La prima questione affrontata è la globalizzazione neoliberale, che Ramonet chiama, semplicemente, globalizzazione, "dunque", precisa, "benché possa averne varie, l'attuale è la liberale". Gli dico che molto si è parlato delle caratteristiche di questa globalizzazione e dei suoi nefasti risultati; ma, in questo caso, quella che mi interessa è la valutazione di Ramonet circa un'alternativa alla globalizzazione neoliberale. Se non è la globalizzazione neoliberale, allora, che cosa è la società che vogliamo e come l'otteniamo? "È realmente una domanda difficile. È la domanda che oggigiorno
più ci preoccupa. Il contesto geo-politico che si crea alla fine degli anni ottanta e
ai principi degli anni novanta è marcato da tre grandi avvenimenti: la caduta del Muro di Berlino
nel novembre '89; la Guerra del Golfo inizi '91; e la sparizione, l'implosione, dell'Unione Sovietica
nel dicembre '91. A partire da quel momento si entra in un mondo nuovo e si mettono anche in moto meccanismi economici di altro tipo. Ma, in
quel dato momento, non sapevamo ancora cosa fosse la globalizzazione. La parola "globalizzazione" non esisteva ancora. Incominciava ad essere proposta
da alcuni critici. Era la tappa di definizione della globalizzazione. Prima fase: una fase di comprensione. Seconda fase: una fase di protesta. E la terza fase è quella di formulare controproposte alla globalizzazione; che è quello che lei
mi domanda. Cioè, ora noi sappiamo già quello che è la globalizzazione. Abbiamo protestato per strada
manifestando contro la globalizzazione; ma che cosa proponiamo? Questo è l'obiettivo del Foro Sociale Mondiale di
Porto Alegre. Noi abbiamo proposto ai nostri amici brasiliani e dopo a tutte le ONG ed associazioni internazionali che criticavano la globalizzazione,
di creare un Foro Sociale Mondiale nello stesso momento in cui aveva luogo il Foro Economico Mondiale in Davos, alla fine di gennaio-principi di febbraio di ogni anno, e riunire lì
tutta l'Umanità. Non i rappresentanti dei Governi, non i rappresentanti
degli Stati, non i rappresentanti di organismi internazionali legati all'economia, bensì
associazioni rappresentative di quello che si chiama in generale "la società civile", delle società reali, dei
popoli, dell'Umanità in definitiva. Porto Alegre ebbe luogo nel 2001 e nel 2002. E
Porto Alegre è, un po', la risposta alla globalizzazione. Non è una risposta, diciamo, dello stesso tipo che il socialismo fu una risposta al capitalismo. La risposta è stata lunga, ma sostanziosa nel suo contenuto. Chiedo se il Foro Sociale Mondiale e quello che rappresenta, riuscisse a modificare la globalizzazione neoliberale, avremmo allora, che società? Un nuovo socialismo? Avremmo un capitalismo non neoliberale? "Nella mia opinione, Porto Alegre non propone qualcosa come un pacchetto già fatto che si chiamerebbe il nuovo socialismo. Non lo propone. Dobbiamo tener conto che elaborare una teoria richiede molto tempo. Per esempio, i sovietici pensavano di avere la teoria, conquistarono il potere, e l'applicazione di quella teoria è stato molto complicata, non solo lì, bensì in molti paesi, perché non è sempre facile passare della teoria alla pratica. Ma per lo meno esisteva un corpus teorico. Oggigiorno questo corpus teorico non esiste. In Porto Alegre, sinceramente, molti gruppi rappresentativi non vogliono tornare a ricreare l'esperienza sovietica che ha avuto evidentemente aspetti molto positivi; ma aspetti molto negativi. Allora, quello che sì è fatto a Porto Alegre è dire: ` la globalizzazione sta avanzando così... bisogna correggerla.' C'è una serie di correttivi da apportare e che sono di una tremenda urgenza." Quali sono questi correttivi? "Per esempio, il debito del Terzo Mondo, la soppressione dei ' paradisi fiscali ', introdurre etica e morale nel dominio economico. Anche Porto Alegre propone applicare la Tobin Tax per evitare la speculazione finanziaria e creare un fondo che sia reinvestito nei paesi poveri. Il secondo tema affrontato è il ruolo che giocano i mezzi di diffusione, il chiamato "potere mediatico." "La globalizzazione ha tre fronti. Il primo fronte è il fronte economico. La globalizzazione liberale è, essenzialmente, un fenomeno economico e finanziario. Il secondo fronte che si è aperto dopo il 11 di settembre è il fronte militare. Gli USA hanno assunto la funzione di essere il braccio armato della globalizzazione. Questo secondo fronte suppone che tutto quello che si oppone alla globalizzazione corre il rischio di essere accusato di terrorismo. Ma a questi due fronti si aggiunge un terzo che, secondo me, è il fronte centrale; il fronte ideologico. È il fronte che ha come obiettivo convincere ogni persona del mondo che la globalizzazione è la cosa migliore che può succedere al pianeta. Questa è l'idea. E chi lavora su questo fronte sono i mezzi di comunicazione. I mezzi di comunicazione di masse si sono trasformati nella nostra epoca, io direi, nel secondo potere. Si è parlato per molto tempo dei tre poteri. Oggigiorno il primo potere è il potere economico ed il secondo a potere è il potere mediatico. Il potere politico viene molto dopo. E, inoltre, il potere mediatico è anche potere economico. Perché il potere mediatico, oggi, è il potere di gruppi industriali mediatici, che sono attori centrali della vita economica internazionale. Perché? Perché quello che noi chiamiamo informazione, nel senso ampio della parola, non è solo la stampa, la radio e la televisione. La comunicazione è tutto quella che ha a che vedere col mondo dell'informatica, il mondo della telefonia, il mondo dell'elettricità, il mondo della comunicazione satellitare, etc. E quindi, la comunicazione è oggigiorno un'industria pesante. Ciò che in altra epoca fu la siderurgia, la costruzione di auto, l'estrazione di petrolio oggigiorno è la comunicazione. I grandi gruppi della comunicazione sono i grandi gruppi del potere economico. Il gruppo Time Warner, Vivendi, il Murdoch, sono attori centrali. Quindi, oggigiorno il potere mediatico combina potere economico e potere ideologico." Gli chiedo che mi interessa sapere come i potenti di questo Mondo utilizzano la forza mediatica.
Oggi "i mezzi fanno un abuso della libertà di espressione nella misura in cui possono mettere tutta la loro forza ideologica e mediatica al servizio di alcuni obiettivi che sono puramente politici. Abbiamo davanti agli occhi quello che sta passando in Venezuela. I grandi mezzi venezuelani che appartengono al settore privato, stanno usurpando la funzione di opposizione politica, occupando la funzione di opposizione politica, e conducendo una campagna a base di manipolazioni, a base di bugie, a base di deformazioni, di disinformazioni, contro il governo legittimo e democratico del Venezuela. E hanno potuto già fare cosa rara nella storia politica internazionale: un colpo di Stato mediatico l' 11 aprile scorso. Cioè, in un contesto nel quale il governo democratico e legittimo rispetta totalmente la libertà di espressione, vediamo come i mezzi, con l'aiuto di molti organismi internazionali, hanno potuto fare un colpo di Stato mediatico. E in questo momento stanno lavorando nella preparazione di un prossimo colpo mediatico. In questo caso, il potere mediatico è un potere che non tollera le critiche contro la globalizzazione che censura quegli intellettuali, quegli universitari, quegli economisti, che sviluppano tesi ostili alla globalizzazione." È possibile utilizzare le nuove tecnologie, di Internet, etc. da parte di coloro che lottano contro la globalizzazione neoliberale? "Le nuove tecnologie, Internet soprattutto, possono trasformarsi in uno strumento di controinformazione. Tutto il movimento antiglobalizzazione sta utilizzando Internet per costituire reti, per diffondere informazione, per creare associazioni, per organizzare manifestazioni, etc., su scala planetaria, cosa che prima era più difficile da realizzare, costava molto più caro. Internet dimostra che è relativamente facile da utilizzare, non è molto caro ed è sempre su scala planetaria. Possono mobilitarsi decine di milioni di persone; in ogni caso, informare, inviare messaggi a gruppi, a reti, che essi possono ritrasmetterli. Non solo Internet permette un uso, diciamo, alternativo della comunicazione. È importante l'uso delle radio alternative, l'uso della stampa alternativa. È più difficile potere parlare di televisione alternativa, benché con Internet incominci ad esserci elementi di televisione leggera. Tutte le grandi associazioni internazionali, quelle che parteciparono a Porto Alegre in particolare hanno il proprio sistema di informazione, hanno il loro sito Internet, hanno relazioni con molte radio alternative, diffondono volantini, diffondono documenti, diffondono libri. Oggigiorno, da un lato stanno i grandi imperi mediatici con una capacità di intervento eccezionale; ma dall'altra parte, stanno tutte le ` zanzare mediatiche' che sono un vero sciame e che in definitiva hanno una capacità di intervento. Io penso che oggigiorno, dal punto di vista mediatico, c'è una capacità di resistenza che può utilizzarsi." Tuttavia, la situazione tecnologica e la diffusione di Internet che può utilizzare il movimento antiglobalización in Europa non è la stessa del Terzo Mondo.
Allora, il movimento antiglobalizzazione non può utilizzare Internet con efficacia nel Terzo Mondo? Non si può essere tanto assoluti. Per esempio, proprio in America Latina Internet è molto diffuso, e basta che una persona abbia ricevuto un'informazione per Internet affinché la riporti ai suoi studenti, ai suoi alunni, al suo gruppo di azione, cioè, un computer ha una capacità di diffusione di informazione molto più ampia." Passo ad un altro tema. E dentro questo contesto, che carta può giocare il Sistema delle Nazioni Unite? "Una delle vittime del 11 di settembre sono le Nazioni Unite. Forse una delle prime vittime. Perché le Nazioni Unite, già dalla sparizione dell'Unione Sovietica, erano entrati in crisi, in quanto organizzazione incaricata di mantenere la pace nel Mondo che è la funzione principale delle Nazioni Unite. Siamo passati da un mondo bilaterale, un mondo nel quale esisteva un certo equilibrio dove tutto non era possibile, né da parte di uno né da parte dell' altro, perché l'altro l'impediva, ad un mondo unilaterale nel quale la dominazione, in particolare militare, ma anche economica, politica, tecnologica, culturale dell'USA è schiacciante. Washington stima che nelle relazioni internazionali non si ha bisogno oramai di un arbitro; essi stessi sono l'arbitro. Dal1991 le Nazioni Unite erano un'organizzazione in crisi, incapace di far rispettare un certo numero di considerazioni; ma dal 11 settembre questa crisi si è acutizzata. Gli USA non rispettano praticamente neppure alcuni accordi internazionali da loro firmati, dai governi precedenti l'attuale. Come per esempio, gli accordi di Kyoto o il rifiuto USA del Tribunale Internazionale di Giustizia. Nel mondo attuale si produce il seguente paradosso : le Nazioni Unite non è sono mai state tanto necessarie come oggi, le società hanno bisogno di un'istituzione-giudice, di un'istituzione, diciamo, obiettiva, neutra, che dica, un po', la giustizia nel Mondo. Quando in realtà abbiamo come dominante uno Stato, gli USA, che fortunatamente non è il Terzo Reich; ma è una nazione dominante, soprattutto con questa amministrazione repubblicana. Noi pensiamo che sia preferibile la forza della legge che la legge della forza. E questa deve essere applicata dalle Nazioni Unite." Dato il momento attuale, è tema obbligato conoscere l'opinione del dottore Ramonet circa la lotta contro il terrorismo su scala mondiale. "Io credo che dopo l' 11 settembre siamo entrati in una nuova fase strategica: Il fatto che l'amministrazione nordamericana, e molto concretamente il ministro della difesa Donald Rumsfeld, abbia dichiarato che si entrava praticamente in una guerra senza fine, senza limiti, che questa guerra durerà 10; 15; 20; 50 anni, e che il nemico principale era il terrorismo, ci fa temere che entriamo in una specie di nuova 'guerra fredda' che immediatamente implica l'idea di un nuovo maccartismo. Il terrorismo non ha una definizione unica, neanche gli organismi internazionali sono riusciti a mettersi di accordo su una definizione di terrorismo. Bisogna dire che gli attentati dell' 11settembre sono un crimine e che niente, nessuna causa, può giustificare simile crimine. Ma noi pensiamo che scatenare una lotta di lunga durata, di molto lunga durata, mezzo secolo, contro una nebulosa chiamata terrorismo, dà adito a molte irregolarità, perché chiunque può essere domani qualificato di terrorista, nella misura in cui l'amministrazione nordamericana si riserva il diritto di identificare i terrorismi. Per esempio, noi che siamo molto coinvolti in questo movimento contro la globalizzazione, sentiamo che in questa cornice della lotta contro il terrorismo molti sarebbero interessati ad affermare che questo movimento antiglobalizzazione è già l'anticamera del terrorismo. Nella sua immensa maggioranza, il movimento contro la globalizzazione è un movimento non violento che condanna l'uso della violenza. Ma, abbiamo ascoltato dichiarazioni che assimilano il movimento antimondializzazione al terrorismo. Questo può dare luogo a molte situazioni di abuso dei diritti umani. Lo stiamo vedendo negli USA. Lo stiamo vedendo con l'uso e l'abuso che si sta facendo nella base militare di Guantánamo, dove si è creato una specie di centro di detenzione 'off shore'. È la variante nel penale del "paradiso fiscale", gli chiedo.
Fino ad ora abbiamo parlato di aspetti globali del mondo, chiedo al dottore Ramonet. Vuole affrontare aspetti regionali. Che prospettiva vede lei nell'Unione Europea con l'incorporazione di nuove nazioni?
Si fermerà lì l'Unione Europea? No, in un terzo tempo si pensa di integrare la Turchia e se si integra la Turchia, io penso che in quel caso si integrerebbero anche gli Stati di Transcaucasia, cioè, Georgia, Armena ed Azerbaiján, che si considerano come paesi europei nell'Europa politica. Stiamo a due anni da un insieme di 450 milioni di abitanti, cioè, da un insieme di peso considerevole. L'Unione Europea ha attualmente 360 milioni di abitanti, cioè, sono già 100 milioni più che i nordamericani. Ma con 450 milioni, il peso demografico sarà considerevole. Bisogna tenere in conto che l'Unione Europea è già la prima potenza commerciale del Mondo, prima degli USA quindi, dal punto di vista demografico ed economico, costituisce un'entità politico economica considerevole." Esisteranno problemi con questo ampliamento? "Sì, questo ampliamento crea enormi problemi poiché presuppone l'integrazione di economie molto poco sviluppate. La polacca, in particolare, in questo primo tempo, la slovacca, sono economie che hanno bisogno di aiuti colossali. Pensi che l'unico paese dell'Europa dell'est che è stato assorbito, fino ad ora, è la RDA, che era il paese più sviluppato dell'Europa dell'est. Ma l'assorbimento e l'allineamento della RDA è costato a tutti gli europei uno sforzo colossale ed ha avuto conseguenze sull'indice d'inflazione, sull'indice di sviluppo dell'insieme dell'Unione Europea. Ed era un piccolo paese. Ora si tenta di assorbire, per esempio, la Polonia, che è un paese di 30 milioni di abitanti; l'Ungheria, quasi 10 milioni. Allora, io penso che i soprassalti saranno difficili. Le agricolture avranno difficoltà. D'altra parte, la gestione dell'Unione Europea sarà molto più difficile. È già difficile con 15 membri; ma è molto più difficile con 22. Perché ognuno ha diritto di veto, secondo i regolamenti. A sua volta, l'ampliamento non risolve uno dei principali problemi che ha l'Unione Europea che è un'entità economica, ma non è un'entità in materia di politica estera. Io credo che l'arrivo dei paesi nuovi complichi ancora più l'omogeneità della politica estera dell'Unione Europea. E, evidentemente, chi dice politica estera, dice politica militare. L'Unione Europea non ha una politica unica sul piano militare; e finché non l' ha, non può essere una potenza in materia di politica estera. Questo vuole dire che l'Europa continuerà ad essere un gigante economico coi piedi di argilla dal punto di vista militare ed in materia di politica estera. L'Europa continuerà a pesare poco di fronte al peso che possono avere gli USA. Nelle crisi internazionali, nella misura in cui l'Europa non disponga di un strumento militare che sia all'altezza della sua politica estera, a condizione che questa sia omogenea, neanche potrà essere un contrappeso sufficiente per gli USA. Io credo che i prossimi lavori stiano nell'ottenere una maggiore coesione in materia di politica estera, che l'Europa s'imponga come attore. D'altra parte, nell'ultimo secolo e mezzo, la tragedia dell'Europa è stata che la forza politica dominante in Europa, in una maniera o nell'altra, sono stati i nazionalismi. Ed io credo che la costituzione dell'Europa riduca i nazionalismi e le prospettive dei nazionalismi che hanno tendenza alla partizione, alla divisione, allo scontro.
Cambiando regione, dottore, che cosa può dirci dell'America Latina e dell'Alca? Come possono i paesi latinoamericani difendersi dalla minaccia
costituita dall'Alca?
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La primera cuestión abordada es la globalización neoliberal, a la cual Ramonet le llama, simplemente, globalización, "pues", precisa, "aunque puede haber varias, la real actual es la liberal". Le digo que mucho se ha hablado de las características de esta globalización y de sus nefastos resultados; pero, en este caso, lo que procuro es la valoración de Ramonet acerca de una alternativa a la globalización neoliberal. Si no es la globalización neoliberal, entonces, ¿qué es la sociedad que queremos y cómo la logramos?
"Es
realmente una pregunta difícil. Es la pregunta que hoy día a nosotros
nos preocupa bastante. El
contexto geopolítico que se da a finales de los años ochenta y
principios de los años noventa está marcado por tres grandes
acontecimientos: la caída del Muro de Berlín en noviembre de 1989; la
Guerra del Golfo a principios de 1991; y la desaparición, la implosión,
de la Unión Soviética en diciembre de 1991. A partir de ese momento se
entra en un mundo nuevo y se ponen en marcha también mecanismos económicos
de otro tipo. Pero, en ese momento, aún no sabemos lo que es la
globalización. La palabra "globalización" aún no existía.
Empezaba a ser propuesta por algunos críticos. Era la etapa de definición
de la globalización. Una vez que se había identificado a la globalización y ya sabíamos cómo estaba funcionando, surge una segunda etapa, que ha sido de protesta contra la globalización. Y así han surgido una serie de Organizaciones No Gubernamentales (ONGs); nosotros habíamos lanzado ATTAC (Asociación por una Tasa sobre las Transacciones especulativas para Ayuda a los Ciudadanos), criticando las decisiones financieras de la globalización. Se había podido también movilizar a nuevas generaciones que protestaban contra la globalización y que se manifiestan por primera vez en la Cumbre de la OMC, en Seattle, en diciembre del '99. Esta es una segunda fase. Primera fase: una fase de comprensión. Segunda fase: una fase de protesta. Y
la tercera fase es la de formular contrapropuestas a la globalización;
que es lo que usted pregunta. Es decir, nosotros ahora ya sabemos lo que
es la globalización. Hemos protestado en la calle manifestándonos
contra la globalización; pero ¿qué proponemos nosotros? Este es el
objetivo del Foro Social Mundial de Porto Alegre. Nosotros hemos
propuesto a nuestros amigos brasileños y luego a todas las ONG y
asociaciones internacionales que criticaban la globalización, crear un
Foro Social Mundial en el mismo momento en que tenía lugar el Foro Económico
Mundial en Davos, es decir, a fines de enero-principios de febrero de
cada año, y reunir allí a toda la Humanidad. No
a representantes de Gobiernos, no a representantes de Estados, no a
representantes de organismos internacionales ligados a la economía,
sino a asociaciones representativas de lo que se llama en general
"la sociedad civil", de las sociedades reales, de los pueblos,
de la Humanidad en definitiva. Porto Alegre tuvo lugar en el 2001 y en
el 2002. Y Porto Alegre es, un poco, la respuesta a la
globalización. No es una respuesta, digamos, del mismo tipo que el
socialismo fue una respuesta al capitalismo. "Cuando
aparece el capitalismo, en el final del siglo XVIII-principio del siglo
XIX, suscita una serie de fascinaciones. Por una parte hay tecnologías
nuevas, la máquina de vapor, y nuevos medios de comunicaciones: el
ferrocarril, con lo que eso supone de aceleración de la economía y de
los intercambios. El capitalismo también genera un desarrollo fantástico
del enriquecimiento de aquellos que se benefician de estos aportes técnicos.
Esta revolución hace surgir una clase social nueva, los obreros, y que
necesita de una teoría para compensar al capitalismo. Esa teoría es el
socialismo. Y
el socialismo, en su oposición al capitalismo, es lo que ha
caracterizado estos dos últimos siglos: siglo XIX y siglo XX. En este
momento nosotros pensamos que lo que llamamos globalización es una
segunda revolución capitalista. Estamos ante otro tipo de capitalismo,
que es un capitalismo financiero, que evidentemente hace que la
locomotora de ese capitalismo ya no es la producción fabril, ya no es
la producción de objetos materiales y tangibles. Ahora la locomotora de
ese capitalismo es la especulación financiera. Estamos
en una fase que se caracteriza también por la aparición de lo que
llamamos "las nuevas tecnologías", es decir, Internet, un
nuevo sector de comunicación. Internet ha permitido la aparición
de un medio de comunicación nuevo, igual que el capitalismo primero había
permitido la aparición del ferrocarril como un medio de comunicación
nuevo. Y
por Internet, ¿qué es lo que circula? No circulan objetos materiales,
lo que circulan son objetos inmateriales. Entonces, este capitalismo
nuevo está creando una sociedad nueva, unas aceleraciones nuevas, unos
enriquecimientos nuevos y, por otra parte, unas injusticias nuevas. Este
nuevo capitalismo supone, evidentemente, la elaboración de un nuevo
socialismo."
La
respuesta ha sido larga, pero sustanciosa en su contenido. Le pregunto
que si el Foro Social Mundial y lo que él representa, logra modificar
la globalización neoliberal, tendríamos entonces, ¿qué sociedad? ¿Un
nuevo socialismo? ¿Tendríamos un capitalismo no neoliberal? "En
mi opinión, Porto Alegre no propone algo así como un paquete ya hecho
que se llamaría el nuevo socialismo. No lo propone. Tengamos en cuenta
que elaborar una teoría requiere mucho tiempo. Por ejemplo, los soviéticos
pensaban tener la teoría, conquistaron el poder, y la aplicación de
esa teoría ha sido muy complicada, no solo ahí, sino en muchos países,
porque no siempre es fácil pasar de la teoría a la práctica. Pero por
lo menos existía un corpus teórico. Hoy día ese corpus teórico no
existe. En Porto Alegre, sinceramente, muchos grupos representativos no
quieren volver a recrear la experiencia soviética, que ha tenido
evidentemente aspectos muy positivos; pero aspectos muy negativos.
Entonces, lo que sí ha hecho Porto Alegre es decir: `la globalización
está avanzando así... hay que corregirla.' Hay
una serie de correctivos que aportar y que son de una tremenda urgencia." ¿Cuáles
son estos correctivos? "Por
ejemplo, la deuda del Tercer Mundo, la supresión de los 'paraísos
fiscales', introducir ética y moral en el dominio económico. También
Porto Alegre propone aplicar la Tasa Tobin para evitar la especulación
financiera y crear un fondo que sea revertido a los países pobres. El
segundo tema abordado es el papel que juegan los medios de difusión, el
llamado "poder mediático". "La globalización tiene tres frentes. El primer frente es el frente económico. La globalización liberal es, esencialmente, un fenómeno económico y financiero. El segundo frente que se ha abierto después del 11 de septiembre es el frente militar. Los EE.UU. han asumido la función de ser el brazo armado de la globalización. Este segundo frente supone que todo aquel que se opone a la globalización corre el riesgo de ser acusado de terrorismo. Pero
a estos dos frentes se añade un tercer frente, que en mi opinión es un
frente central, y que es el frente ideológico. Es el frente de tratar
de convencer a cada persona del planeta de que la globalización es lo
mejor que le puede ocurrir al planeta. Esa es la idea. Y
quien trabaja sobre ese frente son los medios de comunicación. Los
medios de comunicación de masas se han transformado en nuestra época
en, yo diría, el segundo poder. Se ha hablado durante mucho tiempo de
los tres poderes. Hoy día el primer poder es el poder económico y el
segundo poder es el poder mediático. El
poder político viene mucho después. Y, además, el poder mediático es
también poder económico. Porque
el poder mediático, hoy, es el poder de grupos industriales mediáticos,
que son actores centrales de la vida económica internacional. ¿Por qué?
Porque lo que nosotros llamamos información, en el sentido amplio de la
palabra, no es solo la prensa, la radio y la televisión. La
comunicación es todo lo que tiene que ver con el mundo de la informática,
el mundo de la telefonía, el mundo de la electricidad, el mundo de la
comunicación satelital, etc. Y por consiguiente, la comunicación es
hoy día una industria pesada. Lo que en otra época fue la siderurgia,
la construcción automóvil, la extracción de petróleo, hoy día es la
comunicación. Los
grandes grupos de la comunicación son grandes grupos del poder económico.
El
grupo Time Warner, Vivendi, el Murdoch, son actores centrales. Por
consiguiente, el poder mediático hoy día combina poder económico y
poder ideológico." Le
digo que me interesa saber cómo los poderosos de este Mundo utilizan la
fuerza mediática. "Los
medios hoy hacen un abuso de la libertad de expresión en la medida en
que pueden poner toda su fuerza ideológica y mediática al servicio de
unos objetivos que son puramente políticos. Tenemos ante los ojos lo
que está pasando en Venezuela. Los grandes medios venezolanos, que
pertenecen al sector privado, están usurpando la función de oposición
política, ocupando la función de oposición política, y conduciendo
una campaña a base de manipulaciones, a base de mentiras, a base de
deformaciones, de desinformaciones, contra el gobierno legítimo y
democrático de Venezuela. Y ya han podido hacer cosa rarísima en la
historia política internacional: un golpe de Estado mediático el 11 de
abril pasado. Es decir, en un contexto en el que el gobierno democrático
y legítimo respeta totalmente la libertad de expresión, vemos cómo
los medios, con la ayuda de muchos organismos internacionales, han
podido hacer un golpe de Estado mediático. Y ahora mismo están
trabajando en la preparación de un próximo golpe mediático. En este
caso, el poder mediático es un poder que no tolera las críticas contra
la globalización, que censura a aquellos intelectuales, aquellos
universitarios, aquellos economistas, que desarrollan tesis hostiles a
la globalización." ¿Es
posible utilizar las nuevas tecnologías, de Internet, etc. por parte de
los que luchan contra la globalización neoliberal?
"Las
nuevas tecnologías, Internet sobre todo, pueden también transformarse
en un instrumento de contrainformación. Es decir, que todo el
movimiento antiglobalización está utilizando Internet para constituir
redes, difundir información, para crear asociaciones, organizar
manifestaciones, etc., a escala planetaria, cosa que antes era más difícil
de realizar, costaba mucho más caro. Internet demuestra que es
relativamente fácil de utilizar, no es muy caro y es siempre
planetario. Se pueden movilizar decenas de millones de personas; en todo
caso, informar, enviar mensajes a grupos, a redes, que ellos pueden
retransmitirlos. No solo
Internet permite un uso, digamos, alternativo de la comunicación. Es
importante el uso de las radios alternativas, el uso de la prensa
alternativa. Es más difícil poder hablar de televisión alternativa,
aunque con Internet empieza a haber elementos de televisión ligera.
Todas las grandes asociaciones internacionales, aquellas que participan
en Porto Alegre en particular, tienen su propio sistema de información,
tienen su sitio Internet, tienen relaciones con muchas radios
alternativas, difunden octavillas, difunden documentos, difunden libros.
Hoy día, por una parte están los grandes imperios mediáticos con un
capacidad de intervención excepcional; pero por otra parte, están
todos los `mosquitos mediáticos', que son un verdadero enjambre y que
en definitiva tienen una capacidad de intervención. Yo pienso que hoy día,
desde el punto de vista mediático, hay una capacidad de resistencia que
se puede utilizar." Sin
embargo, la situación tecnológica y la difusión de Internet que puede
utilizar el movimiento antiglobalización en Europa no es la misma que
la del Tercer Mundo. "Mire,
yo estaba recientemente en San José de Costa Rica, en un Congreso de
periodistas de toda América Latina que se ocupan de la radio. Y
la mayoría de los periodistas que estaban allí trabajaban en radios
alternativas, en radios de asociaciones, en radios de grupos locales,
radios cristianas, radios ligadas a grupos de barrios, y todos ellos
estaban convencidos de que hay una capacidad excepcional para movilizar,
en particular, a los sectores populares. La
radio es un fenómeno extraordinariamente popular, relativamente barato.
La radio ahora alcanza a todas las poblaciones, aunque no tengan
electricidad o que se encuentren aislados en el campo. Por consiguiente,
la radio en sí ya es un mundo que llega al universo de la población
sin electricidad. No olvidemos que hay dos mil millones de personas sin
electricidad en el Mundo y que, por consiguiente, no tienen acceso a la
televisión, están aisladas. Tampoco tienen acceso a la prensa escrita.
En el Tercer Mundo la radio es infinitamente más eficaz que los medios
que nosotros conocemos." Entonces,
¿el movimiento antiglobalización no puede utilizar Internet con
eficacia en el Tercer Mundo? "No
se puede ser tan absoluto. Por ejemplo, en la propia América Latina
Internet está muy difundida, y basta que una persona haya recibido una
información por Internet para que la repercuta con sus estudiantes, con
sus alumnos, con su grupo de acción, es decir, que un ordenador tiene
una capacidad de difusión de información mucho más amplia." Paso
a otro tema. Y
dentro de este contexto, ¿qué papel puede jugar el Sistema de las
Naciones Unidas? "Una
de las víctimas del 11 de septiembre son las Naciones Unidas. Quizás
una de las primeras víctimas. Porque, ya las Naciones Unidas, desde la
desaparición de la Unión Soviética, habían entrado en crisis, en
tanto que organización encargada de mantener la paz en el Mundo, que es
la función principal de Naciones Unidas. Hemos
pasado de un mundo bilateral, de un mundo en el que existía cierto
equilibrio donde todo no era posible, ni por parte de uno ni por parte
de otro, porque el otro lo impedía, a un mundo unilateral en el que la
dominación, en particular militar, pero también económica, política,
tecnológica, cultural de los EE.UU. es aplastante. Washington estima
que en las relaciones internacionales ya no se necesita un árbitro; el
árbitro son ellos. Desde 1991 Naciones Unidas era una organización en
crisis, incapaz de hacer respetar cierto número de consideraciones;
pero desde el 11 de septiembre esta crisis se ha agudizado. Los EE.UU.
ya prácticamente no respetan ni siquiera algunos acuerdos
internacionales firmados por ellos, por gobiernos precedentes del actual.
Como por ejemplo, los acuerdos de Kyoto o el rechazo de EE.UU. al
Tribunal Internacional de Justicia. En el mundo actual se produce la
paradoja siguiente: nunca Naciones Unidas ha sido tan necesaria como hoy,
las sociedades necesitan de una institución-juez, de una institución,
digamos, objetiva, neutra, que diga, un poco, la justicia en el Mundo.
Cuando en realidad tenemos como dominante a un Estado, los EE.UU., que
afortunadamente no es el Tercer Reich; pero es una nación dominante,
sobre todo con esta administración republicana. Nosotros
pensamos que es preferible la fuerza de la ley que la ley de la fuerza. Y
eso debe aplicarlo Naciones Unidas." Debido
al momento actual, es tema obligado conocer la opinión del doctor
Ramonet acerca de la lucha contra el terrorismo a escala mundial. "Yo
creo que después del 11 de septiembre hemos entrado en una nueva fase
estratégica: El hecho de que la administración norteamericana, y muy
concretamente el ministro de defensa Donald Rumsfeld, haya declarado que
se entraba en una guerra prácticamente sin fin, sin límites, que esta
guerra duraría 10; 15; 20; 50 años, y que el enemigo principal era el
terrorismo, nos hace temer de que entremos en una especie de nueva
`guerra fría' que inmediatamente conlleva la idea de un nuevo
macartismo. El terrorismo no tiene una definición única, ni siquiera
los organismos internacionales han conseguido ponerse de acuerdo sobre
una definición del terrorismo. Hay
que decir que los atentados del 11 de septiembre son un crimen y que
nada, ninguna causa, puede justificar semejante crimen. Pero
nosotros pensamos que desencadenar una lucha de larga duración, de muy
larga duración, medio siglo, contra una nebulosa llamada terrorismo, da
pie a muchas irregularidades, porque cualquiera puede ser mañana
calificado de terrorista, en la medida que la administración
norteamericana se reserva el derecho de identificar a los terrorismos.
Por ejemplo, nosotros que estamos muy envueltos en este movimiento
contra la globalización, sentimos que en este marco de la lucha contra
el terrorismo muchos estarían interesados en decir que este movimiento
antiglobalización ya es la antesala del terrorismo. En su inmensa mayoría,
el movimiento contra la globalización es un movimiento no violento que
condena el uso de la violencia. Pero, hemos escuchado declaraciones
asimilando el movimiento antimundialización a los prolegómenos del
terrorismo. Esto
puede dar lugar a muchas situaciones de abuso de derechos humanos. Lo
estamos viendo en EE.UU. Lo estamos viendo con el uso y el abuso que se
está haciendo en la base militar de Guantánamo, donde se ha creado allí
una especie de centro de detención `off shore'." Es
la variante en lo penal del "paraíso fiscal", le digo. "Efectivamente,
es una especie de `paraíso penal', porque ahí no hay ley ninguna que
se aplique. Se aplica la ley que decidan ellos; pero eso no puede ser,
eso no existe en ninguna parte. Hasta la justicia militar tiene reglas.
Ahí se ha creado una especie de limbo jurídico y, evidentemente, eso
plantea problemas. El abuso en la lucha contra el terrorismo va en
detrimento de la libertad individual y de los derechos humanos." Hasta
ahora hemos estado hablando de aspectos globales del mundo, le digo al
doctor Ramonet. Quisiera abordar aspectos regionales. ¿Qué perspectiva
usted ve en la Unión Europea con la incorporación de nuevas naciones? "La
Unión Europea está a la víspera de una ampliación colosal, porque
los 15 países de la Unión Europea van a absorber, de aquí al 2003,
siete nuevos países y, en un segundo tiempo, cuatro más, o sea, once
países en total: Polonia, Hungría, Chequia, varios países bálticos,
Eslovaquia, Rumania, Bulgaria, Eslovenia, Chipre y Malta. Y para una época
posterior, se piensa integrar los países de la ex Yugoeslavia, ya
Eslovenia entra en este primer paquete. Es decir, la frontera de la Unión
Europea terminaría en Bielorrusia, Ucrania y Moldavia." ¿Se
detendrá ahí la Unión Europea? No,
en un tercer tiempo se piensa integrar a Turquía y si se integra Turquía,
yo pienso que en ese caso se integrarían también los Estados de
Transcaucasia, es decir, Georgia, Armenia y Azerbaiján, que se
consideran como países europeos en la Europa política. Estamos a dos años
de un conjunto de 450 millones de habitantes, o sea, de un conjunto de
un peso considerable. La
Unión Europea tiene actualmente 360 millones de habitantes, es decir,
ya son 100 millones más que los norteamericanos. Pero
con 450 millones, el peso demográfico será considerable. Hay que tener
en cuenta que la Unión Europea ya es la primera potencia comercial del
Mundo, antes que los EE.UU. Por consiguiente, desde el punto de vista
demográfico y económico, constituye una entidad político-económica
considerable." ¿Existirán
problemas con esta ampliación? "Sí,
esta ampliación plantea enormes problemas. La ampliación supone la
integración de economías muy poco desarrolladas. La polaca, en
particular, en este primer tiempo, la eslovaca, son economías que van a
necesitar ayudas colosales. Piense, que el único país de Europa del
Este que se ha absorbido, hasta ahora, es la RDA, que era el país más
desarrollado de Europa del Este. Pero la absorción y la puesta a nivel
de la RDA ha costado a todos los europeos un esfuerzo colosal y ha
tenido consecuencias en el índice de inflación, en el índice de
desarrollo del conjunto de la Unión Europea. Y era un pequeño país. Ahora
se trata de absorber, por ejemplo, a Polonia, que es un país de 30
millones de habitantes; Hungría, casi 10 millones. Entonces, yo pienso
que los sobresaltos van a ser difíciles. Las agriculturas en particular
van a tener dificultades. Por
otra parte, la gestión de la Unión Europea va a ser mucho más difícil.
Ya es difícil con 15 miembros; pero va a ser mucho más difícil con
22. Porque cada uno tiene derecho de veto, según los reglamentos. A su
vez, la ampliación no resuelve uno de los principales problemas que
tiene la Unión Europea, que es una entidad económica, pero no es una
entidad en materia de política exterior. Yo creo que la llegada de los
países nuevos va a complicar aún más la homogeneidad de la política
exterior de la Unión Europea. Y, evidentemente, quien dice política
exterior, dice política militar. La Unión Europea no tiene una política
única en el plano militar; y mientras no la tenga, no puede ser una
potencia en materia de política exterior. Esto quiere decir que Europa
seguirá siendo un gigante económico con los pies de arcilla desde el
punto de vista militar y en materia de política exterior. Europa seguirá
pesando poco frente al peso que pueden tener los EE.UU. En las crisis
internacionales, en la medida en que Europa no disponga de un
instrumento militar que esté a la altura de su política exterior, a
condición de que esta sea homogénea, tampoco podrá ser un contrapeso
suficiente para los EE.UU. Yo creo que los trabajos por venir están en
conseguir mayor cohesión en materia de política exterior, que Europa
se imponga como un actor. Por otra parte, en el último siglo y medio,
la tragedia de Europa ha sido que la fuerza política dominante en
Europa, de una manera o de otra, han sido los nacionalismos. Y
yo creo que la constitución de Europa reduce los nacionalismos y las
perspectivas de los nacionalismos, que tienen tendencia a la partición,
a la división, al enfrentamiento. "Entonces, el hecho de que en el contexto internacional pudiera existir una entidad como la Unión Europea, con países profundamente democráticos, muy sensible a África, que es el drama primero de lo que ocurre en el Mundo, sería algo positivo; pero va a ser muy difícil." Cambiando de región, doctor, ¿qué nos puede decir de América Latina y del ALCA? ¿Cómo pueden los países latinoamericanos defenderse de la amenaza que constituye el ALCA? "El ALCA es la aplicación dogmática de la globalización liberal a América Latina. Crear una amplia zona de libre comercio es una manera de ser invadido por los productos norteamericanos. Va a ser un mercado de consumo de los productos norteamericanos. Cuando vemos la realidad de América Latina de hoy, es de espanto. Tenemos la situación en Colombia, a la que no se le ve solución. La situación en Perú, donde nos decían que el señor Toledo iba a solucionar todos los problemas, que tenía el apoyo total de la administración norteamericana. La popularidad de Toledo ha caído en picada, es un hombre que tiene hoy día no menos del 70% de la población en contra de él. La situación de Paraguay, hay estado de emergencia desde estos días. La situación de Uruguay es una situación desesperada. La situación de Ecuador, prácticamente de insurrección permanente. La situación de Brasil, en este momento, todo el capital, las empresas, están especulando contra la victoria de Lula; y la victoria de Lula es el deseo popular. En Venezuela, tenemos a la burguesía y a los medios acomodados luchando contra un gobierno que está tratando de impulsar una reforma importante de la situación general. Y por fin tenemos a Argentina, en una situación de desastre total. El único país, más o menos, de América del Sur, que está saliéndose de la situación, aún con crisis, es Chile. Y en México, donde también nos decían que con la desaparición del PRI ya se habían resuelto todos los problemas y que el señor Fox iba a solucionar los problemas, ahora tenemos una situación de impaciencia general, no se ven venir estas reformas que el señor Fox pretendía impulsar. México es el país que más apoya al ALCA, que ya está en el Tratado Norteamericano de Libre Comercio con Canadá y EE.UU. Hemos visto cómo una gran parte de la agricultura mexicana se arruinó como consecuencia de esto y no consigue salir. El ALCA, ¿qué solución aportaría? Ni el ALCA, ni el Plan Puebla-Panamá, que es únicamente un plan para rechazar la frontera sur de los EE.UU. y llevarla hacia la frontera de Panamá y hacer que la inmigración no llegue a EE.UU., esta es la única preocupación norteamericana. Yo no creo que el ALCA pueda aportar soluciones. América Latina acaba de pasar 15 años aplicando las leyes neoliberales en la mayoría de sus países. Ahí está el desastre ante los ojos, con una población más pobre que hace 15 años; con unas industrias más desmanteladas, en la mayoría de los países, que antes; con unas agriculturas más desmanteladas que antes; con unas deudas externas más importantes que antes. El balance de 15 años de neoliberalismo es desastroso. Y lo peor es que ¿cuál es la solución para estos países? ¿El regreso de los militares? ¿El regreso de las dictaduras? En el último año, ha habido 6 presidentes latinoamericanos derrocados por insurrecciones populares. Tenemos situaciones como Haití, donde los norteamericanos han querido aplicar su política y ahora no tienen ni siquiera relaciones con el señor Aristide, una situación catastrófica. Es decir, la situación del continente latinoamericano es extremadamente difícil, sin perspectivas. Y el ALCA viene a agudizarlo todo. El ALCA viene a decir que lo que se ha hecho desde hace 15 años, que ha dado este resultado catastrófico, ahora se va a realizar con mayor energía. El desastre será mayor aún". ¿No ve usted ninguna perspectiva positiva? "Bueno, las cosas podrían cambiar si el candidato del Partido de los Trabajadores en Brasil gana la elección presidencial. Eso sería un cambio interesante, porque significaría que una serie de reformas se pondrían en marcha. Pero cuando vemos lo que le está ocurriendo al presidente Chávez en Venezuela, podemos temerlo todo, de lo que pueda pasar en Brasil. Lo que ha ocurrido en Venezuela es muy ejemplar, porque los EE.UU. no apoyaban un golpe de Estado militar en América Latina desde 1991. El último Presidente derrocado por los militares en América Latina fue precisamente el presidente Aristide en el 91. Derrocado por el coronel Cedrás. En ese período se produjo, cosa insólita en el ámbito del Caribe y América Central, una intervención militar norteamericana para restablecer la democracia, no para instaurar una dictadura, que fue en el 94 en Haití. Ellos trajeron de nuevo a Aristide y lo pusieron en el poder. Es la primera vez, que yo recuerde, desde finales del siglo XIX, en que los EE.UU. intervienen militarmente para realmente instaurar una democracia. "En el golpe de Estado contra Chávez el 11 de abril pasado, nosotros sabemos que los EE.UU. estaban implicados, el señor Otto Reich estaba implicado, estaba informado, lo ha reconocido, los golpistas vinieron a verlo a su despacho a Washington. Ha habido representantes norteamericanos en Miraflores, en el propio Palacio Presidencial, durante las 48 horas que duró ese golpe de Estado. No estamos en condiciones, porque no disponemos de la información, de decir que los EE.UU. pilotearon ese golpe; pero estaban informados, acompañaron a ese golpe. Eso es nuevo. ¿Qué significa eso? ¿Significa que mañana a Lula le van a hacer lo mismo? ¿Es un aviso a los brasileños para que no voten por Lula? Todo es posible. Mire el papel que ha tenido el Embajador de EE.UU. en Nicaragua. Usted recuerda que la elección presidencial en Nicaragua tuvo lugar unos días después del 11 de septiembre. Y que por consiguiente, el Embajador de EE.UU. tuvo una influencia considerable frente a la opinión pública, diciendo que si se votaba por Daniel Ortega era una manera de votar prácticamente por los que habían puesto las bombas en Manhattan, cosa descabellada. Quiero decir que, no solo el ALCA es preocupante; también es preocupante ver ahora cómo la administración norteamericana puede reaccionar contra cualquier tentativa de reforma política y social que trate de modificar o contener un poco la globalización liberal y corregir la situación de desesperanza que hay en estos países. La opinión de Ramonet acerca de la estrategia de lucha a seguir en América Latina frente al ALCA se resume en el último diálogo sostenido en la entrevista. Bueno, y¿qué hacer en esas circunstancias doctor? Resistir, resistir.
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