Discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica di Cuba, Dott. Fidel Castro Ruz, nella Tribuna Aperta della Rivoluzione, effettuata a Buey Arriba, provincia Granma. Contiene alcuni dati aggiunti dall’autore, riferiti principalmente ai combattimenti contro l’ultima offensiva delle forze della tirannia e dell’offensiva finale dell’Esercito Ribelle. 30 marzo 2002, "Anno
degli Eroi Prigionieri dell’Impero". (Versioni stenografiche – Consiglio di Stato)
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Cari compatrioti di Buey Arriba,
di Granma e di Cuba, Il caso ha voluto che in questi
giorni diventassero realtà, al tempo stesso, quattro importanti
programmi della Rivoluzione, frutto della grande battaglia di idee che
stiamo portando avanti. In realtà, questa manifestazione
ha per tutti noi, per tutti gli abitanti dell’oriente cubano e per
tutto il paese, uno straordinario simbolismo. I programmi di cui parlavo erano,
nell’ordine in cui vennero realizzate le inaugurazioni a Granma:
primo, la conclusione e la messa in funzionamento della Scuola d’Arti
Plastiche di Manzanillo, che porta il nome di un noto ed illustre
pittore ed intellettuale, Carlos Enríquez; devo dire che non fu facile
scegliere un nome, poiché sono molti, e ne diventano ogni giorno di più,
i pittori illustri ; secondo, il programma di formazione integrale di
giovani, che raggiunge ormai la cifra di quasi 80 000 giovani cubani;
terzo, il programma di installazione, e possiamo anche dire di
creazione, di sale video in quei villaggi rurali dove non c’è
elettricità; quarto, il colossale programma dell’installazione di
laboratori di informatica o, nel caso di piccole scuole, di computer per
l’insegnamento dell’informatica nel livello medio superiore, nella
scuola media e in tutte le scuole elementari, compresi anche i bambini
del prescolastico negli asili. Non so se al mondo esista un altro
paese che abbia raggiunto un programma così vasto nell’insegnamento
dell’informatica e senza dubbio i bambini del prescolastico,
dell’elementare e della media di questo comune di montagna – non so
se esistano alcune scuole medie superiori – ne stanno ricevendo le
lezioni; e se al mondo ci fosse un paese che abbia potuto applicare un
programma così vasto, ambizioso, preciso ed esatto, ciò che si può
affermare, con assoluta sicurezza, è che nessuno lo ha fatto, e non
riuscirà a farlo mai, in soli otto mesi, con la preparazione del
personale docente e la creazione di oltre 12 000 posti lavoro decorosi,
che avranno un grande riconoscimento sociale negli anni futuri, quando
il programma comincerà a dare i suoi frutti e man mano che queste
migliaia di giovani che oggi stanno insegnando acquisteranno più
conoscimenti. Volle anche il caso che alcune ore
prima di arrivare a Manzanillo, a L’Avana si proclamasse un altro
fatto straordinario: lo sradicamento del virus del dengue e la
riduzione quasi a zero del pericoloso vettore Aedes aegypti. Si potrebbero dire molte cose sul
significato di questi quattro programmi. Quando parlo della scuola di
Arti Plastiche inaugurata a Manzanillo, mi riferisco a una delle sette
scuole che la Rivoluzione deve costruire tra il 2001 e il 2002; di
queste sette, due sono state concluse, quattro saranno finite prima di
settembre, anche se funzionano già in locali provvisori (avranno
comunque le strutture adeguate nella suddetta data), e probabilmente
prima della fine di quest’anno, sarà pronta la settima. A questo si
aggiunge la ricostruzione e ampliamento di altre scuole di questo tipo,
che, insieme, duplicheranno il numero di studenti di arti plastiche che
oggi studiano nelle attuali scuole. Parlo delle arti plastiche, perché
ciò è la rappresentazione di un altro colossale movimento:
l’esplosione culturale in atto nel nostro paese e che si manifesta in
altri campi artistici e intellettuali. Lo vediamo in tutte le tribuna
aperte, nei bambini, negli adolescenti, nei giovani, in tutta la
popolazione, come lo ha dimostrato la recente Fiera Internazionale del
Libro, festa che si estese a tutto il paese in 17 delle principali città;
questo è un fenomeno che non si può vedere in nessun altro paese al
mondo. É l’espressione del movimento nella danza, nella musica, nel
teatro e in altri campi dell’arte e dell’intellettualità nella
nostra patria. Questo lo ha spiegato il nostro
Ministro di Cultura, quando all’inaugurazione della scuola di
Manzanillo disse che in pratica si è raddoppiato il pubblico nei
teatri, nei musei, o che partecipa alle attività musicali o di altro
tipo; lo possiamo vedere qui in questo comune di Granma. Lo possiamo
vedere non soltanto nei suoi bambini oratori, il che di per sé è
espressione di intellettualità e di arte, per la loro facilità di
parola, per i discorsi che nessuno gli scrive poiché sono loro stessi a
farlo. In quale altra parte del mondo si possono vedere oratori così
straordinari come i nostri bambini? Lo possiamo vedere in quei bambini
che vengono qui a recitare, a danzare, a cantare, come il duetto di
musicisti, quella coppia che ci offrì qui una magnifica esecuzione. È
qualcosa che fiorisce ovunque nel nostro paese, e stiamo appena
cominciando! Uno non deve chiedersi da dove
viene questo bambino, da dove viene questa bambina, da dove viene questo
gruppo musicale, chi è colui che ha cantato qui. No, non vengono
dall’estero, non vengono dalla capitale; vengono dalla provincia di
Granma una delle province meno sviluppate economicamente; oppure vengono
da questo stesso comune dove si realizza questa bella tribuna aperta; e
non mi riferisco alla tribuna da dove vi parlo; mi riferisco alla grande
tribuna che posso vedere da qui, in questo terreno e dove c’è il
popolo che ha riempito lo spazio con oltre 25 000 spettatori, quando si
calcolava che sarebbero stati all’incirca 15 000. Fortunati coloro
che, attraverso la televisione, possono vedere quello che sto vedendo
io; perché voi che siete qui presenti non potete vedervi, non potete
vedere quest’immagine di popolo, di bandiere, di entusiasmo, di
spirito rivoluzionario; non potete vedere quelle bandiere, quegli
alberi, quelle colline e quelle montagne che abbiamo in fondo, a destra
e a sinistra. Su quei quattro programmi che
ricordavo, non c’è molto da aggiungere, si sono dette molte cose; se
posso aggiungere qualcosa, voglio dire che ci ha molto onorato la
presenza di 81 pittori e scultori, artisti plastici tra i più noti del
paese e delle province orientali, compresa Camagüey , e che sono appena
un campione di quanto c’è oggi in tutta Cuba. Tra i nostri
intellettuali si respira un’aria di allegria, si osserva uno spirito
nuovo. Questi artisti dipinsero murales e lasciarono ricordi nella nuova
scuola; è un’istituzione scolastica con tutte le più moderne
risorse, dove senza ombra di dubbio quei figli di lavoratori, di
contadini e dell’umile popolo, di coloro che producono i beni
materiali, intellettuali ed i servizi vitali per il paese, riceveranno
una straordinaria educazione. Ciò costituisce motivo di soddisfazione,
e le due principali città di questa provincia, sorelle nella lotta,
sorelle nella storia e sorelle nella gloria, Bayamo e Manzanillo,
avranno ciascuna una scuola come quella – quella di Bayamo sarà
conclusa tra poco – con alunni provenienti da tutti i municipi, e ogni
volta con maggiore partecipazione di giovani dei diversi municipi, a
misura che passi il tempo e si possano scegliere gli studenti che
entreranno ogni anno nelle scuole artistiche. Nella scuola appena inaugurata
abbiamo potuto vedere anche un teatro ambulante, iniziativa di un
giovane creatore che porta il teatro, i libri e la musica nei posti più
sperduti. Quante cose e quante iniziative si possono vedere ovunque nel
nostro paese! L’atto d’inaugurazione del
programma di formazione integrale per giovani, devo dire che è stata
una delle cose più impressionati che ho visto in vita mia, perché ho
osservato che quella moltitudine di giovani, che della vita hanno
conosciuto le cose più dure, sacrifici e difficoltà, era assolutamente
consapevole che gli si aprivano le porte di un futuro luminoso nel campo
dei conoscimenti, della cultura, delle lettere, della scienza; una
scuola nel cui ingresso c’è una divisa che dice: "Entra e fai
della tua vita ciò che ne vorrai fare". Coloro che avevano avuto ,
per una ragione o l’altra, poche opportunità nella vita, oppure le
avevano perse, mostrarono la passione, il sentimento, la dignità e
l’orgoglio della saggia e nobile decisione di iscriversi in queste
scuole e di creare di nuovo le possibilità di raggiungere profonde
conoscenze e di raggiungere qualunque meta si propongano. Sulla terza manifestazione vi
posso raccontare che apprezzai qualcosa assolutamente nuova: le
cosiddette sale video sono molto di più di semplice sale, e lo abbiamo
scoperto ieri, lo abbiamo potuto provare; questo perché un’idea che
era nata per offrire opportunità di ricevere informazione,
conoscimenti, ricreazione culturale o sportiva, si era convertita ormai
in una specie di micro università, dove i medici della famiglia, i
maestri, le organizzazioni di massa, i rappresentanti del potere
popolare, nonché tutti coloro che portano avanti ambiziosi programmi di
salute per la nostra popolazione, e insegnano alle persone come devono
vivere meglio nonostante le loro malattie – visto che un numero di
malattie, soprattutto con l’avanzare dell’età, colpiscono tutti,
chi più chi meno– e li istruiscono su come deve essere la loro vita,
cosa possono fare e cosa non possono fare, o se si vuole, che cosa
devono fare e che cosa non devono fare. Ciò si trasforma in salute, in
benessere, in felicità per l’essere umano e per tutti i suoi
familiari, in felicità per tutto il popolo. Lì insegnano anche altre
discipline di carattere sociale che permetteranno di affrontare problemi
di ogni tipo, che ridurranno in modo considerevole abitudini nocive,
come sta già succedendo, per esempio, con l’abitudine di fumare: se
una persona vuole fumare deve fumare a casa sua o al limite in un locale
dove si trovi da solo, e non dove siano riunite 30, 40, 50 persone. E
contribuiranno anche a ridurre l’uso di bevande alcoliche nelle feste
e negli incontri sociali, perché in queste sale non si consumano
bevande alcoliche; i contadini e le loro famiglie si vestono a festa;
vanno in questi luoghi e non ci sono risse, non avvengono incidenti
sgradevoli, che sono in gran parte ancora figli di secoli di in cultura
e non sono degni di un popolo che si sta rivoluzionando in ogni campo e
specialmente nel campo del conoscimento. La speranza di vita dei figli del
nostro popolo si prolungherà, nonostante il clima avverso, il calore e
le circostanze in molte occasioni sfavorevoli, perché il clima è anche
umido, al contrario di ciò che accade nelle zone temperate dei paesi
sviluppati. Un buon esempio di questo è il
dato che a Cuba, questa Cuba durante tanto tempo calpestata dal
colonialismo, dal neocolonialismo e dall’imperialismo, al trionfo
della Rivoluzione aveva un mortalità infantile di non meno di 60
bambini morti su 1000 nati vivi, nel primo anni di vita, questo nel caso
in cui le statistiche fossero fidate, perché non credo che ci fossero
statistiche serie; inoltre, chi può sapere quanti morivano che non
erano registrati, come nel caso dei contadini che, dall’altro lato
della Sierra e sulla costa, riempirono di croci quella fascia di terreno
per i figli e familiari morti in riva al mare in attesa che una goletta,
come la chiamavano, passasse da quelle parti. È da tempo che non ci
sono più situazioni di questo tipo ed è da tempo che il cento per
cento dei bambini prima di nascere, e delle loro madri, ricevono i
benefici di 12, 13 o 14 consulte mediche; e tutte le analisi pertinenti
e le case materne aiutano a curare malattie che possono minacciare le
madri e proteggere sia la futura madre sia il futuro figlio. Da ciò
dipende una così bassa mortalità materna nel nostro paese e quella dei
bambini da 0 a 1 e da 0 a 5 anni, che sono i più vulnerabili. Questo paese possiede oggi 67 000
medici, il più alto pro capite del mondo, giacché possediamo quasi il
doppio dei medici pro capite del paese più sviluppato, e con questo non
solo curiamo il nostro popolo, ma disponiamo anche di risorse umane per
aiutare altri popoli e 3 000 nuovi studenti cubani di medicina entrano
nelle università ogni anno. A tali sforzi si deve l’immenso,
favoloso capitale umano su cui conta il nostro paese: medici, maestri,
tecnici, e lo ripeto: nessun paese al mondo può vantare simili
risultati. Così possiamo vedere che la cifra dei bambini che muoiono
prima di aver compiuto il primo anno di vita, è di 7 negli Stati Uniti,
mentre la cifra dei bambini che muoiono a Cuba, il paese martirizzato di
cui parlavo prima, è solo di 6 su 1000 nati vivi, nelle condizioni di
questo clima – torno a ripetere – e dobbiamo continuare a lottare
per abbassarlo ancora. Ci sono province che hanno 5, province che hanno
meno di 5 e comuni che hanno 0 in un anno, il che dimostra le possibilità
attuali del nostro paese. (Guardando l’orologio) I minuti
passano e devo dire ancora alcune cose. Fu una grande soddisfazione che
questi quattro programmi si potessero inaugurare qui, nella provincia di
Granma, così carica di storia, così carica di meriti. Non è possibile dimenticare che
qui, in questa provincia, a La Demajagua, cominciò la nostra prima
guerra d’indipendenza nel 1868. Non è possibile dimenticare che
qui ci fu per prima la liberazione degli schiavi, gesto rivoluzionario
di quel grande patriota che fu Carlos Manuel de Céspedes, che aveva
avuto l’opportunità di studiare e per questo poteva concepire e
dirigere una rivoluzione. Fin dal primo momento la sua coscienza lo portò
a questo atto di elementare giustizia. Marciò verso Bayamo, conquistò
la città, e a Bayamo si scrissero pagine gloriose, tra le più gloriose
della storia della nostra patria. Lì per la prima volta si cantò
quest’inno che tanto ci inorgoglisce e tanto ci emoziona ascoltare. Lì
Máximo Gómez realizzò la prima carica con il machete contro le forze
coloniali che, provenienti da Santiago de Cuba, uscivano da Baire verso
Bayamo. Fu lì che i cubani scoprirono la loro principale arma, quel
machete usato per lavorare nei campi, e in seguito la cavalleria:
machete e cavallo furono le loro armi fondamentali, con cui cominciarono
a scrivere la gloriosa storia della nostra patria. Lì cadde, a Dos Ríos,
José Martí, Apostolo dell’indipendenza, genio delle idee e delle
idee più nobili che possano concepirsi, Eroe Nazionale della nostra
patria, le cui idee ispirarono la Generazione del Centenario ( si
riferisce ai giovani che, sotto la sua guida, Il 26 luglio del 1953,
anno in cui si celebrava il centenario della nascita di Martì,
attaccarono la Caserma Moncada, simbolo della tirannia di Batista;
N.d.T.) , ed oggi ispirano ed ispireranno sempre di più il nostro
popolo. Quando la lotta iniziata a Granma
si estese a Santiago de Cuba, al resto della vecchia provincia orientale
e a Camagüey, nasceva il movimento indipendentista di un popolo che era
praticamente disarmato. Questo eroico movimento,- nato in una società
schiavista, che era la caratteristica essenziale di quella colonia, dove
molti dei cosiddetti criollos non potevano essere patrioti, perché
erano proprietari di grandi piantagioni e di molti schiavi, e invece
dell’indipendenza desideravano, sin dagli inizi del secolo XIX,
l’annessione agli Stati Uniti -, con appena pugno d’uomini sulle
armi, portò la guerra fino al centro del paese, e quasi fino
all’occidente, dove si generavano le ricchezze fondamentali su cui i
colonialisti, con la mano d’opera degli schiavi, contavano per
schiacciare il movimento rivoluzionario. I patrioti lottarono senza
tregua per dieci anni, e dopo una breve tregua, non da tutti accettata,
imposta dalla divisione, non rinunciarono al loro ideale fino al momento
in cui riannodarono la lotta nel 1895, sotto la direzione di Martí, che
fu capace di far trionfare le sue idee nel cuore dei patrioti cubani. Vedete com’è la storia: quando
La Demajagua si estese a Santiago de Cuba, nacquero lì i Maceo e nacque
il Titano di Bronzo, uno dei più gloriosi combattenti nella storia
delle lotte, non soltanto di Cuba, ma anche dell’America Latina e del
Mondo: 800 azioni di guerra, 27 ferite in combattimento. Che stirpe
d’uomo! In quella guerra, la sorella
provincia di Santiago si convertì in baluardo della lotta per
l’indipendenza, come lo fu in seguito Guantánamo, quando le forze di
Máximo Gomez con Maceo all’avanguardia liberarono quella regione,
dove c’erano molti schiavi che lavoravano nelle piantagioni di caffè,
reminiscenza dell’arrivo di numerosi coloni francesi emigrati da
Haiti, dove si erano sollevarti gli schiavi che misero fine alla
schiavitù e sconfissero uno dei migliori generali del miglior generale
di quella e di molte epoche, che fu Napoleone Bonaparte. Nella seconda guerra
d’indipendenza l’invasione verso occidente partì da Mangos di
Baraguá; ciò è parte essenziale della nostra storia. Un fatto
rilevante è che gli orientali arrivarono fino all’estremo occidentale
di Pinar del Río – è per questo che abbiamo sempre apprezzato lo
spirito invasore degli orientali. E poi che accadde? Noi cominciammo
la nostra lotta rivoluzionaria a Santiago de Cuba, attaccando la Caserma
Moncada il 26 luglio del 1953, e riannodammo quella lotta tre anni dopo.
Quando ritornammo nel Granma e sbarcammo nella spiaggia Las Coloradas
(Applauso), la lunga lotta continuò nelle terre de La Demajagua.
Soffrimmo le più dure sconfitte, senza perdere l’entusiamo, e con un
pungo di uomini ricostruimmo l’Esercito Ribelle che con l’esperienza
acquisita e con passo accelerato, riuscì a sconfiggere la tirannia, che
contava 80 000 uomini, in meno di due anni; è vero che passati tre
giorni dallo sbarco, subimmo la sconfitta di Alegría de Pío, la
dispersione delle nostre forze, l’assassinio di molti compagni che per
caso si scontrarono con il nemico, o caddero prigionieri e diedero la
loro vita per la causa, prima ancora che si raggruppassero i pochi
superstiti e alcuni contadini che si integrarono in un piccolo
distaccamento dell’Esercito Ribelle. Io non ho partecipato a tutte le
tribune aperte, a causa dell’enorme lavoro che ci costringe a delegare
mansioni, però sono solito seguirle dalla televisione, e quant’è
emozionante vedere che, presiedendo le tribune, c’è quasi sempre il
compagno Raúl e, con lui, i comandanti della Rivoluzione Juan Almeida,
Ramiro Valdés e Guillermo García Frías; li vedo in buona salute e
penso che potranno continuare ancora per molto tempo a dare l’apporto
della loro esperienza e del loro esempio alle nuove generazioni, che
nascono con un vigore straordinario, con straordinarie conoscenze e con
straordinari meriti rivoluzionari , che danno atto e costituiscono una
garanzia della gigantesca ed estesa foresta che diventerà questo popolo
di eroi, a partire dai piccoli semi che verranno piantati in questi anni
a cui mi riferisco. Quando sono arrivato qui stavo
parlando con Ramiro e con Guillermo su questo luogo che mi fa ricordare
tante cose, tra cui il ricordo di quelle montagne non lontane,
dove si ricostruì l’Esercito Ribelle e dove ottenne le prime
vittorie; l’esercito che riuscì a riprendersi dalla persecuzione
incessante, aggravata da casi di tradimento che furono sul punto di
portare allo sterminio totale le nostre modeste forze. Qui vicino si trova lo scenario
delle operazioni della Colonna 4 capeggiata dal Che che abbiamo tanto
amato e che per sempre ricorderemo. Lui percorse questi sentieri quando
conquistò la Caserma di Bueycitos; ricordo che era il 31 luglio, il
giorno seguente alla morte di Frank País, e occupò quella caserma –
Ramirito (Ramiro Valdes N.d.T.) mi raccontava che la difesa ben
trincerata era costituita da una ventina di uomini – lì conquistarono
circa 20 armi e ciò compensò un po’ l’immenso dolore che noi tutti
sentivamo per la morte di Frank País. Qui ci furono molti combattimenti,
perché qui si era radicata una delle forze più aggressive e più
sanguinarie della tirannia, istruita all’odio e stimolata dal consumo
della droga, giacché erano abituati a fumare marijuana per incrementare
il loro coraggio. E, in effetti, era una delle forze più combattive, il
loro capo arrivò alla Sierra come tenente e raggiunse i gradi di
colonnello, sì, colonnello ferito da una pallottola alla testa alla
fine dell’ultima offensiva. Qui vicino combatté Guillermo con
una truppa, e Ramiro rimase a capo delle posizioni da questa parte del
Turquino (la montagna più alta della catena montuosa Sierra Maestra;
N.d.T.), nel fianco destro, a est de La Plata, dove si trovava il
comando centrale dell’Esercito Ribelle; lì c’era anche un ospedale
rustico fatto di legno e foglie di palma che era molto importante, e si
trovava anche Radio Rebelde, in cima alla montagna, con un Chilowatt di
potenza, che arrivò ad essere ascoltata in tutto il paese e si
ascoltava più di qualunque altra stazione radio. Mi dimenticavo di dire che qui
vicino, quando ormai stavamo aprendo nuovi fronti, avvennero due
importanti fatti che non avevo citato: la promozione a Comandante di Raúl
e di Almeida alla fine di febbraio del 1958, e la creazione di due
colonne, la "Frank País", sotto il comando di Raúl, e la
"Mario Muñoz" – un eroico medico che morì nel Moncada –
comandata da Almeida. Ambedue avevano la missione di avanzare a est: Raúl,
doveva nascondersi nella Sierra Maestra e dopo attraversare la pianura
nelle vicinanze di Palma Soriano fino alla Montagna, costituendo così
quello che poi sarebbe diventato il Secondo Fronte Orientale; Almeida
aveva la missione di creare il fronte guerrigliero nelle vicinanze di
Santiago de Cuba. Due mesi e mezzo dopo fu necessario far venire la
forza di Almeida, in un momento critico, perché dopo il fallimento
dello sciopero di aprile, la tirannia, incoraggiata da questo fatto,
lanciò 10 000 soldati, che facevano parte delle migliori truppe,
appoggiati dall’aviazione, da carri armati, dall’artiglieria, contro
il fronte numero uno della Sierra Maestra, realmente contro il Comando
Generale, dove si trovavano Radio Rebelde, l’ospedale ed il comando
principale. Da qui partì il battaglione di Sánchez
Mosquera (colonnello dell’esercito di Batista; N.d.T.) e contro questo
battaglione, per 10 giorni, Ramiro, al comando della Colonna 4 e
Guillermo con parte delle forze di Santiago inviate come rinforzo,
fermarono l’avanzata del nemico, lottando eroicamente, con
l’esperienza che entrambi possedevano. Quel battaglione armato fino ai
denti e con la fama di essere il migliore dei battaglioni, si infranse
contro la resistenza, possiamo quasi dire, di varie squadre; eravamo
troppo pochi per poterci chiamare "compagnia". Qualche minuto
fa chiedevo a Guillermo, che all’epoca aveva circa 30 o 40 uomini in
questa zona e cercava di impedire al battaglione nemico di arrivare alla
Sierra da questa direzione. Quell’offensiva, l’ultima, la iniziarono
il 25 maggio, quando avevano concentrato tutte le loro forze aeree e
terrestri. Dal sud ci attaccavano anche le fregate della marina cercando
di isolarci e di esaurire le nostre truppe. In questo momento, il 25 maggio,
quando iniziarono l’offensiva da Las Mercedes, nel fianco sinistro di
questo fronte, eravamo molto meno di 300 uomini, non arrivavano a 200 le
forze su cui contavamo per resistere; però avevamo già richiesto ad
Almedia che per questa data, ritornasse con non meno di 50 uomini di
esperienza delle forze della Colonna 4, radicate vicino a Santiago de
Cuba, che erano nella pianura. Chiedemmo anche a Camilo, che si trovava
nella pianura, di ritornare, ed arrivarono in un momento opportuno. Circa tre settimane dopo che era
stata iniziata l’offensiva, siccome la lotta si faceva più intensa,
il cerchio intorno a La Plata, attaccata da vari battaglioni da diversi
punti, si stava stringendo; le forze per difenderla erano insufficienti,
ed una volta conclusi i combattimenti a Buey Ariba, il battaglione di
Mosquera, che non poté arrivare all’altipiano della Sierra per
avanzare fino al Comando Generale, ricevette l’ordine di marciare a
ovest per entrare a Santo Domingo, nelle vicinanze di La Plata, allo
scopo di attaccare da questa posizione il nostro posto di comando, dove
arrivò il 19 giugno, dopo aver vinto la resistenza di due squadre di
ribelli in agguato, il che risultò abbastanza sorprendente. Ciò ci
costrinse a mobilitare le forze che stavano difendendo l’altipiano
oltre il Turquino, allo scopo di creare una difesa più forte e solida.
Il 28 e 29 giugno, alcune ore prima che arrivassero i rinforzi di
Almeida e di Camilo, forze della Colonna 1 assestarono un forte colpo a
due battaglioni che al comando di Sánchez Mosquera cercavano di
occupare La Plata, cagionandogli grandi perdite umane e di armi, che
passarono alle nostre mani. La sera del giorno seguente, 30 giugno, e
ormai con l’appoggio delle forze di Almedia, di Ramiro e di Camilo,
approfittando del morale basso del nemico, contrattaccammo da varie
posizioni, mettendo in situazione precaria i due battaglioni, anche se
non riuscimmo a vincerli. Con l’arrivo di quei rinforzi raggiungemmo
la cifra di 300 uomini e contro cui si lanciarono 10 000 soldati delle
migliori truppe della tirannia, in una lotta senza tregua che durò
circa 70 giorni. Per circa 35 giorni il nemico
avanzò finché, avendo ricevuto severi e crescenti colpi, cominciarono
a retrocedere sotto la tenace persecuzione delle nostre forze, che
crescevano in numero man mano che strappavano le armi ai nemici. Durante
un periodo di tempo simile noi attaccammo, e la guerra fu sul punto di
finire in quel preciso momento; per loro fortuna, e forse per
esaurimento dei nostri uomini che erano ormai scalzi, le loro ultime
unità poterono fuggire. Mosquera, che era cerchiato con il suo
battaglione, venne ferito alla testa durante una difficile e complicata
ritirata. Dopo 70 giorni disponevamo di oltre 900 uomini armati; si può
dire che l’unica forza su cui non potemmo contare, e che non era
nemmeno corretto trasferire da dove si trovava, era la forza del Secondo
Fronte, data la distanza impossibile di superare in pochi giorni, e
perché poi ritenevamo che, con le forze che avevamo raggruppato,
potevamo sconfiggere l’offensiva. Con 900 uomini si invase il resto
della provincia e la metà dell’Isola. Almeida e Guillermo ritornarono
alle loro posizioni, inviammo nuove forze verso l’est e verso il nord
della provincia; inviammo perfino una colonna a Camagúey, e ne inviammo
due celebri, quella del Che e quella di Camilo, con 140 uomini e 90
rispettivamente, se non ricordo male, e che realizzarono la prodezza di
percorrere in marcia forzata 500 chilometri per arrivare al centro del
paese. Quelli furono giorni difficili e angoscianti, mentre marciavano
verso Las Villas. In questo modo le colonne conquistavano terreno, di
fronte ad un nemico sempre più demoralizzato. Fu da qui, da questa zona della
Sierra Maestra, che partirono tutte le colonne ribelli, e da un posto
poco lontano da questo partì la nostra colonna nel mese di novembre per
avanzare verso Santiago de Cuba; non crediate però che si trattava di
una colonna con molti uomini e ben armata; al contrario, era una colonna
formata da circa 1000 recluti disarmati. Avanzando, raccoglievamo alcune
piccole squadre e quando ci arrivammo avevamo meno di 100 uomini armati.
Eravamo vicini a Santiago e avevamo già quasi accerchiato una compagnia
dell’esercito, l’unica truppa di Batista vicina alla Sierra.
Avanzavamo rapidamente. Pensavamo di cerchiarla e di farla arrendere,
visto che questa era ormai una specialità ben nota ai nostri soldati e
ufficiali. Con una piccola truppa, un nostro ufficiale, inesperto,
occupava il cammino della ritirata di quell’unità, mentre noi
affrettavamo il passo per impedire che scappassero. Purtroppo, il nostro giovane
ufficiale non aveva molta esperienza; noi usavamo armi psicologiche,
ormai da vari giorni cercavamo di neutralizzare il capo della compagnia
– ciò si poteva raggiungere – se fossimo riusciti ad accerchiarla
non avrebbe resistito più di 24 ore. Ve lo sto raccontando qui, anche
se so che mi dilungherò alcuni minuti. Il nostro ufficiale doveva
consegnare un mio messaggio, in una busta chiusa al capo di quella
truppa; però assieme al mio messaggio mise una sua nota insultante ,
che non era certo il modo adeguato di raggiungere l’obiettivo, e ciò
fece sì che il comandante e la sua compagnia scappassero a tutta
velocità. Noi necessitavamo le armi di questa compagnia. Ripresa la marcia, quasi d’immediato,
ebbi un incontro amichevole con due plotoni dell’esercito, a cui
l’attuale generale Quevedo – che combatté contro di noi a El Jigüe,
però era un vero gentiluomo – aveva convinto, non di unirsi a noi,
bensì di arrendersi e di consegnare le armi; con esse arrivammo a circa
180 uomini armati. Avevo già visitato questo luogo il 17 novembre del
1958, e tre giorni dopo si iniziò a Guisa ciò che abbiamo qualificato
come una battaglia, per la grandezza delle forze nemiche che vi parteciparono.
La battaglia cominciò contro le truppe di Bayamo, sede del comando
delle forze nemiche di operazioni, circa 5000 soldati, da dove potevano
trasferire, percorrendo una strada asfaltata, i camion, i carri armati e
tutte le altre cose a Guisa. Lì lottammo per dieci giorni. La nostra
forza cresceva a mano a mano che conquistavamo armi e munizioni fino
alla sconfitta di quelle truppe e alla conquista della città. Continuammo la marcia verso
Santiago liberando città occupate dalle forze nemiche. Per prima Baire,
poi Jiguaní, Palma Soriano e Maffo, in cooperazione con le forze di
Almeida e di altre colonne, facendo centinaia di prigionieri e prendendo
le loro armi e le loro munizioni. Ormai tutte le colonne si erano
raggruppate, tutti i fronti, le agguerrite forze del Secondo Fronte
Orientale, le forze di Almeida, in pratica tutte le truppe dell’est di
questa provincia, e andavamo ad attaccare Santiago de Cuba con 1200
uomini. Lì si trovavano due fregate e 5000 soldati. Lì c’era il
Moncada che avremmo finalmente conquistato questa volta: milleduecento
combattenti di esperienza era una cifra di lusso, perché 1200 contro
5000 era il miglior rapporto di forze che avevamo mai avuto; allora
venne il capo delle truppe nemiche, chiese un incontro, arrivò in
elicottero e affermò che avevano perso la guerra; chiese poi in che
modo noi pensavamo che si doveva concludere. Noi gli suggerimmo di
abbandonare la guarnigione di Santiago de Cuba e convenne su questo. Ma
lui voleva viaggiare alla capitale adducendo diverse ragioni. Io
insistevo: "Non vada alla capitale", per non correre rischi.
Indiscutibilmente aveva influenza, era il capo operazioni delle forze
nemiche. Bisogna dirlo con tutta franchezza che non fu un assassino, non
era uno sbirro; era, realmente, una persona, potremmo dire civilizzata,
e aveva molto prestigio nel seno del suo esercito. Gli chiedemmo tre cose: primo,
"non vogliamo colpi di stato nella capitale", questo lo
chiarimmo bene; secondo "non vogliamo che lasciate scappare
Batista", terzo: "non vogliamo che Lei parli con
l’Ambasciata degli Stati Uniti". Arrivò all’Avana mentre noi
aspettavamo, il giorno 30 era previsto il sollevamento popolare; ci
giunse solo una lettera e qualche messaggio; quindi gli rispondemmo
attraverso il Capo della guarnigione di Santiago che trascorso il
periodo stabilito, avremmo attaccato e liberato la città. Dirò
soltanto che fece le tre cose alla rovescia: fece un colpo di Stato
nella capitale, salutarono Batista all’aeroporto ed ebbero contatti
con l’ambasciata nordamericana. Tutto è chiaro. Fu così che il Primo Gennaio
demmo l’ordine di non cessare il fuoco, avanzammo con tutte le nostre
forze e chiamammo i lavoratori allo sciopero generale rivoluzionario che
fu accettato da tutti senza eccezione, anche se la direzione del
movimento operaio era in mani mercenarie, di camaleontici dirigenti
sindacali. In quest’occasione si produsse
il crollo totale. Quella stessa notte entrammo a Santiago de Cuba. Non
era stato come nel 1898 quando le forze nordamericane che intervennero
in quella guerra, essendo la Spagna ormai sconfitta, non permisero che i
mambises entrassero a Santiago de Cuba. Questa volta i mambises
entrarono a Santiago, entrarono a L’Avana, entrarono a Guanahacabibes
nel capo di San Antonio, tutto il popolo unito; questo popolo che oggi
è più unito che mai, in cui non esiste nemmeno un 30% di analfabeti,
nemmeno un 60% di analfabeti funzionali e semianalfabeti come esisteva
allora secondo le statistiche ufficiali. In realtà , sarebbe esagerato
dire che allora c’era un 10% di persone istruite, perché solo circa
400 000 cubani avevano concluso la scuola elementare. Oggi contiamo due
professionisti per ogni cittadino con licenza elementare che c’era
allora nel paese, e ce ne saranno molti di più nel futuro! Guardo voi
adesso, guardo gli studenti e penso nel magnifico avvenire che vi
attende, guardo gli alunni dei corsi di formazione integrale che avranno
enormi opportunità, l’ho già detto, tutte le opportunità che
vorranno. Osservate quanta storia è legata
a questo luogo, a queste montagne, quanta storia! non tanto per
merito dei nostri combattenti ribelli, quanto per merito del popolo;
senza l’appoggio del popolo non sarebbe stato possibile neanche
concepire una rivoluzione che sopravvisse allo sbarco del Granma con
sette armi soltanto, e ottenemmo la vittoria in meno di 24 mesi, perché
bisogna scontare il periodo che seguì al colpo che noi soffrimmo, dopo
l’attacco che ci prese di sorpresa, dovuto alla nostra inesperienza.
Fu molto ciò che dovemmo imparare per ricominciare e quanto dovemmo
imparare ancora quando trionfò la Rivoluzione. Dissi già queste cose a
Santiago la notte del Primo Gennaio 1959 e le dissi anche nell’attuale
Città Libertà l’8 dello stesso mese, appena arrivato alla capitale,
quando affermai che avremmo dovuto affrontare compiti molto più
difficili. E che cosa avvenne?: la prodezza, la storia incancellabile
che avete scritto, sarebbe quasi meglio dire che avete scritto voi e i
vostri genitori, durante 43 anni, di fronte al potente impero che ci
bloccò, che ci aggredì, che ci volle e ci vuole uccidere di fame e di
malattie. Non ci è riuscito. Fummo sull’orlo di una guerra
nucleare per ostinazione dell’impero, ostinazione che non ha ancora
abbandonato. Non riescono a capire che distruggere questa Rivoluzione
difesa dal nostro popolo è impossibile, e non soltanto per la forza
fisica dei nostri combattenti, ma anche per la loro forza morale, per la
loro volontà di vincere o morire, per la volontà di difendere un
processo storico e rivoluzionario che ci ha dato tutto quanto abbiamo
oggi; e questo non è niente, non è niente perché le forze che si
stanno accumulando nel campo dei conoscimenti, nel campo dei valori
morali, nel campo della coscienza, nel campo dell’organizzazione e
dell’amministrazione ci permette di fare quei programmi di cui vi ho
parlato, anche se il prezzo dello zucchero si trova tra i cinque e i sei
centesimi, che equivale a mezzo centesimo dell’epoca del machadato (si
riferisce al periodo di governo di Machado, durante la cosiddetta
Pseudorepubblica; N.d.T.) che tanta fame provocò nel nostro paese. Certo, allora il paese non era
proprietario di niente, tutto era di proprietà delle imprese straniere
o di quella minoranza ricca di questo paese; ciò è stato detto da
quella bambina che ha parlato oggi da questa tribuna. Quando la piccola
diceva che era necessario difendere ciò che ha conquistato il nostro
popolo, io mi ricordavo di quei contadini assassinati, mi ricordavo
delle centinaia di contadini che conoscemmo mentre vivevano sotto
terrore, non quello della guerra; il terrore principale era quello di
essere sloggiati dalle loro terre; il terrore dei soldati che bruciavano
le loro case, a volte con tutti gli abitanti dentro, e mi ricordavo
dell’assassinio di moltissima gente. Mi ricordavo di quei contadini
poveri, analfabeti, i cui figli non avevano un medico che li curasse;
tutti andavano nel nostro accampamento, perché sapevano che lì c’era
un medico, lì c’era il Che o altri medici che ci raggiungevano. In
queste montagne non c’era un solo medico, e non so quanti ce ne
saranno adesso, decine forse, e da qui a Santiago de Cuba ce ne devono
essere centinaia, perché il paese ha 30 000 medici della famiglia, non
3, né 30, né 300, né 3000, ma trentamila!- bisogna dire questo ben
alto – e 25 000 tra professori e maestri, più i nuovi che si
diplomeranno per insegnare informatica o per ridurre fino a un numero
inferiore a 20 – un altro dei nostri grandi sogni – gli alunni per
aula. Si stanno moltiplicando i maestri grazie ai programmi di
formazione emergente di maestri elementari. E avremmo migliaia di
lavoratori sociali; avremmo ciò che merita il nostro popolo. O come
diceva Guillén "ciò che dovremmo avere"! Adesso avremo di più, perché si
stanno sviluppando idee e possibilità con cui non potevamo nemmeno
sognare ai tempi in cui iniziammo la lotta rivoluzionaria. Ho dovuto prolungare questo
discorso perché in un giorno come oggi ho voluto essere più vicino a
voi, raccontandovi, non so per quanto tempo, idee e segreti,
ricordandovi la storia. So che cosa volete sapere, volete
che vi racconti ciò che accadde a Monterrey e altre mille cose. Vi dico
soltanto che le cose vanno dette al momento e nel luogo opportuno. So
che voi volevate conoscere un sacco di cose. Si possono parlare dei
problemi che affliggono il mondo, però non è questa l’ora adatta;
parliamo dei nostri problemi, del nostro lavori, dei nostri trionfi, del
nostro brillante futuro. Guardiamo verso l’avvenire che si è
guadagnato il nostro popolo con le sue lotte, insieme al riconoscimento,
all’ammirazione ed all’appoggio della gente più povera e sofferente
del mondo, lì dove vanno i nostri medici nei luoghi più sperduti,
nelle foreste e nelle montagne; lì dove sono andati i nostri maestri, lì
dove i popoli guardando verso Cuba comprendono che un popolo, non
importa quanto piccolo sia, può affrontare l’impero , come lo ha
fatto Cuba per più di 40 anni, soprattutto adesso che esiste l’impero
egemonico, l’unica superpotenza, il padrone del mondo, a eccezione di
questa nostra isola, dove vorrebbero trasformare in cenere le nostre
conquiste rivoluzionarie, per portare qui una mafia di ladri, criminali,
saccheggiatori e terroristi. Vorrei chiedere a voi, giovani e
anziani, uomini e donne, bambini e adulti, chi di voi si rassegnerebbe a
una simile tragedia? Quella tappa della storia non
ritornerà più, perché non ci sarebbe nemmeno uno che volesse essere
testimone di tanta infamia. Il vostro esempio è uno stimolo
per il mondo. Una prova di ciò è l’appoggio, la solidarietà, la
simpatia che abbiamo ricevuto a Ginevra, dove molte delegazioni,
vincendo la paura, appoggiarono le parole del nostro Ministro degli
Esteri qui presente insieme ad un gruppo di famiglie, alle madri e
alle mogli di questi cinque eroi che ci hanno accompagnato in questa
battaglia e che ci riempiono di orgoglio con la loro presenza e con il
loro entusiasmo straordinario. Qui si trovano dei cari compagni: vedo
Jaime, vedo il capo del nostro poderoso Esercito Orientale, il generale
Espinosa, che conosco dai difficili giorni di Angola, quando in Cabinda,
le cui risorse energetiche costituivano la vita di quel paese sottoposto
a invasioni sudafricane e alla guerra, frenò l’attacco delle potenti
forze blindate al servizio dell’imperialismo, radicate in uno dei
paesi più grandi e più ricchi dell’Africa di allora, la Repubblica
del Congo, dove era al potere un signore saccheggiatore di cui non
voglio neanche dire il nome, perché in un giorno come oggi non vale la
pena. Grazie cittadini, compatrioti di
Buey Arriba!, che quando venni qui nel mese di novembre del 1958 si
chiamava Minas de Bueycitos. Sono felice di vedere un popolo così
prospero, bello, tutto verniciato, pieno di scuole e di strutture
sociali, che non esistevano allora; però ripeto ancora: Siamo solo
all’inizio!, ed è per questo che con maggiore entusiasmo e con più
sentimento rivoluzionario e patriottico che mai, in virtù degli anni
che abbiamo lottato insieme, partendo dalle vittorie raggiunte,
dall’eroica resistenza all’impero, soprattutto dopo il crollo del
campo socialista, che a causa dei propri errori e debolezze ci
lasciarono soli di fronte all’altra superpotenza; credo che la parte
più gloriosa non è solo quella dei primi anni in cui sconfiggemmo
l’invasore nella Baia dei Porci e accettammo senza esitare la sfida e
i rischi della Crisi dei Missili; tempi di grandissima gloria sono stati
questi terribili 10 o 11 anni di resistenza: gli anni del periodo
speciale. Quanta sofferenza! Che
soddisfazione! Nonostante quello che vi dicevo sulla crisi economica,
sui prezzi dello zucchero, che sono miserabili, e sul prezzo del nichel
che raggiunge appena i livelli di costo, o sul colpo subito dal turismo
per l’atto terrorista di New York contro il popolo statunitense, oltre
alle conseguenze politiche di tutto ciò, che hanno scatenato una grande
tensione nel mondo e cagionato grandi problemi, ai quali voi e noi siamo
abituati da molto tempo. Per questo, con più fervore e
passione che mai dico: Viva la Rivoluzione socialista di Cuba!
perché senza di essa non saremmo quel che siamo oggi, né occuperemmo
oggi i primi posti in materia di libertà, indipendenza e di giustizia
sociale, di conoscenza e di cultura. Patria o Morte! Vinceremo! |
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