mediatica nel caso cubano
di Ángeles
Diez
tratto da
www.cubaycuba.net
Il caso cubano é senza dubbio un esempio che sarà raccolto negli annali della manipolazione informativa.
In esso possiamo trovare quasi tutte le tecniche, dalle più grossolane alle
più sofisticate.
Concentriamoci su tre aspetti chiave per comprendere il
trattamento che si dà a Cuba sui media spagnoli:
a) la conversione di qualsiasi fatto in notizia, sia o non sia rilevante;
b) la sua esagerazione e sopravvalutazione;
c) la sintonia e unanimità indipendentemente dell’ideologia o degli interessi
del mezzo informativo.
Il numero di volte che appaiono notizie su Cuba nei nostri media e lo spazio dedicato all’isola, e soprattutto al suo Capo di Stato, é incomparabilmente maggiore che l’attenzione prestata a qualsiasi altro Paese (eccezion fatta per il Venezuela da quando Chávez é arrivato al potere, però questo si riduce a momenti più puntuali).
Si parla più di Cuba che di qualsiasi altro Paese dell’America Latina. La
domanda di qualsiasi spettatore - lettore - ascoltatore sensato potrebbe
essere: cosa giustifica questa copertura mediatica? Realmente si tratta di un
Paese tanto grande, tanto importante economicamente? O, forse si tratta di un
Paese dove si producono assassini in massa, casi accertati di tortura,
applicazione sistematica della pena di morte, violazione del diritto
internazionale, fame, epidemie?
Nessuna delle situazioni anteriori si manifestano a Cuba. Anche se le opinioni o dichiarazioni non contraddette dei dissidenti e gli articoli che leggiamo abitualmente possano farci credere il contrario, non esiste nessun dato obiettivo che collochi l’isola in situazione di tema da prima pagina, prima di paesi come l’Ecuador, la Bolivia, il Paraguay, per citare solo alcuni dell’area.
Di fatto se confrontiamo i rapporti di Amnesty International del 2002 su questi paesi, troveremo che si dice dell’Ecuador che “continuano a suscitare preoccupazione la tortura e i maltrattamenti e in particolare le morti sotto custodia”; della Bolivia si dice che i membri delle forze di sicurezza hanno commesso omicidi durante le manifestazioni; in Paraguay si informa su casi di tortura e maltrattamenti a presunti delinquenti, reclutamento di bambini da parte delle forze di polizia ecc.
Su Cuba si segnalano come dato più significativo le restrizioni all’esercizio della libertà di espressione, associazione e riunione, o aggressioni verbali contro dissidenti.
Eccetto per la situazione specifica delle detenzioni e le tre esecuzioni
avvenute nel 2003, negli anni precedenti Cuba appare come uno dei paesi meglio
situati in relazione al rispetto dei diritti umani, il compimento delle
risoluzioni internazionali e con minore disuguaglianza sociale.
Di fatto Cuba é stata eletta membro della Commissione dei Diritti Umani dell’ONU all’inizio di quest'anno: Commissione nella quale l’ammissione degli Stati Uniti, é stata respinta con la votazione dei paesi membri nel 2002, e il suo reingresso quest'anno é stato reso possibile dalla rinuncia di Italia e Spagna.
Dopo questa riflessione bisogna chiedersi perché il tema delle libertà civili
e il caso delle pene di morte applicate quest'anno a Cuba hanno avuto maggiore
diffusione nei nostri media che le centinaia di sentenze di morte che ogni
anno si firmano negli stati di Arizona, Montana, Colorado e Texas.
Di fatto, se non leggessimo i rapporti del PNUD o di Amnesty International non sapremmo che la pena di morte negli Stati Uniti continua ad applicarsi in modo molto esteso, che questo Paese si trova in cima al ranking mondiale della sofferenza umana; che dopo l’attentato dell’11 settembre si trovano detenute 1200 persone, la maggioranza stranieri, senza dare informazione pubblica; che in novembre 2001, il presidente Bush ha approvato un ordine che stabilisce la creazione di commissioni militari speciali, al di fuori delle norme processuali internazionali; che la brutalità poliziesca é una pratica abituale e che é uno dei paesi, assieme ad Israele, che ha compiuto più violazioni del Diritto Internazionale Umanitario.
Significativamente questi dati sì, vengono dati con contraddittorio.
Però non solo si sopravvalutano e si magnificano gli avvenimenti che succedono a Cuba, si parla dell’isola anche se non é successo niente, cioè, Cuba é notizia anche se non lo é. Come quei prodotti e marche pubblicitarie che appaiono camuffati nelle serie televisive o nei realityshow e formano parte del programma, solo che in questo caso non appare il cartello che dice “pubblicità”. Scrittori, cantanti, musicisti cubani sono vezzeggiati dai nostri media sempre che parlino male del governo, o che si possano utilizzare le loro parole per seminare il sospetto o il dubbio sulla situazione dell’isola.
Di fatto, anche gli artisti spagnoli nella loro campagna promozionale, se devono dare una immagine “progressista” devono riguardarsi parlando male del Presidente cubano.[...]
Sembra che la strategia che seguono i nostri media con Cuba é giusto
antagonista a quella applicata in altri casi come Timor, che già Chomsky aveva
segnalato come uno dei casi più sorprendenti di disinformazione.
Nel caso di Cuba siamo giusto all’estremo opposto. Se ci si rifà solo ai dati contrastati e ad alcune fonti fidate come le Nazioni Unite o Amnesty, la rilevanza delle informazioni su Cuba darebbe luogo appena a qualche breve rassegna.
Di modo che la domanda pertinente é, senza dubbio, perché Cuba é tanto
importante per i media spagnoli? Possiamo avventurarci in qualche ipotesi e
cercare di praticare questo sport tanto in disuso oggi che é l’applicare il
senso comune. Non sarà che é importante perché é importante per gli USA? Non
saremo in presenza di una campagna propagandistica di lungo respiro, proprio
come il blocco economico che gli USA mantengono contro l’isola da più di 40
anni, e al quale si unisce la Spagna con tutto il suo arsenale mediatico?
Se ci prendessimo la briga di annotare, ritagliare e registrare tutte le
informazioni che troviamo su Cuba, ci renderemmo conto che ci sono troppe
coincidenze nei nostri media. Sembra proprio che ci troviamo davanti a una
campagna di marketing ben disegnata in cui ci stanno vendendo un prodotto precucinato nella fattoria “made in USA”.
Non saremo noi “innocent” consumatori, vittime e boia di complessi interessi che convertono l’isola in un boccone imprescindibile per l’impero? Perché fidarci di quello che ci hanno fatto credere su Cuba, quando le inchieste recenti dimostrano che, malgrado non si sia dimostrato nessun legame tra Saddam e gli attentati dell’11 settembre, si considera uno dei grandi successi dello staff della Casa Bianca il fatto che 7 statunitensi su 10 credono che Saddam fosse implicato in quegli attentati?
Lo scrittore e giornalista John Pilger ci dice che quelli che governano il mondo hanno messo in marcia una “guerra totale” nella quale non si parla già di scenari, ma di controllo del mondo.
La guerra contro il terrorismo é la guerra infinita, in ogni momento, secondo il bisogno, nel luogo che designi o che segnali l’illuminazione divina; e una delle sue armi più potenti é la pseudo informazione. Ed é proprio in questa strategia che i media si convertono in pezzi da novanta per bombardare le nostre coscienze.
“Dissentire é permesso nei limiti consentiti” – dice Pilger – e rafforza l’illusione che l’informazione e l’espressione siano “liberi”.
In questa logica, le informazioni su Cuba sono
apparentemente diverse se vengono dai media controllati da uno o dall’altro
interesse economico, però curiosamente, se uno si fissa bene, ci sono più
coincidenze che discrepanze.
Perché tanta insistenza, così coordinata e coerente in tutti i mezzi di
comunicazione sul tema cubano? Perché tante coincidenze quando apparentemente
ci sono differenze ideologiche di fondo? Che interessi comuni hanno TVE,
Antena 3, El País e ABC?
Probabilmente ci sono sfumature, però la virulenza, l’aggressività e
soprattutto la profusione con cui si abborda il tema le cancella e unifica
l’audience: “per quelli di destra, per quelli di sinistra, per i non credenti,
per gli illustrati, per gli apatici, per i militanti, per tutti...” che
qualità naturale o acquisita abbiamo tutti, spettatori, lettori e ascoltatori
perché dobbiamo ricevere lo stesso messaggio implicito o esplicito su Cuba.
Pierre Bourdieu diceva, parlando della televisione, che le differenze evidenti occultano profonde similitudini derivate dall’utilizzo degli stessi meccanismi e dall’operare secondo la stessa logica.
Perché é tanto pericolosa Cuba? Per chi?
Che strano meccanismo ci fa ripetere continuamente le stesse parole d’ordine e gli stessi luoghi comuni su Cuba convertendoci così, nostro malgrado, in uno strumento in più di propaganda!